M.D. numero 6, 22 febbraio 2006

Indagini
Il dolore delle malattie reumatiche nel rapporto tra medico e paziente
di Sirio Spadano

Un’indagine conoscitiva promossa da AIMEF ha inteso fotografare i diversi aspetti della realtà del dolore nel paziente reumatico e la percezione che di esso hanno sia i malati sia i medici di medicina generale

L
e malattie reumatiche rappresentano in Italia la seconda causa di invalidità, precedute solo da quelle dell’apparato cardiovascolare, e colpiscono 5 milioni e mezzo di persone. La distribuzione della frequenza delle varie malattie reumatiche vede al primo posto, con circa il 70% dei casi, l’artrosi, seguono i reumatismi extra articolari, le spondiloartriti sieronegative, l’artrite reumatoide, la gotta e altre.
Le caratteristiche cliniche di quasi tutte le malattie reumatiche sono il dolore e l’impotenza funzionale. Il dolore in particolare, per le sue caratteristiche di intensità e persistenza (anche notturna), rende difficile la vita dei pazienti. Nelle malattie reumatiche il dolore non è un aspetto secondario della patologia, bensì è parte costituente e indice di gravità della stessa ed è sempre presente, più o meno acuto, perché è il sintomo principale dell’impegno delle articolazioni, dei muscoli, dei tendini coinvolti nelle malattie reumatiche. Con il peggioramento della malattia il dolore può disturbare ogni piccolo movimento della giornata e perfino il riposo notturno. Il dolore contribuisce alla limitazione funzionale delle articolazioni colpite, che a sua volta è responsabile dei problemi incontrati dal paziente nella gestualità quotidiana. Quasi tutti i malati reumatici che chiedono consulto al medico di famiglia, lo fanno a causa del dolore e della limitazione funzionale provocati dalla malattia.
Ecco perché l’indagine osservazionale “Il dolore delle malattie reumatiche nel rapporto tra medico e paziente”, promossa dal Dipartimento di Reumatologia dell’Associazione Italiana Medici di Famiglia (AIMEF) con il contributo di Merck Sharp & Dohme, ha inteso fotografare i diversi aspetti della realtà del dolore nel paziente reumatico e la percezione che di esso hanno sia i malati sia i medici di medicina generale.
In particolare, l’indagine osservazionale ha inteso verificare l’impatto del dolore sul rapporto tra medico e paziente e sulla qualità di vita in generale, evidenziare i momenti della giornata e le attività quotidiane che risentono maggiormente di tale sintomo e verificare la percezione dell’efficacia dell’approccio terapeutico da parte dei pazienti e dei loro curanti. L’indagine ha infine teso a sottolineare quali siano le principali richieste e aspettative rispetto alle terapie contro il dolore di medici e pazienti.
I dati sono stati raccolti dall’Istituto di Ricerca SWG attraverso colloqui individuali in profondità e la somministrazione di questionari semistrutturati. Il questionario ai pazienti è stato distribuito attraverso i curanti.

Profilo dei pazienti


Il campione intervistato è di 655 medici di medicina generale (34.5% Nord; 12.5% centro e 53% sud) e 648 pazienti affetti da malattie reumatiche (47.3% Nord; 12.2% Centro e 40.5% Sud e Isole).
Le malattie reumatiche diagnosticate ai pazienti coinvolti nell’indagine sono: artrosi (70.8%), artrite reumatoide (17.1%), gotta (9.7%) e altre malattie (5.9%) (figura 1).
L’età media dei pazienti che si rivolgono al medico a causa di una malattia reumatica è di 58 anni (10.8% fino ai 40 anni, 35.4% dai 41 ai 60 anni e 53.8% oltre i 60 anni).
I distretti anatomici dichiarati maggiormente interessati dal dolore reumatico sono la colonna toraco-lombare (60.4% dei medici; 46% dei pazienti) e le ginocchia (57% dei medici; 43.8% dei pazienti) (tabella 1). I medici hanno inoltre riscontrato un peggioramento nel tempo della malattia nel 59.9% dei pazienti intervistati (nel 63.8% di essi la progressione riguarda un ulteriore distretto anatomico oltre a quello coinvolto all’esordio della malattia).
Relativamente alla percezione del dolore e della disabilità, a medici e pazienti è stato sottoposto il Chronic Pain Grade Questionnaire, che consente di classificare il paziente in quattro differenti categorie, secondo l’intensità del dolore e il livello di disabilità.
• Grado I: bassa intensità di dolore - basso grado di disabilità;
• Grado II: alta intensità di dolore - basso grado di disabilità;
• Grado III: elevato grado di disabilità - paziente moderatamente limitato;
• Grado IV: elevato grado di disabilità - paziente severamente limitato.
Tale approccio ha consentito di differenziare i pazienti con elevata intensità di dolore ma con scarsa limitazione funzionale da quelli con analoghi livelli di dolore ma con associata disabilità.
Relativamente alla valutazione degli effetti disabilitanti del dolore sullo stato generale di salute, il riscontro dei pazienti evidenzia che se quasi 4 pazienti su 10 dichiarano la presenza di dolore associato a un elevato grado di disabilità, più di 6 pazienti su 10 lamentano dolore (più di 4 su 10 dolore di intensità elevata) anche se associato a un basso grado di disabilità. Praticamente identico il riscontro dal punto di vista dei curanti, secondo i quali i pazienti che lamentano dolore nonostante un basso grado di disabilità sono il 64.5% (il 36% alta intensità di dolore), mentre coloro che associano dolore ed elevato livello di disabilità sono il 35.5% (figura 2).

L’impatto del dolore sulla qualità di vita


Il dolore muscolo-scheletrico determina significativi riflessi sulla sfera cognitiva, affettiva e soprattutto comportamentale del paziente. Ne risultano compromessi il comportamento espressivo e motorio, il sonno, le interazioni sociali e familiari e l’attività lavorativa, ingenerando una complessiva diminuzione della qualità di vita del malato. Ciò risulta evidente anche dai colloqui condotti in profondità con i pazienti e relativi alla dimensione privata, affettiva, sociale e lavorativa. Ben il 57% dei pazienti coinvolti nell’indagine dichiara infatti che il dolore, pur in corso di trattamento, impedisce di svolgere normalmente alcune o molte delle attività quotidiane e il 35% lamenta disagio, nonostante la conservata capacità di agire normalmente (figura 3). Le attività che risultano più difficili da svolgere sono: alzarsi ed essere subito attivi la mattina (per il 65.5% dei pazienti), svolgere le mansioni lavorative (61.2%), salire e scendere le scale (56%), fare le faccende di casa (55.3%), camminare per oltre 10 minuti (52.5%), dormire per tutta la notte (50.3%), fare la spesa (44.5%) (figura 4). Anche addormentarsi (43.6%), fare il bagno e vestirsi, guidare o viaggiare con altri mezzi di trasporto, avere rapporti intimi con il partner (29.8%) risultano essere attività difficili da affrontare per chi soffre di dolore cronico muscolo scheletrico. I medici, pur riconoscendo il condizionamento esercitato dal dolore sulla qualità di vita dei pazienti, considerano importante il controllo del dolore e l’89.4% di essi dichiara che il dolore incide in modo sensibile sulla qualità di vita dei pazienti ed è solo parzialmente controllabile (figura 5).

Il rapporto medico-paziente


La vera sfida nell’ambulatorio di medicina generale è costituita dal paziente con dolore cronico di origine reumatica. Questa situazione è quella che più mette alla prova il medico curante, la sua pazienza e la sua capacità di ascolto e di adesione alle esigenze del paziente. Se il 70% dei medici afferma infatti che coloro che soffrono di malattie reumatiche chiedono un consulto con una frequenza superiore rispetto agli altri, ben il 40% dei curanti intervistati afferma che tali pazienti si rivolgono all’ambulatorio 2-3 volte al mese. Leggermente diversa la percezione dei pazienti: solo 2 su 10 ammettono di recarsi dal proprio medico con tale frequenza mentre più di 6 su 10 affermano di rivolgersi al curante 1 volta al mese o anche meno (41.5%). D’altronde la metà (51.8%) dei pazienti intervistati ammette di rivolgersi al medico ogni volta che il dolore impedisce di svolgere le attività quotidiane (figura 6).
Le interviste in profondità condotte su medici e pazienti sottolineano come il primo approccio sia fondamentale all’instaurarsi di un rapporto di fiducia, che raramente viene messo in discussione quanto più la malattia appare essere grave. Uno dei primi aspetti sui quali si concentra l’attenzione del medico è la remissione del dolore, il che dimostra un’elevata capacità di ascolto del paziente da parte del curante e la coscienza che una mancata remissione di tale sintomo potrebbe rendere più difficoltoso il rapporto con il malato e la sua aderenza alla terapia in termini più complessivi. Significativa in tal senso la risposta dei pazienti rispetto ad un eventuale autonomo rinforzo del farmaco antidolore prescritto dal medico: l’83% dei pazienti dichiara infatti di rinforzare l’effetto del farmaco ricorrendo a modalità e tempi di assunzione (aumento delle dosi terapeutiche, associazioni farmacologiche improprie o ricerca di medicine alternative, ecc.) e a rimedi e farmaci non prescritti dal medico.

Il fatto di agire in modo autonomo rispetto ai consigli e alle prescrizioni del medico non inficia comunque la percezione dei pazienti rispetto alla propria capacità di aderire alla terapia prescritta. Il 70% dei pazienti dichiara infatti di seguire con diligenza le cure farmacologiche prescritte dal proprio curante, che conferma tale comportamento nel 75% dei casi.
L’ascolto riservato al paziente e la coscienza che il dolore vada trattato come problema sanitario specifico, come malattia in sé e per sé, non condiziona comunque la visione complessiva del medico curante che identifica alla pari quali principali obiettivi terapeutici: l’induzione della remissione rapida del dolore (51.9%) e il rallentamento della progressione patologica (48.5%).
Tuttavia l’84% dei medici e il 54.9% dei pazienti (senza dimenticare l’elevata percentuale di pazienti, ben il 40%, che richiede un “aggiustamento” terapeutico) dichiarano che la principale ragione di richiesta di consulto è relativa alla domanda di terapie più efficaci contro il dolore (figura 7) e 9 curanti su 10 affermano che la richiesta prioritaria che i pazienti affetti da artrosi o da artrite reumatoide rivolgono loro è il controllo efficace e immediato del dolore.

La terapia farmacologica


La soddisfazione del paziente reumatico passa dunque attraverso una terapia del dolore che assicuri: maggiore durata dell’effetto di remissione del sintomo (58%), maggiore efficacia (circa 56%) e rapidità d’azione (48%) (figura 8). Speculare la richiesta del medico per quanto riguarda gli aspetti qualificanti del farmaco (58% durata; 55% efficacia e 46% rapidità d’azione). Naturalmente, tra le voci non direttamente legate all’argomento dolore, rimane importante per entrambe le categorie la preoccupazione per la tossicità/tollerabilità del farmaco a breve e a lungo termine. Una conferma della priorità riconosciuta dal paziente e dal suo curante rispetto a durata, efficacia e rapidità d’azione della terapia contro il dolore viene dai dati che registrano i principali motivi di insoddisfazione da parte del malato e la loro percezione da parte del medico. La troppo breve durata dell’effetto antidolorifico è la prima causa di lamentela da parte del paziente (riscontrata nel 33% degli intervistati), seguono la scarsa rapidità d’azione (22%) e l’inefficacia della terapia (20%). Sebbene nella percezione del medico la classifica dei motivi di insoddisfazione non cambi, alcuni di essi risultano amplificati rispetto alla percezione del paziente. Per i medici infatti l’insoddisfazione rispetto alla durata troppo breve degli effetti antidolorifici si rileva nel 66% dei casi, così come la scarsa rapidità d’azione è lamentata nel 40% dei casi.
Indipendentemente dall’insoddisfazione dichiarata rispetto alla terapia in corso, significativo infine appare il dato relativo alla disponibilità dei pazienti a cambiare la cura: l’81.5% dei pazienti afferma infatti di essere propenso a modificare la terapia qualora il medico lo proponga (figura 9).
Tale dato, testimoniando da un lato il rapporto di fiducia che lega medico e paziente, evidenzia dall’altro come 8 pazienti su 10 si dichiarino disposti a cambiare le proprie abitudini quando vi sia un possibile e sottinteso miglioramento degli effetti della terapia (da ogni punto di vista: efficacia, effetti collaterali, modalità di assunzione ecc.).