M.D. numero 7, 1 marzo 2006

Editoriale
Devolution sotto il segno dell'iniquità

Il fronte anti-devolution metterà d’accordo tutti i cittadini e i loro amministratori, costruendo e alimentando nuove vertenze e forme di partecipazione politica? La domanda è legittima se si parte dalla notizia che i rappresentanti di quindici Consigli regionali (Sardegna, Campania, Lazio, Lombardia, Valle d’Aosta, Toscana, Calabria, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Liguria e Abruzzo) hanno depositato alla Corte di Cassazione la richiesta di indizione di un referendum sulla devolution, cioè sulla legge
di riforma della parte seconda della Costituzione approvata dal Parlamento in questa legislatura ormai al termine.
Le ragioni dell’iniziativa, illustrate da Giacomo Spissu, presidente del Consiglio regionale della Sardegna e governatore capofila del dissenso (essendo infatti la sua Regione la prima ad aver approvato la richiesta di referendum), sottolineano l’iniquità della riforma, perché in settori chiave come sono quelli della sanità e dell’istruzione accentua ancora di più il divario tra le Regioni ricche e quelle povere.
Come dare torto all’assessore sardo? In realtà proprio i medici di famiglia italiani hanno potuto cominciare a prendere le misure dell’impatto della trasformazione costituzionale a partire dalla propria convenzione. Essa infatti, nel rispetto della devolution, ha articolato doveri e compensi dei Mmg su tre livelli - nazionale, regionale e aziendale - che tuttavia, alla prova dei fatti, faticano a trovare coerenza e conseguenza tra di loro. Essendosi verificato un forte buco di bilancio sanitario a livello nazionale, anche per la non omogenea attuazione in tutte le Regioni di un’adeguata programmazione, i medici di famiglia si sono visti piovere sul collo controlli di polizia e provvedimenti restrittivi della propria capacità prescrittiva, più che piani di prevenzione e di intervento più aderenti ai bisogni di salute sul territorio.
Su questo numero di M.D. raccontiamo il caso campano, come evidenza e sintomo del fatto che con la convenzione devoluta il sistema delle cure sul territorio rischia di incepparsi e di esplodere sotto il coro delle proteste di medici e pazienti.
I Consigli regionali suggeriscono: ricominciamo da capo, azzeriamo la riforma e capiamo bene insieme quale decentramento è quello giusto per il nostro Paese. Anche la Sisac, l’organismo che per le Regioni contratta con i Mmg la Convenzione, dovrebbe raccogliere questo segnale di malessere che parte proprio dai suoi azionisti di maggioranza: le stesse Regioni. Una realtà che unita al dato che in nessuna Regione (come invece sarebbe previsto dalla sua legge di istituzione) la Convenzione è arrivata in porto nei suoi livelli regionali e aziendali, dovrebbe portare la Sisac a una seria riflessione sul proprio ruolo ed efficacia.