M.D. numero 7, 1 marzo 2006

Note stonate
L’ordinario delirio di una giornata d’ambulatorio
di Vittorio Principe, Medico di medicina generale, Bolzano


S
iamo arrivati ad un punto tale di decadenza routinaria in cui mi chiedo sempre più spesso: ma noi medici di famiglia a cosa serviamo? Ma sopratutto aiutiamo e/o lavoriamo per e con chi?
L’inizio della giornata lavorativa si apre generalmente con innumerevoli richieste telefoniche di svariato genere, dalla prescrizione alla visita domiciliare, alla certificazione di malattia.
Comincia poi l’andirivieni in ambulatorio di quegli assistiti che chiedono o pretendono statine e inibitori di pompa anche se non ne hanno diritto: in genere sono sempre gli stessi e in genere a loro è già stato spiegato più volte e diffusamente perché non è possibile “accontentarli” e se proprio pensano di non poterne fare a meno la soluzione c’è: pagarsi il farmaco. Poi tocca ai figli ansiosi e iperprotettivi di genitori ultranovantenni, questi pretendono azioni miracolistiche per "risollevare" i loro cari oppure visite domiciliari con le più svariate motivazioni come, per esempio mi è capitato, variazioni di forma e consistenza delle feci.
Non mancano i soliti pazienti, fin troppo noti, con l’ennesima perorazione di pratica per invalidità per i quali a nulla è valsa la spiegazione che la richiesta è stata inoltrata per ben tre volte e che se non c’è un fatto nuovo, non serve a nulla rifare la pratica. Nel frattempo continua a squillare il telefono, già, siamo in pieno inverno e le domande di certificati di malattia prolificano e con esse anche gli alterchi telefonici. Ed ecco l’immanchevole imprevisto, annunciato dalla trafelata segretaria, di un "assistito" che non ha prenotato la visita, ma avendo notato ben due asterischi sugli esami del sangue afferma il suo diritto impellente, visto che paga le tasse, ad avere spiegazioni dal suo medico di famiglia. Per non parlare dei non-prenotati che si accumulano per le più svariate gravissime patologie tipo mal di gola, febbricola, ecc., e di quelli che richiedono per l’ennesima volta la terapia "perché hanno perso la ricetta o il foglietto delle prescrizioni" e dulcis in fundo, la mitica "pressione" da misurare a chi chiaramente non ne ha bisogno e/o le varie prescrizioni per parenti, amici o vicini di casa.
In questo contesto come si fa a non soffermarsi sull’inutilità dei vari corsi ECM sulla gestione del paziente con questa o quella patologia cronica? E così, tra queste allegre situazioni la giornata lavorativa volge alla conclusione, in genere 2 o 3 ore dopo l’orario di chiusura dell’ambulatorio. A questo punto in me aleggia quasi sempre il desiderio di lasciar perdere tutto, addirittura il pranzo (tanto sono già le 15) e di andare direttamente a dormire per liberarmi dall’incubo quotidiano. Per favore, non parlatemi di burn out, stress o altro perché siamo tutti nella stessa condizione.
L’amarezza sale quando penso che chi dovrebbe rappresentare le nostre istanze promette una drastica riduzione dei tempi di attesa in ambulatorio o un aumento della qualità delle prestazioni, dimenticando le reali condizioni in cui lavoriamo.
Ma cosa ho fatto di male per finire in questa situazione? È una domanda che mi faccio spesso e ringrazio il cielo di non avere famiglia e figli.
Per cultura ed educazione sono sempre stato abituato alla tolleranza e a ingoiare i cosiddetti “rospi” in attesa di tempi migliori che però non arrivano mai. Le lamentale dei colleghi non mancano, ma è la coralità che viene meno. Ma perché finalmente non cominciamo a metterci insieme e a dettare delle condizioni che vadano bene per tutti, minacciando un bello sciopero generale unitario?


Punture - La festa patronale e la chiusura del distretto
Se qualcuno trovasse difficoltà a capire la differenza fra medici di medicina generale e personale amministrativo, potrebbe forse avere qualche lume da questo piccolo episodio.
Alcune sere fa scopro con orrore di aver terminato la scorta dei ricettari del Ssn.
“Domani mattina devo assolutamente recarmi al distretto per farmeli dare,” mi dico. L'indomani, puntuale, sono davanti alla porta del distretto. Abbasso la maniglia, spingo, ma non si apre. Riprovo. Nulla. Guardo allora nella selva dei cartelli messi in bella mostra sulla porta d’entrata e ne vedo uno che dice: “Oggi, festa patronale della città sede legale dell’Asl, questo distretto rimarrà chiuso”. Ohibò, il territorio dell’Asl coincide con quello della provincia: questo significa che oggi in tutti i distretti della provincia, compreso quindi il mio, gli uffici (e i poliambulatori) rimangono chiusi.
Il paesello in cui ho lo studio avrà la festa patronale fra otto mesi, non oggi, ma questa brava gente, in omaggio alla “città sede legale dell'Asl”, oggi fa festa.
E io? E il mio studio? Devo chiudere anch’io? Visto anche il problema burocratico di non potere rilasciare ricette ai miei pazienti affamati di farmaci ed esami, questa sarebbe la soluzione più logica. E invece no. Se dovessi farlo, finirei davanti al giudice con l’accusa di interruzione di pubblico servizio. Ma il personale amministrativo non dovrebbe essere di supporto ai medici?

Antonio Attanasio
Medico di medicina generale,
Mandello del Lario (LC)