M.D. numero 5, 15 febbraio 2006

Tribuna
Trasfigurazioni di ruolo e competenze per il Mmg
di Bartolomeo Delzotti, Medico di medicina generale, Urgnano (BG)

L
a metamorfosi kafkiana del medico di famiglia pare essere arrivata a buon punto. Almeno per i medici che come me lavorano in Lombardia, molti, nolenti o volenti, sono costretti a dovere prendere atto dell’ingente difficoltà di movimento che tale trasformazione sta provocando. Proprio come per il personaggio del racconto di Kafka, lo sforzo di governare la nostra persona nell’ambito della professione ci opprime sempre di più, così forse anche ai medici di medicina generale non resta che raccogliersi in un angolo e aspettare la fine.
L’ingresso in pompa magna del sistema assicurativo privato nella gestione della sanità italiana ha nei fatti messo in moto un processo che porta in sé il germe della scomparsa del ruolo e della qualità professionale dei medici di famiglia

E
bbene sì, la medicina generale è stata derubata del suo spirito e della sua competenza. Attraverso le note e i percorsi diagnostico-terapeutici non si è fatto altro che “ufficializzare” un pensiero recondito, quello relativo al ruolo e alla professione di un medico che nei fatti è incapace di fare una prescrizione appropriata e perciò destinato alla semplice applicazione di questi fenomenali strumenti della medicina basata sull’evidenza.
Una volta raggiunta l’uniformità dei comportamenti il medico avrà raggiunto il massimo della sua aspirazione, ma nello stesso tempo potrà essere sostituito da un piccolo impiegato (magari con laurea triennale) con un grande computer in grado di far funzionare il meglio che la tecnologia informatica potrà mettere a disposizione.
Il modello è stato sperimentato e applicato con successo alla catena più debole del sistema e cioè al medico di medicina generale attraverso il sistema della incentivazione; pochi spiccioli iniziali e via alle cosiddette sperimentazioni che permettono, una volta raggiunta una adesione adeguata, di passare all’obbligatorietà della metodica sperimentale.
Queste sperimentazioni hanno sempre e solo lo scopo di creare un servizio con la minima spesa possibile e hanno puntato su progetti che diano ai cittadini l’apparenza di una disponibilità di assistenza sempre maggiore, ma accompagnata da una qualità tutta da verificare e siccome nel tempo il cittadino ha dimostrato di premiare la disponibilità del medico o del servizio piuttosto che la professionalità dello stesso, questo sistema ha buon gioco anche nei riguardi della pubblica opinione.

Uniformità e controllo


Tutti i progetti, da quello relativo alla disponibilità telefonica (sperimentata a Bergamo) a quello della medicina di gruppo, a quello del SISS, seguono questa logica.
L’informatizzazione ha rappresentato un meccanismo di fondamentale importanza nella costruzione di una rete di informazione che, attraverso la creazione di una banca dati assistiti e la creazione di una scheda per il medico, permette di seguire passo per passo il percorso sanitario dell’assistito e i comportamenti prescrittivi del medico, sempre nell’ottica del controllo della spesa, perché l’importante è che i conti di bilancio tornino.
Nel frattempo, a detta per esempio della Regione Lombardia, otto milioni di cittadini lombardi sono stati “mappati”. Un bel regalo di dati insieme ad altri alle Società Assicurative, che cominciano ad intravedere buone possibilità di intervento in una sanità pubblica ormai allo sbando.

Assicurazioni in arrivo


Dagli addetti alle pulizie alle alte sfere tutti si lamentano e paventano il fallimento del servizio pubblico in assenza di collaborazione ai risultati di bilancio.
I direttori generali dichiarano che i soldi disponibili sono insufficienti e rimandano la palla alla Regione, la Regione a sua volta manda la stessa palla allo Stato, lamentando forti vincoli alla sua azione data la scarsità delle risorse; lo Stato rispedisce il tutto ai mittenti invitandoli ad una gestione oculata delle risorse: Il solito scaricabarile in cui gli italiani sono maestri da sempre.
La novità del momento è che tutto quello che è stato sperimentato nell’ambito della medicina generale per vincoli di bilancio - grazie all’individualismo sfrenato della nostra categoria professionale, grazie alla svendita del decoro professionale in cambio di pochi spiccioli, grazie alla spinta propulsiva di alcuni sindacati di categoria, grazie all’assenza ingiustificata degli Ordini dei Medici, grazie alla scarsa attenzione dei mezzi di informazione, grazie all’incapacità della politica di assumere un ruolo di gestione dei problemi e alla sua ormai cronica subordinazione alle leggi dell’economia, ma soprattutto grazie al qualunquismo dilagante (mi faccio i fatti miei e tiro a campare) - viene ora trasferito, pronto e confezionato, alle Aziende Ospedaliere e quindi anche i colleghi ospedalieri dovranno necessariamente uniformare la loro attività attraverso i percorsi diagnostico-terapeutici che rappresentano, là dove sono applicati, la causa principale di contenziosi medico-legali; ma soprattutto dovranno anch’essi subordinare la professionalità alla logica del bilancio.
Ce la farà il Servizio sanitario pubblico a reggere? Questa domanda se la saranno posta in tanti e da tempo insospettabile.
La soluzione è gia pronta e si concretizza nello strumento della collaborazione pubblico-privata nella gestione dei sistemi misti nella sanità; in parole povere arrivano le polizze assicurative.
Un grosso gruppo assicurativo francese (AXA) ha recentemente presentato uno studio in cui si individuano le possibili aree di intervento del privato.
1. Strutture per anziani e lungodegenti sia for profit che no profit.
2. Forme assicurative per prestazioni integrate di tipo sanitario e assistenziale per anziani e lungodegenti.
3. Forme assicurative per la continuità terapeutica in entrata e in uscita.
Ma mi chiedo: se esiste un servizio pubblico efficiente e di qualità, che possibilità ha il settore privato di inserirsi in tale sistema?
La sensazione è che un servizio inefficiente e di scarsa qualità sia la premessa indispensabile perché il cittadino si convinca che non resta altra strada che affidarsi al privato.

Nessuna demonizzazione


Non voglio demonizzare il privato e può essere che l’integrazione pubblico-privato sia allo stato attuale delle cose l’unica possibile via di uscita da un sistema sanitario pubblico non più in grado di gestire la complessità dei bisogni di salute che lo sviluppo sociale ha generato, ma se questa integrazione deve passare attraverso la voluta e studiata degenerazione del servizio pubblico e il suo asservimento a logiche di mercato poco trasparenti non si rende un buon servigio a nessuno.
Chiunque gestirà in futuro la sanità in Italia dovrà fare i conti con la profonda demotivazione dei medici e l’altrettanto profonda sfiducia dei cittadini. Questi subiscono ormai da troppo tempo gli effetti negativi di una politica gestionale della sanità che ha creato mille regole, prodotto burocrazia asfissiante e portato il servizio pubblico al limite del collasso.