M.D. numero 18, 18 maggio 2005

Clinica
Diagnosi e terapia delle infezioni vaginali
di Lino Del Pup - Dirigente UO Divisione di Ginecologia e Ostetricia, Ospedale di Oderzo (TV)

Le infezioni vaginali sono molto frequenti e determinano un importante disagio nella donna e nella coppia. Per porre la diagnosi corretta è necessaria almeno l’ispezione con lo speculum, la valutazione del pH e l’esame microscopico a fresco del secreto vaginale. Il trattamento va effettuato in presenza di sintomi e se si individua o si sospetta una causa microbica.

Diagnosi di vaginite
La diagnosi clinica di vaginite è più difficile di quanto comunemente si ritenga, poiché vi è scarsa correlazione tra i sintomi riferiti e la reale eziologia.
Almeno il 30% delle vaginiti ha sintomi aspecifici e il 10-40% delle infezioni vaginali decorre con nulli o pochi sintomi.
L’eziologia infettiva si riscontra solo nel 10% dei casi di vaginite in età prepubere, nel 45% di quelli postmenopausali e in circa il 90% dei casi in cui i sintomi si hanno in età fertile. Una vaginite infettiva ha la probabilità del 49% di essere una vaginosi batterica, del 38% di essere una micosi e del 13% di essere dovuta a Trichomonas vaginalis.
Nell’80% circa dei casi le forme subacute e croniche, in particolare quelle da Chlamydia, sono asintomatiche, ma sono quelle la cui sottovalutazione può avere pesanti conseguenze (algie pelviche e infertilità): nel sospetto è necessario ricercarle con esami colturali o con le più accurate metodiche di amplificazione del DNA.
Inoltre le malattie sessualmente trasmesse (MST) sono spesso polimicrobiche e pertanto bisogna escludere, o almeno considerare, la possibile sieroconversione per HIV, VDRL-TPHA, HBsAg e HCV.
In base a ciò è necessario essere molto prudenti nel prescrivere la terapia solo sulla base dei sintomi riferiti dalla paziente. Oltre che sull’anamnesi la diagnosi ambulatoriale dovrebbe essere idealmente basata sulla valutazione della leucorrea con lo speculum, del pH, dell’odore emanato, dall’analisi con una soluzione al 15% di KOH e dall’esame microscopico a fresco, preferibilmente a contrasto di fase, del secreto vaginale.
Le valutazioni microscopiche con la colorazione di Gram, Giemsa o Papanicolau e le colture andrebbero impiegate nei casi dubbi o nelle forme ricorrenti: in genere per le vaginiti acute sporadiche non sono necessarie e non vale la pena attenderne l’esito prima di prescrivere la terapia, inoltre non sono molto affidabili, avendo un valore predittivo positivo inferiore al 50%.

Vaginosi batterica


Circa il 50% delle infezioni vaginali sono vaginosi batteriche, ovvero alterazioni dell’ecosistema vaginale, in cui vi è una riduzione della presenza di lattobacilli produttori di H2O2 e predomina una flora batterica mista, prevalentemente costituita da Gardnerella vaginalis e anaerobi (Mobiluncus spp, Bacteroides spp e Peptococcus). La vaginosi batterica si caratterizza per gli scarsi o nulli sintomi infiammatori e una minima o nulla reazione leucocitaria. La patogenesi è tuttora controversa e probabilmente vi sono diversi meccanismi con cui si può determinare.
Presenta alcuni aspetti che la farebbero sembrare una MST, in quanto correla con il numero dei partner sessuali e con la presenza di un nuovo partner e può favorire l’acquisizione di altre malattie sessualmente trasmesse, tra cui l’HIV. Tuttavia non è in relazione con l’età precoce dei rapporti sessuali e ha una prevalenza maggiore dopo i 25 anni. Si trova anche nelle donne che non hanno mai avuto rapporti sessuali e nelle lesbiche e il trattamento del partner non ne modifica la frequenza. È favorita dall’abuso di lavande vaginali che alterano l’ecosistema genitale e anche dal fumo, che sembra avere un effetto immunosoppressivo genitale. L’esame colturale non risulta utile, in quanto la Gardnerella è presente nel 14-70% delle donne sane e gli anaerobi non vengono rilevati nei comuni prelievi.
Le vaginosi batteriche sembra possano causare parto pretermine, corioamnionite, rottura pretermine delle membrane, basso peso alla nascita, aborti tardivi, infezioni delle vie urinarie, endometriti postparto. L’ipotesi più plausibile è che alcuni anaerobi producano fosfolipasi A2, che libera acido arachidonico e attiva la cascata delle prostaglandine. Lo screening tra la 12a e la 20a settimana nelle pazienti gravide senza sintomi tuttavia non è attualmente raccomandato. Vanno invece accuratamente valutate le donne a rischio per pregresso parto pretermine o per aborto tardivo e quelle sintomatiche.
Uno studio randomizzato conferma l’utilità del trattamento, riscontrato a 12-20 settimane, in donne gravide asintomatiche, con clindamicina per via orale 300 mg x 2/die per 5 giorni, nel ridurre significativamente il rischio di parto prematuro e aborto tardivo. Il potenziale danno da farmaci comunemente usati è spesso sopravvalutato e la cautela riguarda il primo trimestre: in base a una metanalisi il metronidazolo orale non si è dimostrato teratogeno in campo umano. La terapia più appropriata in gravidanza è metronidazolo 250 mg x 3/die per 7 giorni o in alternativa clindamicina orale 300 mg x 2/die per 7 giorni. Il trattamento con lattobacilli vaginali od orali risulta efficace nel breve termine, ma senza trattamenti antimicrobici vi è un alto tasso di recidive.
La clindamicina topica non solo non è efficace, ma sembrerebbe accentuare il rischio di prematurità e di infezioni neonatali; per questo le terapie topiche delle vaginosi batteriche non sono raccomandate in gravidanza.
Dati recenti sembrano tuttavia intravedere un possibile beneficio delle terapie topiche, purché iniziate precocemente. Il gel vaginale allo 0.5% di clorexidina con idrossietilcellulosa ha un’ottima distribuzione e adesione all’epitelio vaginale, crea un effetto barriera nei confronti dell’adesività dei germi patogeni e fornisce copertura antimicrobica ad ampio spettro per 24 ore.

Vaginite aerobia


La diagnosi differenziale più importante della vaginosi batterica va posta con la vaginite aerobia, “nuova” entità nosologica, dovuta ad aerobi intestinali, quali Escherichia coli, Streptococcus agalactiae e Streptococcus faecalis. Questi batteri colonizzano la vagina per abitudini igieniche scorrette o prolassi, che espongono la mucosa vaginale alla flora perineale, oppure per ipoestrogenismo. Rappresenta circa il 10% dei casi di vaginite e si differenzia dalla vaginosi batterica in quanto le principali caratteristiche distintive sono l’odore che può essere sgradevole o acre, ma non di pesce avariato, la presenza di sintomi irritativi, come bruciore e dispareunia, e possibili segni infiammatori con elevata presenza di leucociti nelle secrezioni.
Il metronidazolo non è efficace nella vaginite aerobia, mentre la kanamicina topica sembra esserne un’adeguata terapia per l’efficacia oltre che per il rispetto della popolazione di lattobacilli. Sia la vaginosi batterica sia la vaginite aerobia, oltre che la tricomoniasi, si caratterizzano per un pH >4.5 ovvero non fisiologico: l’utilizzo di gel che ripristinino il pH vaginale è utile sia nella guarigione sia nella profilassi delle recidive.

Candidosi


Il 75% delle donne ha avuto o avrà una candidosi, il 50% ha avuto o avrà almeno due altri episodi e il 5-10% sviluppa una forma recidivante con almeno 2-4 episodi/anno. Oggi i ceppi non albicans, ovvero Candida glabrata, tropicalis, krusei, saccharomyces, rappresentano circa il 50% dei casi.
Vi è scarsa correlazione tra il riscontro di Candida al tampone e i sintomi: il prurito vulvare è il sintomo tipico, ma nel 10-40% delle donne asintomatiche il tratto genitale è colonizzato dal micete. La disuria in genere è esterna, dovuta al contatto delle urine con la mucosa vulvare infiammata.
La trasmissione sessuale è poco influente poiché in genere è un’infezione opportunistica endogena di provenienza dall’intestino della donna. I miceti raggiungono la vulva e la vagina tramite la cute perineale e proliferano in presenza di condizioni favorenti: il diabete non compensato aumenta la concentrazione di glucosio vaginale, l’iperestrogenismo aumenta la disponibilità di glicogeno vaginale, favorisce l’adesività dei miceti e ne stimola la germinazione; gli antibiotici ad ampio spettro distruggono la flora lattobacillare che preserva l’ecosistema vaginale, i corticosteroidi inibiscono la risposta immunitaria; gli indumenti poco traspiranti aumentano l’umidità e la temperatura genitale; i rapporti urogenitali e anogenitali favoriscono la trasmissione ai genitali dei miceti.
I fattori di virulenza della Candida determinano la sua capacità di passare da blastospora, responsabile del contagio, a pseudoifa, che invade i tessuti e determina prurito e bruciore. La candida può produrre enzimi proteolitici e tossine inibenti il sistema immunitario della donna.
La terapia è indicata in tabella 1, ma va posta attenzione alle preparazioni oleose con clindamicina o derivati azolici, che possono indebolire i metodi contraccettivi di barriera. Nelle donne gravide affette da candidosi non complicata è sufficiente usare derivati azolici per via vaginale per 7 giorni.
Le candidosi ricorrenti sono dovute spesso ad abuso, autosomministrazione inadeguata o sottodosaggio di antimicotici che creano resistenze, ai cortisonici, al diabete, a deficit dell’immunità, a fenomeni allergici o a tipi di Candida “non albicans”. Spesso la causa non è determinabile e può dipendere da deficit su base genetica della risposta immune.
Se si prescrivono terapie orali va posta attenzione alle possibili interazioni con altri farmaci. La chemioprofilassi è indicata solo se si tratta di Candida accertata e resistente alle terapie eradicanti, ricorrente per più di sei mesi, in donne immunodepresse, e va continuata per sei mesi, per esempio con fluconazolo 100 mg/settimana. Le terapie topiche protratte per 10-14 giorni sembrano più efficaci di quelle orali in dose singola e anche il fluconazolo assunto in due dosi di 150 mg a distanza di 3 giorni risulta più efficace della monodose; inoltre è più efficace associare terapie sistemiche e topiche. In presenza di sintomi intensi è possibile associare un cortisonico topico a bassa potenza con un antimicotico. Il ruolo dei lattobacilli e dell’acido borico resta controverso, ma vale la pena utilizzarli: per esempio affiancare agli antimicotici acido borico 300-600 mg/die per 7-14 giorni e dopo la terapia ricolonizzare la vagina con Lactobacillus plantarum per ridurre la possibilità di vaginiti recidivanti. Il partner va trattato solo se sintomatico e nelle forme ricorrenti.

Tabella 1 - Guida alla diagnosi e terapia delle vaginosi e delle vaginiti
Vaginosi batterica Vaginite aerobia Candidosi Vaginosi citolitica Trichomonas
Eziologia Gardnerella vaginalis; anaerobi Escherichia coli; Streptococco gruppo B; Streptoccus faecalis Candida albicans e non (glabrata, tropicalis, krusei, ecc) Lattobacillli Trichomonas vaginalis
Sintomi e segni Bruciore vaginale o assenza di sintomi Bruciore, disuria, secchezza vaginale, eritema vaginale Prurito, bruciore, disuria esterna, eritema ed edema vulvare o sintomi aspecifici Bruciore e lievi sintomi irritativi Prurito, bruciore, disuria. Cervice eritematosa ³a fragola²
Dispareunia Superficiale o assente Superficiale Superficiale Superficiale o assente Superficiale
Tipo di leucorrea all¹ispezione Fluida, omogenea, lattescente o grigia, aderente, schiumosa Fluida bianco-giallastra, con essudazione e desquamazione Bianca, densa, a fiocchi, latte cagliato o a placche, molto aderente alle mucose Bianca, compatta, pastosa, finemente granulare Giallo-verdastra, omogenea o schiumosa, abbondante
Odore spontaneo o dopo test al KOH 10% Molto odorosa, di ³pesce avariato² Sgradevole o acre Inodore Inodore Odorosa nel 50% dei casi
pH vaginale >4.5 >5 <4.5 <4 >4.5
Esame microscopico Clue cells alla microscopia, scarsi o assenti lattobacilli e scarsi o assenti polimorfonucleati Abbondanti batteri, polimorfonucleati, cellule degli strati profondi, parabasali, e scarsi o assenti lattobacilli Blastospore e/o pseudoife, lattobacilli e scarsi o assenti polimorfonucleati Tantissimi lattobacilli insieme a nuclei nudi e detriti cellulari. Non polimorfonucleati Elementi ovalari mobili flagellati, assenti o scarsi lattobacilli e molti polimorfonucleati
Terapie topiche Clindamicina 2% 5 g vaginali per 7 giorni o metronidazolo gel 0.75% 5 g vaginali x 2/die per 5 giorni Kanamicina ovuli per almeno 3 giorni Azolici topici: clotrimazolo 100 mg cp vaginali 2/die per 3 giorni o crema 1% 5 g per 7-14 giorni o analoghi Lavande con acqua e bicarbonato Non raggiungono l’uretra. Paravaginali: non sono efficaci
Terapie sistemiche Metronidazolo 500 mg x 2/die per 7 giorni o in alternativa metronidazolo o tinidazolo 2g monodose o clindamicina 300 mg x 2/die per 7 giorni Antibiotici attivi sulle enterobatteriacee Fluconazolo 150 mg monodose o itraconazolo 100 mg x 2/die per 2 giorni o 2+2/die per 1 giorno Non servono Metronidazolo o tinidazolo 2 g monodose
o in alternativa 500 mg x 2/die per 7 giorni (Non bere alcolici durante l’uso)
Terapia
del partner asintomatico
Non è dimostrato che serva Non nota Generalmente non serve Non necessaria Deve sempre essere fatta


Vaginosi citolitica


La diagnosi differenziale più importante, in presenza di secrezioni che sembrano di origine micotica, va fatta con la vaginosi citolitica o lattobacillare o di Döderlein, causata dall’eccessiva proliferazione dei lattobacilli che hanno azione citolitica. La leucorrea è inodore, pastosa e finemente granulare, tanto da far pensare a una micosi, ma all’esame microscopico vi sono tantissimi lattobacilli, nuclei nudi e detriti cellulari e assenza di leucociti. La terapia consiste solo nell’innalzare il pH vaginale con soluzioni di bicarbonato. Quando il tipo di secreto ricorda la Candida, il tampone sembra negativo o le terapie per le micosi non sembrano sortire effetto, si può ipotizzare che si tratti di vaginosi citolitica.

Trichomonas vaginalis


Il Trichomomas vaginalis è un protozoo che può albergare in uretra, prostata, vescichette seminali o solco balano-prepuziale del maschio, generalmente in assenza di sintomi. Viene trasmesso per via sessuale alla donna dove colonizza la vagina, ma anche l’uretra e le ghiandole parauretrali femminili: per questo le terapie topiche non sono sufficienti e pur in assenza di sintomi va trattato anche il partner. Può essere trasmesso assieme ad altri agenti delle MST e la trasmissione è favorita dalla presenza di anaerobiosi, dal sangue mestruale e dai sali di ferro che vi derivano, dalla presenza di glicogeno e glucosio e dal pH >5 che ne favorisce l’adesività.
Il trattamento standard, anche in gravidanza, è rappresentato da 2 g di metronidazolo per via orale per un solo giorno, lo schema alternativo è di 500 mg x 2/die per 7 giorni: esattamente il contrario delle vaginosi batteriche. La paziente e il partner vanno informati dell’effetto antabuse: non devono assumere alcolici durante la terapia né almeno nei due giorni seguenti. Nei casi resistenti il trattamento può essere ripetuto: per esempio 2 g/die per 3-5 giorni di seguito. Il Trichomonas vaginalis può essere riscontrato nei Pap test con un tasso di falsi positivi attorno al 30%. Il tinidazolo presenta un profilo di efficacia e tollerabilità superiore al metronidazolo.

Vaginiti croniche

La vaginosi batterica recidiva nel 25-75% dei casi entro 1-6 mesi dal trattamento, la Candida recidiva nel 40-50% dei casi e diviene cronica nel 5-10% e il 5% delle infezioni da Trichomonas vaginalis sono ricorrenti. Le possibili cause sono riportate in tabella 2 e vanno analizzate e gestite sistematicamente, anche quelle importanti ma poco considerate nelle pratica clinica, come i rapporti orogenitali e la candidosi ricorrente.
La causa più importante è iatrogena: il trattamento superficiale o insufficiente delle vaginiti, senza una diagnosi precisa. Il deficit dell’immunità vaginale cellulomediata, con fenomeni di ipersensibilità, aumento delle IgE e istamina e fenomeni autoimmuni per cross reattività Candida-antigeni umani sembrano importanti nelle candidosi ricorrenti. In presenza di disturbi vulvari cronici va escluso che si tratti di patologie di competenza dermatologica: lichen planus, dermatite da contatto, psoriasi, pemfigo.

Tabella 2 - Cause e potenziali rimedi nelle vaginiti recidivanti
Possibile causa Provvedimento per evitare le recidive
• Autosomministrazione incongrua Educare a non autotrattare le vaginiti se non vi è una diagnosi precisa; di terapie farmacologiche non sottodosare o interrompere precocemente i farmaci prescritti
• Resistenza agli antimicrobici Terapie solo se servono, mirate, intensive, di durata adeguata, possibilmente basate sull’antibiogramma
• Reinfezione dall’intestino Bonifica del serbatoio intestinale e normalizzazione della flora
• Alterazione dell’ecosistema vaginale Ripristinare i lattobacilli e il fisiologico pH; non usare lavande vaginali senza un piano terapeutico preciso
• Rapporti sessuali Trattamento del (o dei) partner, uso di profilattico, mingere e lavarsi dopo il rapporto
• Rapporti oro-genitali Limitarli in caso di candidosi ricorrenti
• Ambiente caldo, umido, poco areato Indumenti traspiranti e comodi
• Fumo e cortisonici Non fumare e limitare l’uso di immunosoppressori
• Ipoestrogenismo Terapia estrogenica, se serve normalizzare il trofismo, le difese e il pH vaginale
• Diabete non compensato Garantire sempre un ottimale controllo glicemico
• Deficit immunitari vaginali Difficili da dimostrare e da trattare



Vaginiti non infettive


Le forme non infettive vanno sempre considerate nella diagnosi differenziale, soprattutto nei casi ricorrenti o apparentemente resistenti alla terapia. Possono essere provocate da agenti chimici o irritanti, da cause allergiche, traumatiche, atrofiche o secondarie a malattie sistemiche o extragenitali o da dermatiti o dermatosi. Possono coesistere con cause microbiche o essere secondarie a effetti irritanti o allergizzanti dei trattamenti topici. È utile informarsi delle abitudini igieniche che la paziente ritiene “normali”, e invitarla a non lavarsi troppo, a non utilizzare detergenti aggressivi, profumati e a preferire prodotti per l’igiene intima delicati, che rispettino le mucose genitali, da utilizzare molto diluiti.

Raccomandazioni dell’American Family Physician, 2004

• L’eziologia delle perdite vaginali non dovrebbe essere stabilita
solo sulla base dei sintomi
• Il trattamento delle vaginosi batteriche in gravidanza riduce
il parto pretermine e l’aborto tardivo
• La candidosi vulvovaginale complicata dovrebbe essere trattata
con antimicotici topici per 10-14 giorni
• Nelle donne con candidosi ricorrente la terapia dovrebbe essere
guidata dalla colture e dai test di sensibilità

Am Fam Physic 2004; 70: 2125-31

Vaginite atrofica

I sintomi vaginali da carenza estrogenica possono essere confusi con le infezioni e vanno trattati con estrogeni. Gli estrogeni hanno infatti numerose azioni favorevoli a livello genitale tra cui: aumento del glicogeno e conseguente proliferazione della flora lattobacillare, acidificazione vaginale con protezione dalle infezioni, anche urinarie, aumento della resistenza mucosa ai microtraumatismi coitali e agli agenti infettivi. Un trattamento pratico è l’utilizzo di estriolo ovuli 3.5 mg depot 2/settimana per le prime 3 settimane e in seguito 1/settimana per almeno 6 mesi.

Conclusioni


Precauzioni da adottare per limitare la diffusione delle infezioni nello studio medico
• Lavaggio delle mani, anche se si usano guanti
• Uso di guanti per qualunque contatto, anche indiretto,
con la paziente o le sue secrezioni
• Accurata sterilizzazione, conservazione e smaltimento degli strumenti
• Cauta manipolazione di strumenti taglienti o pungenti
• Uso di maschere e/o occhiali per evitare lo schizzo di secrezioni
se si fanno manovre a rischio
• Disinfezione delle sonde ecografiche vaginali, anche se si usa
il coprisonda

Il medico di medicina generale deve conoscere a fondo le vaginiti, che anche se appaiono come una patologia minore, sono molto frequenti e influenzano il benessere personale e di coppia delle assistite. L’anamnesi non è sufficiente per porre la diagnosi: è necessaria l’ispezione con lo speculum e la valutazione del pH del secreto vaginale. Quando nel tampone vaginale o nell’esito di un Pap test si segnala la presenza di un microrganismo, questo non necessariamente deve essere trattato.
Il trattamento antimicrobico va effettuato se si individua o si sospetta una causa microbica e se vi sono sintomi oppure potenziali effetti negativi del persistere del microrganismo, per esempio la maggior frequenza di complicanze ostetriche nelle vaginosi batteriche.


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