M.D. numero 5, 15 febbraio 2006

Contrappunto
L’esterofilia fuori luogo dei medici europei
di Antonio Attanasio, Medico di medicina generale, Mandello del Lario (LC)

U
n collega mi ha scritto in privato lamentando la poca considerazione che ho mostrato talvolta per la medicina anglosassone in alcuni miei articoli pubblicati da M.D. Al riguardo mi ha anche tacciato di essere un autarchico. Per fortuna, sottolineo, il collega non ha fatto caso all’opinione che ho della medicina italiana, altrimenti mi avrebbe chiamato anche disfattista. In ogni caso, mi ha chiesto di spiegare perché sono fuori dal coro e non voglio riconoscere la grandezza delle scuole mediche anglo-americane. Purtroppo, anche se mi sono sempre riproposto di farlo, non ho mai iniziato a tenere un database delle castronerie che incontro leggendo la letteratura medica d’oltre oceano, ciò non toglie che posso provare lo stesso a spiegare da dove arriva la mia costernazione

A
nwNon penso di andare a rileggere trent’anni di riviste mediche per poter essere esaustivo con il collega che mi addebita una certa idiosincrasia per la medicina anglosassone.
Ho quindi preso una delle ultime riviste che ho trovato sulla mia scrivania e le ho dato una rapida scorsa alla ricerca di qualcosa che ero sicuro avrei trovato come esempio da cui partire. Ecco dunque la bibliografia: Am Fam Physician 2005; 72: 1707-14. Si tratta di un articolo su Diagnosi e terapia della gravidanza extrauterina. Al secondo paragrafo si dice che le morti sono calate da 33.5 per diecimila gravidanze extrauterine nel 1970 a 3.8 per diecimila nel 1989 e si ricorda che le opzioni terapeutiche sono l’osservazione, il trattamento farmacologico e il trattamento chirurgico. Più avanti, a pagina 1.713, nel paragrafo Follow up e prognosi, si afferma che la prognosi è buona per le pazienti che ricevono un trattamento appropriato. La scoperta, degna di nota, non è però merito degli americani. Già Monsieur de la Palisse se ne era accorto. Senza riconoscere la priorità del grande francese, gli autori proseguono imperterriti, affermando che con la giusta selezione delle pazienti le percentuali dei successi si avvicinano all’82% per l’osservazione, al 90% per il trattamento farmacologico e al 92% per il trattamento chirurgico.

Ragioniamo


Ora, ammettendo che 18 pazienti su 100 in cui non ha successo l’osservazione siano sottoposte a terapia farmacologica, di queste 1.8 (18 per 10%) rimarrebbero ancora non curate.
Se queste 1.8 pazienti sono ora sottoposte a terapia chirurgica, in 0.144 (1.8 per 8%) non si otterrebbe ancora alcun successo terapeutico (e a questo punto, esaurite le opzioni di cura, per questo 0.144% di pazienti si aprirebbero soltanto le porte dell’al di là). Teniamo anche presente che questo ipotetico flusso di pazienti da un’opzione all’altra rappresenta la condizione teorica migliore, nella pratica però qualche paziente sottoposta ad una delle tre opzioni potrebbe trovarsi al capolinea prima che si sia avuto il tempo di provare le altre due. Adesso paragoniamo questi 0.144 insuccessi definitivi su cento, vale a dire 14 su diecimila, coi 3.8 decessi su diecimila citati all’inizio.
La differenza non è enorme ma, tenuto anche conto delle considerazioni appena fatte, tale differenza potrebbe anche essere in realtà maggiore, e ciò lascia decisamente perplessi. Ma il rigore degli autori americani non va messo in dubbio, è proverbiale. Infatti, appena in una pagina prima c’è una splendida flow chart per la diagnosi della sospetta gravidanza extrauterina. La prima frase è: “Female patient of reproductive age presents with at least one of the following positive….?” (Una paziente di sesso femminile in età fertile è positiva ad almeno uno di questi segni...?).
Pochi europei, ad eccezione di quelli che hanno scoperto l’America studiando medicina, arriverebbero mai a capire l’utilità di specificare che la diagnosi di gravidanza extrauterina è possibile solo in un paziente di sesso femminile e in età fertile.
Gli autori americani invece ci arrivano, loro sanno che bisogna essere precisi, inesorabili come dei computer, che non si può lasciare nulla sottinteso, nulla all’intuito. Già, pochi europei ad eccezione di quelli che hanno scoperto l’America studiando medicina. Eccolo, questo è il problema. Ormai centinaia di migliaia di medici europei, italiani in testa, hanno scoperto l’America nelle aule universitarie e nelle sale dei congressi e ne sono rimasti affascinati, come prima di loro avevano fatto i sociologi e gli psicologi.
L’America è stato un grande Paese per la medicina e le scienze sociali, ma da una trentina d’anni a questa parte è rovinosamente crollata. Ed è da allora che noi, naturalmente, abbiamo scoperto quanto è grande l’America.