M.D. numero 18, 18 maggio 2005

Rassegna
Indicazioni per il trattamento delle ipercolesterolemie
di Antonio Pio D'Ingianna - Medico di medicina generale, Altomonte (CS) - FIMMG-SIMeF )

L’intervento sulla popolazione generale per modificare i fattori di rischio cardiovascolari con una medicina d'iniziativa o anticipatoria potrebbe essere la vera sfida del futuro per la medicina generale. L’obiettivo fondamentale è sempre il controllo dell’ipercolesterolemia per il cui trattamento esistono diversi presidi farmacologici efficaci.

In Italia si calcola che almeno la metà della popolazione abbia una colesterolemia maggiore di 200 mg/dL. Ridurre del 10% il valore del colesterolo totale nella popolazione generale ridurrebbe del 20-30% l'incidenza di malattie cardiache (strategia sulla popolazione), ma tale percorso sembra impossibile da perseguire per l'inadeguatezza delle risorse, preferendo una strategia individuale, servendosi delle “carte del rischio cardiovascolare globale”, dando un “peso” ai vari fattori di rischio che intervengono nella stessa persona, individuando un target di colesterolo cui mirare.
Le carte del rischio permettono di individuare diversi gruppi di persone (con coronaropatia, con due o più fattori di rischio, senza fattori di rischio) nei quali il valore del colesterolo LDL da raggiungere varia, ovviamente, per ottenere il risultato di un tasso di mortalità simile in tutti i gruppi.
Ma quali sono i valori del colesterolo che possono essere considerati normali, nelle varie categorie di rischio? Recentemente, alla luce degli ultimi trial clinici pubblicati (HPS, ASCOT-LLA, PROVE-IT, PROSPER, ALLHAT-LLT), il comitato scientifico del National Cholesterol Education Program Adult Treatment Panel III (NCEP ATP III) ha modificato le proprie linee guida (Circulation 2004; 110: 227-239) (tabella 1).

Tabella 1 - Valori di LDL indicati per le modifiche allo stile di vita e per la terapia farmacologica nelle differenti categorie di rischio (NCEP ATP III)
Categoria di rischio

Target per il C-LDL
Modifica
dello stile di vita
Introduzione della terapia farmacologica
Rischio elevato: CHD* o equivalenti
di rischio di CHD (rischio a 10 anni >20%)
<100 mg/dL (con eventuale ulteriore riduzione a <70 mg/dL) „100 mg/dL „100 mg/dL (considerare la terapia
con farmaci se C-LDL >100 mg/dL)
Rischio moderatamente elevato: 2 o più fattori di rischio (rischio a 10 anni 10-20%)
<130 mg/dL (con eventuale ulteriore riduzione a <100 mg/dL) „130 mg/dL „130 mg/dL (considerare la terapia
con farmaci se C-LDL 100-129 mg/dL)
Rischio moderato: 2 o più fattori di rischio (rischio a 10 anni <10%)
<130 mg/dL „130 mg/dL >160 mg/dL
Rischio basso: ¾1 fattori di rischio <160 mg/dL „160 mg/dL >190 mg/dL (considerare la terapia
con farmaci se C-LDL 160-189 mg/dL)
Circulation 2004; 110: 227-239



Sono indicate le malattie considerate “equivalenti di rischio di coronaropatia”, cioè diabete mellito, arteriopatia periferica, malattia cerebrovascolare, da trattare allo stesso modo del paziente con coronaropatia, raggiungendo lo stesso target.
Tale equivalenza deriva da evidenze consolidate: per esempio i pazienti con malattia vascolare periferica (forme sintomatiche), con indice di Winsor <0.70, presentano una frequenza di manifestazioni di cardiopatia ischemica del 38% a 5 anni (BMJ 1996; 313: 1440-44), quindi di gran lunga superiori a quel valore del 20% a 10 anni, considerato “elevato rischio” dalle carte più utilizzate.
La revisione della nota 13 da parte dell'AIFA tiene conto di questi studi, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione secondaria, considerando sullo stesso piano le coronaropatie documentate e le malattie “equivalenti” descritte. Forse qualche discussione resta nella prevenzione primaria, da attuare in quei soggetti a rischio elevato di un primo evento cardiovascolare maggiore, valutato come >20% a 10 anni, in base alle carte del rischio del Progetto Cuore dell'Istituto Superiore della Sanità.
Gli studi più recenti fanno sorgere un dubbio: esistono valori di colesterolo sotto i quali non si evidenziano benefici, specie nei pazienti ad alto rischio? Lo studio HPS (Lancet 2002; 360: 7- 22; Lancet 2003; 361: 2005-16; Lancet 2004; 363: 757-67), che ha interessato circa 20.500 pazienti, con e senza coronaropatia, studiando gruppi di diabetici, di ipertesi, con malattia cerebrovascolare, con arteriopatia periferica, tutti con o senza coronaropatia, per cui si identifica come studio di prevenzione secondaria e anche primaria, ha dimostrato che vi era una riduzione del rischio relativo di mortalità e di eventi cardiovascolari utilizzando la simvastatina alla dose di 40 mg/die per 5 anni, anche in quei soggetti che partivano da una condizione basale di colesterolo-LDL <100 mg/dL. In particolare ha dimostrato che la terapia ipocolesterolemizzante serve alle donne come agli uomini, ai soggetti sopra i 70 anni come a quelli più giovani, ai diabetici, agli arteriopatici sintomatici o con storia di ictus, come a quelli che hanno già avuto un evento cardiovascolare, a persone con colesterolo totale <200 mg/dL e con colesterolo LDL <120 mg/dL, come a quelli che hanno valori elevati.
Tali dati sono stati ulteriormente confermati negli studi PROVE-IT (N Engl J Med 2004; 350: 1495-1504), in cui sono state confrontate atorvastatina 80 mg/die e pravastatina 40 mg/die nella sindrome coronarica acuta recente, e ASCOT (Lancet 2003; 361: 1149-58), che ha valutato gli effetti di atorvastatina 10 mg/die vs placebo, in pazienti ipertesi con almeno altri tre fattori di rischio, ma con valori di colesterolo totale <250 mg/dL. In particolare in questo ultimo studio gli effetti benefici della terapia sarebbero stati dimostrati in una popolazione caratterizzata, per la massima parte, da un rischio cardiovascolare globale relativamente basso, pari a circa il 10% nei 10 anni successivi, secondo le carte di rischio cardiovascolare di Framingham.
Il paziente dislipidemico con ipercolesterolemia familiare (circa 2 milioni in Italia) o secondaria deve necessariamente modificare le sue abitudini di vita e alimentari, combattere la sedentarietà e l'eventuale sovrappeso, smettere di fumare: modifiche da attuare per almeno tre mesi, prima di iniziare qualsiasi trattamento farmacologico e da continuare successivamente (JAMA 2001; 285: 2486-97). Una restrizione calorica a lungo termine, diminuisce il rischio cardiovascolare (Proc Natl Acad Sci 2004; 101: 6659-63).
Lo studio Euroaspire II (Lancet 2001; 357: 995-1001) ha dimostrato che persino nei pazienti già cardiopatici ischemici difficilmente si riesce a ottenere dei risultati sul controllo del peso ottimale, dei valori pressori, mentre qualche risultato si è ottenuto nel controllo dell'ipercolesterolemia, grazie all'uso delle statine, sebbene solo il 50% dei soggetti fosse stato trattato e, tra questi, solo il 50% avesse raggiunto il target terapeutico.
Per questi motivi, la grande sfida per la medicina generale e per la sanità in genere si gioca sulla possibilità di modificare i vari fattori di rischio, intervenendo sulla popolazione generale, magari con una medicina d'iniziativa, o addirittura anticipatoria, tracciando dei percorsi di orientamento alla salute e attuando strategie organizzative efficaci e inventandosi nuove metodologie.

Terapia farmacologica


Qualora fossimo costretti a usare i farmaci, quali sono i più efficaci nel trattamento delle ipercolesterolemie?

Resine a scambio ionico

Le resine a scambio ionico (chelanti degli acidi biliari), tipo colestiramina, agiscono a livello intestinale e non sono assorbiti a livello sistemico. Riducono i livelli del C-LDL del 15-30% e risultano utili negli schemi di associazione con le statine. Tra gli effetti collaterali la stipsi, il meteorismo, il dolore addominale; riducono l'assorbimento di altri farmaci se assunti contemporaneamente. Presentano, però, una criticità: stimolano la secrezione di VLDL e quindi possono aumentare i trigliceridi e pertanto sono controindicati in caso di ipertrigliceridemia di base.

Acido nicotinico

L'acido nicotinico (non in vendita in Italia) e i suoi derivati (tipo acipimox) devono essere usati a dosi generose, 2-4.5 g/die, e producono una diminuzione del 25% del C-LDL nel plasma, del 50% dei trigliceridi, un aumento del C-HDL del 25-50%. I problemi sono la presenza di importanti effetti collaterali in circa il 30% dei pazienti: arrossamenti cutanei, gastrite, ulcera, epatite (effetto epatotossico), iperglicemia, iperuricemia, iperomocisteinemia (aumenti del 15-20%). Proprio per la sua efficacia ad aumentare il colesterolo HDL, tale trattamento associato alle statine sta avendo una rivalutazione e anche in Italia potrebbe essere introdotto nel prossimo futuro una formulazione a lento rilascio di acido nicotinico.

Fibrati

I fibrati sono particolarmente utili nei pazienti con ipertrigliceridemia, nel contesto di una sindrome metabolica, in quanto producono solo una modesta diminuzione del C-LDL (10%) e un modesto aumento del C-HDL (10%). Nei pazienti con ipertrigliceridemia, l'uso di questi farmaci può produrre addirittura un incremento del C-LDL (Rakel RE, Bope ET. Conn's Current Therapy. Saunders, Philadelphia 2004). Gli effetti collaterali sono: aumento della frequenza di litiasi biliare, riduzione della libido, miosite (aumenta il rischio se associati alle statine).

Statine

Le statine sono i farmaci di scelta nelle ipercolesterolemie che non rispondono alla sola dieta e all'attività fisica. Hanno diversi effetti, anche se in misura diversa tra loro: riducono il colesterolo totale e LDL; riducono il colesterolo non-HDL per un effetto di riduzione anche dei trigliceridi; aumentano il colesterolo HDL, hanno un effetto antinfiammatorio con stabilizzazione della placca, soprattutto l'atorvastatina (studio REVERSAL), con effetti di riduzione della PCR (JAMA 2004; 291: 1071-80); ridurrebbero la viscosità del sangue, la rigidità di parete dei globuli rossi, l'aggregazione piastrinica e il fibrinogeno; aumenterebbero la produzione di ossido nitrico). Da studi comparativi, per esempio lo STELLAR (Am J Cardiol 2003; 92: 152-60) e da metanalisi (BMJ 2003; 326: 1423-27; Circulation 2004; 110: 886-92) si deduce che rosuvastatina alle dosi di 5 mg, atorvastatina 10 mg, simvastatina 40 mg, sono in grado di ridurre del 40% il C-LDL di partenza, mentre una riduzione intorno al 25% si può ottenere anche con la pravastatina e la fluvastatina, scegliendo in base a dati di farmacoeconomia.
Da una metanalisi di 58 trial sul rapporto tra riduzione del C-LDL e riduzione del rischio di cardiopatia ischemica, nei vari anni di trattamento si osserva, comunque, che una riduzione del C-LDL pari ad 1 mmol (39 mg/dL) riduce in media il rischio dell'11% nel primo anno di trattamento, del 24% nel secondo anno, del 33% tra i tre e cinque anni, del 36% da cinque anni in poi di trattamento.
Confrontando e integrando questi trial con altri studi di coorte si arriva alla conclusione che, dopo alcuni anni di trattamento, una riduzione di 1.8 mmol (pari a circa 70 mg/dL) ridurrebbe gli eventi di CHD di circa il 61% (e del 17% lo stroke), in pazienti con età >60 anni (BMJ 2003; 326: 1423-27).
È evidente, quindi, che quando si decide di iniziare una terapia con una statina, bisogna continuarla per tempi “indefiniti”, per ottenere dei risultati. Tale criticità è stata messa in evidenza anche dalla recente revisione della nota 13, dove si afferma testualmente: “L’uso dei farmaci ipolipemizzanti deve essere continuativo e non occasionale”.
Tra gli effetti collaterali delle statine, ricordiamo l'aumento delle transaminasi epatiche (dose-dipendente), la rabdomiolisi fatale (<1 morte/1 milione di prescrizioni), disturbi muscolari o articolari (5% dei soggetti, simile alle percentuali riscontrati con il placebo nei vari trial); miopatia grave (CK>10 volte il limite superiore della norma, solo nello 0.08% dei pazienti trattati), tendenza alla proteinuria.
Diversi fattori possono aumentare il rischio di effetti collaterali della terapia con statine: età avanzata, corporatura minuta e fragile, malattie multisistemiche (diabete, insufficienza renale), terapie multiple (fibrati, warfarin, verapamil, amiodarone, macrolidi, fluoxetina, antistaminici, benzodiazepine), alcol e spremuta di pompelmo (Circulation 2004; 110: 886-92); periodi perioperativi; terapie specifiche (ciclosporine; HIV-inibitori proteasi).

Ezetimibe

L'ezetimibe, inibitore dell'assorbimento intestinale del colesterolo biliare e dietetico, agisce a livello dell'orletto a spazzola delle cellule intestinali, probabilmente bloccando la proteina NPC1L1 (Niemann-Pick C1 Like-1) in modo selettivo, tanto da non interferire sull'assorbimento dei trigliceridi, estrogeni, altre sostanze e vitamine liposolubili. Lo studio EASE (Mayo Clin Proc 2005; 80: 587-95) ha dimostrato che utilizzando ezetimibe 10 mg/die associata a una statina in pazienti già in trattamento con statina, ma con valori di C-LDL non ancora stabilizzati, si otteneva un’ulteriore riduzione di circa il 26% del C-LDL, rispetto al gruppo placebo, in tutti i gruppi con vari fattori di rischio, e una percentuale maggiore di persone raggiungeva il target secondo le linee guida NCEP ATP III.
Questa molecola permetterebbe quindi di ottenere dei benefici senza aumentare eccessivamente la dose della statina, riducendo la possibilità di insorgenza di effetti collaterali, anche se qualche studio ha riportato un incremento delle transaminasi >3 volte il limite superiore della norma in qualche caso, ma non un aumento di casi di rabdomiolisi (Am J Cardiol 2002; 90: 1084-91; Circulation 2004; 110: 886-92). La molecola non è ancora disponibile in Italia, mentre lo è già in alcuni Paesi europei (Germania, Regno Unito, Spagna, Irlanda, Svizzera, Paesi Bassi).
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