M.D. numero 5, 15 febbraio 2006

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Indagine del Senato sul Ssn: un atto d’accusa

Nel mirino le politiche del farmaco, con particolare riferimento alla determinazione del prezzo e alle caratteristiche della spesa farmaceutica, ma anche la denuncia del fenomeno del comparaggio e della pressione indebita sui prescrittori: questo il focus dell’attività della Commissione d’indagine del Senato sul Ssn per questa legislatura

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a anni di indagini nelle Regioni italiane, di incontri con le forze dell’Ordine, ma anche con i rappresentanti delle categorie mediche e dei pazienti, è scaturito un resoconto puntuale e molto dettagliato da parte della Commissione d’inchiesta del Senato sulle strutture sanitarie in merito agli episodi più clamorosi di malasanità in Italia, che vedono, purtroppo, al centro delle polemiche anche i Mmg.
Il «comparaggio» rappresenta per la Commissione un serio pericolo capace di incrinare il rapporto di fiducia del cittadino nei confronti di tanti medici, non coinvolti, delle strutture pubbliche e, più complessivamente, dell’intero Ssn.
Oggi il Servizio Sanitario Nazionale, unitamente ai Servizi Sanitari Regionali, faticano a tenere sotto controllo o a contenere la spesa farmaceutica, i cui costi, compresi quelli del «comparaggio», incidono pesantemente sul totale della spesa sanitaria. “Tale situazione - tiene a precisare la Commissione nel documento conclusivo - costituisce un grave fattore limitante per il finanziamento e per la maggiore diffusione dei servizi sanitari distrettuali sul territorio”. L’interesse della Commissione quindi si è concentrato proprio sugli aspetti illeciti, allo scopo di comprendere come intervenire per archiviare il fenomeno.

Una legge per gli isf


Se si salvaguarda il principio per cui l’informazione scientifica è una attività lecita e necessaria e che quello di informare con motivate giustificazioni scientifiche gli operatori sanitari, in merito alle caratteristiche e alle modalità di utilizzo dei farmaci, in particolare delle nuove molecole, è compito che implica l’assunzione di una rilevante responsabilità nei confronti del sistema sanitario e dei cittadini, non si comprende, a giudizio della Commissione, “come sia possibile che gli informatori scientifici del farmaco, primo anello della catena, operino ancora in mancanza di una adeguata e moderna normativa che ne regoli specificamente l’attività. In alcuni casi, questo comporta che essi siano privi di qualsiasi garanzia di stabilità del loro rapporto di lavoro e concede alle industrie farmaceutiche la facoltà di beneficiare di una completa discrezionalità sia per quanto riguarda i trattamenti di ordine economico e commerciale, sia sulle proprie strategie di comunicazione tecnico-scientifiche”.

L’informatizzazione può aiutare


Sulle pratiche di informatizzazione del sistema prescrizione-vendita del farmaco, i dati acquisiti dal ministero della Salute e dalle singole Regioni provengono dalle farmacie, “quindi si può risalire alla Asl di competenza - sottolinea la Commissione - e addirittura alla città (le farmacie - come è noto - sono ubicate sulla base di un piano regionale), è lecito pensare che l’anomalia di certi consumi dovrebbe risultare talmente evidente e partire da questi dati per poter determinare un controllo mirato. Oggi i sistemi informatici sono così precisi e dettagliati da fornire dati che possono essere scomposti e ricomposti e che sono, in tempo reale, in grado di indicare le aree geografiche nelle quali si verificano consumi fuori range, a meno che non vi siano precise condizioni di tipo epidemiologico. Per ogni ricetta sono riportati la diagnosi, l’età del paziente e il medico prescrittore; diventa quindi estremamente facile, per un ufficio della Asl preposto al controllo di questi aspetti, comprendere, con l’ausilio degli stessi strumenti informatici di cui è dotato, dove ci sono le anomalie e poter intervenire rapidamente. Paradossalmente, però, vi sono ancora delle Asl sprovviste di lettore ottico, utile non solo per i farmaci, ma anche per le prestazioni diagnostiche”.

Un’Italia a macchia di leopardo


Le differenze riscontrate nelle diverse aree territoriali sembrano determinate non tanto da una palese difformità e/o inadeguatezza nei profili di normazione e programmazione regionali, quanto piuttosto dall’incapacità di alcune Regioni di adottare gli adempimenti necessari per l’attuazione dei suddetti obiettivi ovvero di verificarne il compiuto rispetto.
Alla presenza nelle Regioni meridionali di un sistema tendenzialmente ospedalocentrico, con vaste sacche di inappropriatezza e di inadeguatezza, si contrappongono i bassissimi indici di attività delle prestazioni di assistenza territoriale e livelli di spesa nettamente superiori alla media nazionale relativamente alla medicina di base e alla farmaceutica. Peraltro, appare necessario che la quota del 5% del complesso dei fondi destinati alle Regioni sia utilizzata per finalità legate alla prevenzione, senza essere più adoperata per altri scopi.
Dal confronto dei dati nazionali si evidenzia come le oscillazioni che si sono rilevate nella spesa per la medicina di base siano determinate in prevalenza dal diverso costo del servizio di guardia medica nelle singole realtà territoriali e che, soprattutto nelle Regioni dell’Italia meridionale, sembra mantenersi su livelli nettamente superiori alla media nazionale. Tali percentuali di costo più elevate sono legate direttamente alla non omogenea distribuzione delle guardie mediche in rapporto alla popolazione (misurata come tasso di guardie mediche ogni 1.000 abitanti), che raggiunge in alcune Regioni meridionali rapporti assolutamente sproporzionati rispetto alla media nazionale (7.8 in Basilicata e 6.6 in Molise a fronte dell’1.1 del Piemonte e dell’1.7 di Lombardia, Veneto e Liguria). Viceversa i valori molto bassi che si registrano in alcune Regioni meridionali nella spesa media pro-capite per l’emergenza ed urgenza sembrano determinati dalla tendenza di queste Regioni a svolgere nei servizi di pronto-soccorso ospedalieri l’attività di emergenza, con conseguente incremento del rischio di inefficienza ed accesso improprio al servizio.

Un viaggio nel malessere


In conclusione, il “viaggio” della Commissione nelle Regioni meridionali, unitamente ai dati emersi dall’attività di ricerca statistica e di campionamento sul Ssn, svolta in collaborazione con l’Università degli Studi di L’Aquila, rileva, in un quadro di diffusa disomogeneità regionale in ordine al rispetto dei principali standard qualitativi, quantitativi e di attività. Nella consapevolezza che le risorse nel settore sanitario sono essenziali e che il nuovo concetto di federalismo fiscale obbligherà tutte le Regioni ad erogare servizi in funzione delle proprie risorse economiche, non può essere ignorato un dato di fondo: la dimostrazione che nella realtà meridionale i finanziamenti si sono tradotti, in modo contraddittorio, in una offerta legata ai bisogni, anzi essi hanno influenzato l’andamento stesso della spesa e le fortissime differenze tra questo territorio e la restante parte del Paese.
Per ovviare a tali disomogeneità diffuse, nonché alle anomalie di sistema che sono state rilevate nel corso dei sopralluoghi svolti, è auspicabile la valorizzazione dell’attività concertativa e di “accompagnamento” a livello nazionale e interregionale, affinché sia favorito il confronto attivo tra le diverse realtà territoriali e sia promossa la predisposizione di comuni strategie di intervento, elaborate anche sulla scorta di esperienze positive.