M.D. numero 2-3, 1 febbraio 2006

Tribuna
Si profila una diaspora dalla medicina generale
di Luca Serra, Medico di medicina generale, Verbania Intra

L
a lettera del collega Lorenzo Peli (M.D. 2005; 29: 14), a cui va tutta la mia solidarietà, nella quale annunciava il proprio prematuro ritiro dalla convenzione, dovrebbe fare riflettere tutti i Mmg, ma soprattutto quelli che abbiamo delegato a prendere decisioni.
Si tratta di un segnale di quella che in poco tempo potrebbe trasformarsi in una vera e propria diaspora di colleghi che, esasperati dalle sempre più difficili condizioni di lavoro, lasciano o prendono in considerazione di revocare la convenzione per la dipendenza.
Non sono giunte a caso, infatti, le risoluzioni adottate dall’ENPAM per agevolare il passaggio dei contributi pensionistici all’INPDAP. Altro indicatore di tale tendenza è il rapporto ottimale, che in sordina viene ritoccato di continuo verso l’alto

N
egli ultimi anni è cresciuto il numero dei colleghi che cercano Oltremanica quel rispetto e quel riscontro professionale ed economico consoni a impegno e responsabilità proprie della medicina di famiglia, che in patria viene loro negato.
Mi chiedo quindi come si potrebbe biasimare chi tra i medici di famiglia opta per la dipendenza, basta mettere sul piatto della bilancia le fluttuanti ore giornaliere necessarie per esercitare bene la professione, adempiendo anche a tutte le incombenze burocratiche e rapportarle alle garanzie contrattuali della dipendenza.

Il silenzio assenso


All’ormai cronico stato di frustrazione dei Mmg, dovuto all’insostenibile peso della burocrazia, alle pretese camuffate da diritti di troppi utenti non si è però arrivati per caso, ma attraverso un lungo cammino fatto di discriminazioni, ingiustizie e umiliazioni piovute una dopo l’altra sulla nostra categoria, accettate con indolenza, che col tempo hanno stravolto il rapporto medico paziente, provocando un vero e proprio gap professionale e ora anche economico coi “cugini” ospedalieri. Le tappe fondamentali di questo cammino sono segnate dalla legge sulle incompatibilità, firmata dall’allora ministro della sanità Carlo Donat Cattin, che obbligava i medici allo stesso tempo dipendenti e convenzionati a scegliere una delle due opzioni, ma chi sceglieva per la dipendenza poteva in qualsiasi momento ritornare sul territorio come convenzionato a dispetto di qualsiasi graduatoria, il contrario non era possibile se non attraverso regolare concorso. Poi arrivò il ministro De Lorenzo con la legge 502 e tutte le riforme successive i cui effetti è inutile elencare perché ben conosciuti da tutti noi.
A ciò va aggiunto il contributo denigratorio dei mass media verso la nostra categoria, preso spesso a pretesto per legittimare le espropriazioni di molte delle nostre competenze.

Le dolenti Note


Ma il colpo di grazia alla qualità del nostro lavoro l’hanno dato comunque le Note CUF, ora AIFA, vere pietre tombali sul rapporto di fiducia medico paziente. Tutti in teoria sono tenuti a rispettare le Note, ma in pratica solo a chi appone la propria firma su una ricetta a lettura ottica con tanto di timbro e testo scritto con la stampante va la responsabilità e l’eventuale sanzione in caso di inappropriatezza prescrittiva. E così rincorriamo il miraggio della ricetta perfetta per compiacere controllori e farmacisti, tra codici di esenzione per patologia e circolari a volte tra loro contraddittorie. Alla fine per aggiornarci non ci resta che un tempo troppo residuale, troppo spesso sottratto alla nostra vita privata.
Vista la situazione e il contesto professionale lavorativo è palese che chi continua a fare il Mmg o è fortemente motivato oppure non ha altra scelta. Mi rivolgo a questi colleghi a cui mi sento di far parte per sottolineare che siamo noi che teniamo assieme il sistema della sanità pubblica, proprio per questo dobbiamo imparare a dire di no quando va detto, sottraendoci una buona volta al ricatto della revoca e alla sudditanza “professionale” che comunque ci investe verso i colleghi specialisti e universitari. Sudditanza che ci porta a trascrivere pedissequamente quanto prescritto da loro ai nostri assistiti anche in caso di dubbi non solo formali (Note), ma a volte sostanziali. È un nostro dovere, oltre che un diritto dipanare tali dubbi o mettendoci direttamente in contatto con il collega se è il caso o palesando l’inappropriatezza prescrittiva non consona ai dettami dell’Aifa. Dobbiamo inoltre cercare di cambiare segno a ciò che ci appare penalizzante, come per esempio il lavoro in équipe. Attraverso queste e altre organizzazioni di lavoro, potremmo invece riscoprire quello spirito di appartenenza, fondamentale per affrontare con atteggiamento comune ciò che fino a ora abbiamo sempre affrontato in ordine sparso.