M.D. numero 1, 18 gennaio 2006

Dibattito
A proposito dell’efficacia dei farmaci equivalenti
di Carlo Ghezzi, Medico di medicina generale, Como

Ho letto con interesse i recenti articoli sui farmaci generici (o equivalenti) pubblicati su M.D. (2005; 26: 11; 34: 9-11). Ho constatato con piacere di condividere con altri colleghi la sensazione che non sempre il generico “funzioni” quanto il farmaco originale. Anche sul lessico utilizzato avrei qualcosa da dire: ritengo infatti improprio il termine “griffati” per indicare i farmaci di marca. Ciò non toglie che tutti i medici di famiglia attendono di vedere svanire i loro dubbi attraverso evidenze cliniche che diano a questi farmaci la stessa dignità farmacologica di quelli di marca, stanchi di sentirsi dire dai pazienti: “il generico che mi ha dato il farmacista non funziona come quello che ho sempre preso, per avere lo stesso risultato sono costretto ad assumerne due dosi insieme”...


E'
vero che i farmaci generici contengono lo stesso principio attivo di quelli di marca, ma non c’è prova scientifica di uguale biodisponibilità. Al riguardo l’Aifa, in chiave di rassicurazione, in un recente documento ha tenuto a precisare che “i farmaci generici in commercio sono stati registrati per la stragrande maggioranza con procedure di mutuo riconoscimento: ciò significa che lo stesso generico-equivalente è presente sul mercato perché registrato sulla base dello stesso dossier di bioequivalenza, in tutti i Paesi europei”.
Si lasci passare il termine “stragrande maggioranza”, nei fatti nessuno può negare che i farmaci, quelli di marca e quelli equivalenti, contengano la stessa specialità, con le stesse caratteristiche chimico-fisiche, ma sintesi, eccipienti, conservazioni, tipo di incapsulamento, ecc. però differiscono. E questa non è un’inezia ai fini dell’assorbimento del farmaco. Ho sostenuto le stesse argomentazioni con la dirigenza della mia Asl quando fui convocato, accompagnato dal mio avvocato, per giustificare l’esposizione nei locali del mio studio di un cartello nel quale manifestavo ai pazienti i miei dubbi sull’uso dei cosiddetti “farmaci generici”.
Dal punto di vista del contenimento della spesa farmaceutica, nessuno può obiettare che i farmaci generici costano meno e quindi sono fonte di risparmio. Ma mi chiedo, se non viene garantito lo stesso assorbimento, se non mi curo compiutamente, vale la pena risparmiare qualche euro? Un esempio: il warfarin generico funziona circa il 33% in meno di quello di marca. Cito un farmaco salvavita e ciò che affermo è noto e pubblicato su diverse riviste scientifiche.
Altro problema: molte delle ditte che producono generici sono nate dal nulla, altre per fortuna no, hanno una storia di decennale attività e fanno di tutto per dimostrarsi “all’altezza”. Ma il paziente come fa a distinguere tra i produttori?
A livello istituzionale si sostiene che “la diffusione dei farmaci equivalenti garantisce pari efficacia di cura a un prezzo inferiore a carico del Servizio sanitario nazionale e ciò può convertire il risparmio nel sostegno alla ricerca ed allo sviluppo di nuovi principi attivi”. Questa affermazione è tutta da verificare, ma è sicuramente non veritiera laddove si parla di “pari efficacia di cura”.
Altro punto critico riguarda le differenze in merito alle indicazione terapeutiche. Ne è esempio palese il “gabapentin”, che in qualità di farmaco di marca ha fra le sue indicazioni il dolore neuropatico mentre l’equivalente generico no. Se il medico in merito a tale patologia prescrive il farmaco di marca e il farmacista consegna, previo consenso del paziente, il generico ci troveremmo di fronte a quella che i funzionari Asl chiamano “prescrizione impropria”. Ma in questo caso chi ha commesso il reato?
L’unica certezza incontrovertibile quindi resta il fatto che i farmaci generici fanno risparmiare un po’ di denaro a chi dovrebbe, invece, spenderlo tutto per tutelare la salute.
Comunque nella discussione sui farmaci equivalenti e sulle possibilità di “diversa o scarsa efficacia” evidenziate da alcuni Mmg, definite “fantomatiche” dagli organi competenti, si è completamente perso di vista che in qualità di medici siamo e restiamo dei libero professionisti. Proprio per questo siamo obbligati a rispondere in primis alla nostra coscienza professionale in merito al nostro operato ed eventualmente alla Magistratura, qualora commettessimo un reato.
Partendo da ciò, mi è difficile comprendere il fatto che il collega Del Barone, nella sua qualità di presidente FNOMCeO, abbia definito “grave” la denuncia dei colleghi calabresi (M.D. 2005; 26: 11). Grave, in merito a problemi che interessano la salute, sarebbe stato tacere un problema, non sollevarlo.