M.D. numero 5, 15 febbraio 2006

Osservatorio
Il colesterolo degli italiani: un po' di cifre

Due cittadini su tre hanno idee confuse sul significato del colesterolo come fattore di rischio. Per tale motivo occorre intensificare le campagne di sensibilizzazione sulla popolazione, promuovere l’adozione di stili di vita adeguati e, quando necessario, prescrivere i trattamenti farmacologici più efficaci

I
dati del Progetto Cuore dell’Istituto Superiore di Sanità rivelano che nella popolazione italiana il valore medio della colesterolemia totale è di 205 mg/dL negli uomini e 207 mg/dL nelle donne. Considerando la media della popolazione, quindi, è ampiamente superato quello che viene attualmente considerato il valore “di normalità”, ovvero 190 mg/dL. Più nello specifico, l’indagine dell’ISS evidenzia che il 21% degli uomini e il 25% delle donne hanno valori superiori a 240 mg/dL e che il 36% degli uomini e il 33% delle donne hanno una colesterolemia compresa fra 200 e 239 mg/dL.
Ma il dato che più preoccupa è quello che emerge da un’indagine condotta alla fine del 2005 dall’Istituto degli Studi sulla Pubblica Opinione, i cui risultati sono stati presentati in occasione del I Congresso Nazionale della Società Italiana di Terapia Clinica e Sperimentale (SITeCS) svoltosi il mese scorso a Napoli: 63 italiani su cento hanno le idee confuse sul colesterolo o addirittura non sanno cosa sia. Non basta: il 46% del campione intervistato (3984 cittadini maggiorenni) non sa che chi soffre di malattie di cuore deve avere livelli di colesterolo più bassi rispetto ad una persona sana. Fra chi sa di avere il colesterolo alto, il 26% prende farmaci, altri si curano con la dieta e con l’attività fisica. Fra quelli che assumono farmaci, solo il 17% li prende regolarmente per lunghi periodi.

“Lower is better”


L’epidemiologia e i grandi trial clinici hanno identificato nel colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (LDL) il responsabile aterogenico dei depositi lipidici nella parete vasale, quindi il più importante target terapeutico per il trattamento dell’iperceolesterolemia. Per ogni variazione di 1 mg/dL delle LDL, il rischio relativo di cardiopatia ischemica varia a sua volta dell’1%. Recenti studi hanno confermato che “lower is better” (più basso è, meglio è), senza alcuna dimostrazione di un livello-soglia al di sotto del quale la terapia sia meno efficace; pertanto le linee guida terapeutiche sui target di LDL per i pazienti appartenenti alle categorie a rischio più elevato stanno puntando aggressivamente sempre più in basso e ora raccomandano livelli inferiori a 70 mg/dL. Malgrado dagli studi clinici giunga una significativa evidenza sulla riduzione del rischio relativo nei pazienti ad alto rischio di eventi cardiovascolari, questo rimane però ancora elevato.
Le statine sono diventate il punto fermo nella terapia dell’ipercolesterolemia: riducono il colesterolo LDL bloccando un passaggio-chiave nella sintesi del colesterolo, e infatti gli studi clinici hanno dimostrato una regressione dell’aterosclerosi e una riduzione della morbilità e mortalità cardiovascolare. Con le statine più potenti si possono ottenere riduzioni della colesterolemia LDL anche dell’ordine del 50% rispetto ai valori iniziali, ma ciò nonostante non sempre si riescono a raggiungere gli obiettivi terapeutici, soprattutto nei soggetti a più alto rischio, motivo per cui può essere opportuno il ricorso a terapie che prevedano l’associazione di farmaci con differenti meccanismi d’azione, che permettono di ottenere risultati ancora superiori in termini di riduzioni della colesterolemia. Di particolare interesse in tale ottica è l’associazione tra statine ed ezetimibe, che attraverso la strategia della “doppia inibizione” blocca da un lato la sintesi del colesterolo (statine) e dall’altro ne impedisce l’assorbimento intestinale (ezetimibe). Con questa associazione si ottiene una ulteriore riduzione del 20% circa della colesterolemia rispetto a quanto ottenuto con le sole statine.