M.D. numero 10, 22 marzo 2006

Focus on
La Repubblica dell’assistenza primaria
di Monica Di Sisto

Il ministro della Salute nella recente presentazione al Parlamento della Relazione sullo stato sanitario del Paese ha sottolineato la necessità per il nostro Ssn di puntare sulla continuità assistenziale al fine di garantire un sistema sanitario equo e di perseguire la qualità delle prestazioni. Secondo il ministro, diventa sempre più importante per la realizzazione di tale processo il coinvolgimento dei Mmg e dei Pls nel governo dei percorsi sanitari, attraverso la sperimentazione di nuove modalità erogative favorenti l’integrazione con le altre figure sanitarie territoriali.

La Relazione sullo stato sanitario del Paese, presentata dal ministro della Salute Francesco Storace alle Camere a conclusione del suo mandato, recupera una funzione di orientamento delle politiche che negli ultimi anni aveva perso a vantaggio di un taglio più epidemiologico. “Seguire il percorso di miglioramento individuato dal Piano Sanitario Nazionale”. Questo l’intento sottolineato dal rappresentante del dicastero, sia valutando indicatori in grado di “fotografare le condizioni di salute dei cittadini e la capacità di risposta del Sistema Sanitario”, sia attraverso una lettura di questi dati “capace di fornire indicazioni per l’elaborazione delle politiche sanitarie e per la programmazione degli interventi”.
La base di dati si concentra sul periodo 2003-2004, biennio che ha visto una crescita del Fondo sanitario nazionale, passato da 66 miliardi di euro dell’anno 2000 a 93 miliardi di euro previsti dalla Finanziaria 2006. “Un incremento ben superiore alla crescita del PIL - ha evidenziato il ministro Storace - che si è reso necessario per poter mantenere l’impianto universalistico del nostro sistema nel nuovo quadro federale”. La sfida, per il ministro, oggi è quella di “accompagnare questa crescita con strategie e azioni che ci permettano di continuare a erogare servizi sanitari in modo efficace e soddisfacente, al tempo stesso sostenibile”.
Stella polare del percorso intrapreso secondo il ministro Storace è la centralità del paziente e la “conseguente necessità di accompagnare il Sistema sanitario nel passaggio dalla logica di ‘erogatore di prestazioni’ al principio della continuità assistenziale, al fine di garantire da un lato ai cittadini un Ssn equo, e dall’altro di perseguire la qualità delle prestazioni. Si tratta, ammette il ministro, di un percorso difficile, nel quale la necessità di impiantare un processo di risanamento si deve poter coniugare con il momento arduo della finanza pubblica e, sul piano politico, con le giuste istanze autonomiste”.

La prevenzione


Soddisfacenti, secondo i dati presentati dal documento ministeriale, i risultati ottenuti nel campo della prevenzione primaria nell’ultimo quinquennio, grazie anche all’inclusione di tutte le vaccinazioni nei Lea senza distinzioni tra obbligatorie e raccomandate e ai programmi di screening di popolazione. In particolare quelli relativi al cancro della mammella, delle cervice uterina e del colon retto, secondo l’attesa, hanno consentito una diagnosi precoce, dimostrando di essere efficaci nel ridurre l’invasività degli interventi chirurgici e la mortalità.
Per quanto concerne le malattie croniche, attraverso il “disease management” si intende applicare una nuova strategia di gestione che prevede la partecipazione attiva del paziente, attraverso programmi di educazione e di supporto, svolti a livello della rete primaria di assistenza; l’attivazione di una schedulazione di sistemi atti a garantire la regolare esecuzione di un set di controlli periodici da parte del paziente e di un sistema di monitoraggio, su base informatizzata.
Anche sul fronte delle malattie cardiovascolari, dopo molti anni di sforzi e investimenti in questa direzione, in occasione del 2004 “Anno del Cuore”, sono stati resi disponibili contemporaneamente dati di incidenza, prevalenza, letalità, dati sui fattori di rischio e sulle condizioni a rischio e strumenti di predizione delle malattie cardiovascolari da applicare sulla popolazione generale in prevenzione primaria. Tuttavia, l’offerta attiva, una modalità di lavoro che favorisce l’elevata adesione ai programmi vaccinali e di screening, viene effettuata ancora in maniera limitata nel nostro Paese.
La sfida dei prossimi anni consisterà nel raggiungere coperture elevate nell’ambito di un’offerta di buona qualità, resa più efficiente grazie ad una gestione informatizzata, che si avvalga di attività di promozione e informazione e del monitoraggio delle coperture, dell’incidenza di malattie prevenibili con le vaccinazioni e degli eventi avversi a vaccino. Il PSN 2003-2005 e gli accordi tra Stato e Regioni per l’attuazione degli obiettivi del Piano hanno individuato questo punto di crisi, cui si deve far fronte utilizzando tutti gli strumenti a disposizione. In questo senso va il Piano Nazionale della Prevenzione 2005-2007, deciso con l’intesa Stato Regioni del marzo 2005, che pone il sistema sanitario di fronte alla sfida di affrontare i fattori di rischio delle malattie croniche.

Assistenza primaria: una priorità per il Ssn del futuro
II recupero del governo dei percorsi sanitari e socio-sanitari nel territorio e nella comunità, le scelte per un’azione di prevenzione e promozione della salute, di terapia e di assistenza costante e legata alla conoscenza della persona, secondo la Relazione del ministero della Salute possono essere attuati soltanto attraverso una riorganizzazione dell’assistenza primaria.
A tal fine il ministero indica alcune priorità:
• la promozione dell’associazione di più medici convenzionati (Mmg, Pls, Mca, specialisti) che operasse in una sede unica, garantendo un elevato livello di integrazione tra la medicina di base e la specialistica e perseguendo il coordinamento funzionale della loro attività (UTAP, Unità Territoriali di Assistenza Primaria o Primary Care Clinics);
• la garanzia della continuità delle cure, mediante la gestione integrata del paziente da parte dei servizi territoriali e ospedalieri; la previsione a livello distrettuale di un’organizzazione che consentisse l’attivazione e la gestione di una valutazione multidisciplinare, con la partecipazione del medico di famiglia, dei pazienti affetti da particolari patologie, e la successiva realizzazione di percorsi assistenziali personalizzati e integrati;
• la garanzia di un elevato livello di integrazione tra i diversi servizi sanitari e sociali, realizzato con il supporto del Mmg nonché la realizzazione di forme di maggiore fruibilità e accessibilità da parte dei cittadini, dei servizi e delle attività territoriali, anche prevedendo da parte dei medici l’utilizzazione di spazi comuni, potendo ricorrere, in via sperimentale, alla riconversione di piccoli ospedali in strutture territoriali
• l’utilizzazione degli strumenti della telemedicina nelle località disagiate e nelle isole minori per la gestione del paziente.

La medicina di primo livello

Nell’anno 2003, in Italia la medicina di primo livello è stata garantita da 47.111 medici di famiglia (Mmg) e da 7.358 pediatri di libera scelta (Pls). Ogni Mmg ha acquisito in media 1.099 scelte; ad ogni Pls, invece, sono state affidate in media 805 scelte, anche se tali medie a livello regionale risultano essere piuttosto difformi. Diviene sempre più rilevante il coinvolgimento dei Mmg e dei Pls nel governo dei percorsi sanitari, con l’esigenza di sperimentare nuove modalità erogative favorenti l’integrazione con le altre figure sanitarie territoriali, anche attraverso forme evolutive delle varie tipologie di medicina associativa e di gruppo. A tale proposito il ministero della Salute ha proposto lo schema delle Unità Primarie di Assistenza Territoriale (UTAP) quale modello di presidi integrati per le cure primarie.

La continuità assistenziale


La continuità assistenziale è garantita da medici convenzionati che, in zone territoriali definite, possono corrispondere anche a forme associative per la medicina generale. Nell’anno 2003 in Italia erano presenti 3.069 punti di guardia medica in cui operavano 13.876 medici titolari che hanno effettuato 8.651.746 visite. Va considerato, però, che tali medie a livello regionale assumono valori molto diversificati su base territoriale, passando dai 4.7 medici ogni 100.000 abitanti della Provincia Autonoma di Bolzano ai 71.9 della Basilicata. Il confronto dei dati relativi agli ultimi sei anni (1998-2003) mostra che mentre è diminuito di circa il 15% il numero dei medici titolari, le visite effettuate sono aumentate di circa il 64%.
Nell’anno 2003, sul territorio nazionale i casi trattati in assistenza domiciliare integrata (ADI) sono stati in media 551 per 100.000 abitanti. Dal confronto dei dati relativi agli ultimi sei anni (1998-2003) emerge un costante aumento del numero dei casi trattati in ADI.

L’uso dei farmaci


L’analisi dell’utilizzo dei farmaci offre importanti indicatori relativi alla realtà sanitaria italiana, in particolare per quel che riguarda i bisogni di cura della popolazione e le attitudini prescrittive dei medici. L’analisi dei consumi, inoltre, è essenziale per attuare un efficace governo della spesa farmaceutica e per la gestione della politica del farmaco, il cui scopo fondamentale è quello di garantire nel tempo il delicato equilibrio tra contenimento della spesa e mantenimento dei livelli essenziali di assistenza (accesso universale a terapie farmacologiche efficaci e sicure). La spesa sanitaria rappresenta una componente importante tra i costi che annualmente incidono sul bilancio pubblico: nell’anno 2004 la spesa (pubblica e privata) sul territorio relativa a farmaci erogati attraverso le farmacie aperte al pubblico è stata pari a 19.185 milioni di euro, facendo registrare un aumento del 5.5%. Contrariamente a quanto avvenuto nel 2003, la spesa lorda convenzionata ha ripreso a crescere (9.2% nel 2004 rispetto al -2.3% nel 2003); la spesa privata, invece, ha avuto un andamento opposto (-2.6% nel 2004 e +12.4% nel 2003).


Fondo sanitario: prove tecniche di federalismo solidale

La Conferenza delle Regioni sta analizzando il riparto del Fondo Sanitario Nazionale, e l’occasione è ghiotta per discutere, contestualmente, anche del Piano Sanitario Nazionale e, più in dettaglio, della tenuta complessiva del sistema sanitario e dei suoi obiettivi alla prova del Federalismo.

Il Fondo dà i numeri
Il finanziamento ammonta a 91 miliardi 173 milioni di euro, che il ministero della Salute così suddivide:
• 87 mld 683 mln per i Livelli essenziali di assistenza;
• 1 miliardo da ripartire con criteri e modalità da definire;
• 1,5 mld vincolati al raggiungimento di precisi obiettivi, alla prevenzione di alcune patologie come l’Aids, all’emergenze veterinarie e all’influenza aviaria;
• 474 milioni per alcune attività delle Asl, fra cui i contratti dei medici specializzandi;
• 488 mln per la copertura dei contratti.
I presidenti delle Regioni hanno avuto 30 giorni di tempo dalla presentazione per valutare la proposta del ministero per il riparto del Fsn 2006 ed eventualmente elaborarne una propria.
Agli oltre 91 miliardi di euro, si aggiungono 2 miliardi di euro, a cui le Regioni avranno accesso solo dopo aver adottato provvedimenti per ripianare i disavanzi accumulati negli anni 2002, 2003 e 2004.

Non si fanno attendere le prime valutazioni complessive dei Governatori che giudicano il Fondo sanitario per il 2006 sottostimato, rispetto alle necessità dei livelli essenziali di assistenza. Lo ha dichiarato senza remore, raccogliendo l’insoddisfazione generale, il Presidente della conferenza delle Regioni e presidente della Regione Emilia Romagna Vasco Errani: “La situazione della sanità - ha osservato Errani - è critica e pesante. C’è un problema gravissimo, non risolto, che riguarda il 2004 e vale 4,5 miliardi di euro riguardanti la sottostima dei Lea”.
Il Fondo per il 2006 secondo Errani “è ancora chiaramente sottostimato”. Per questo i Governatori chiedono, per bocca del loro portavoce “che arrivi finalmente a sintesi quel Tavolo di lavoro comune Regioni e Governo in relazione alla definizione del costo reale dei livelli di assistenza, in assenza della quale la situazione finanziaria della Sanità rimane molto critica”.
Ancora più preoccupato il giudizio della presidente della Regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti, per la quale l’ipotesi di riparto del Fondo sanitario nazionale presentata dal ministro della salute “è inaccettabile”. “Il Governo - ha detto Lorenzetti - ha fatto ciò che aveva promesso: un riparto che penalizza le Regioni con forte percentuale di popolazione anziana. L’Umbria, che è riconosciuta in maniera unanime come una Regione virtuosa per la spesa sanitaria, ha già fatto la sua parte razionalizzando e accorpando servizi. Auspichiamo dunque che la Conferenza delle Regioni riesca a trovare un accordo che abbia come base un forte senso di responsabilità, così come è sempre stato”. Un accordo, secondo Lorenzetti, infine, è anche da trovare sui 2 miliardi, stanziati per il riparto dei debiti sanitari pregressi e sul miliardo che servirà quale finanziamento integrativo rispetto al fondo dello scorso anno.

Sanità buona, ma a macchia di leopardo


Negli stessi giorni caldi della polemica tra Stato e Regioni arriva il Rapporto Osservasalute 2005, 382 pagine di analisi di dati sulla salute e la qualità dell'assistenza nelle Regioni italiane. L’Italia si rivela, nelle pagine del rapporto, in buona salute, e i servizi erogati dal SSN risultano di qualità, anche in confronto a quella di altre Nazioni europee. Ma sussistono ancora variazioni regionali e interregionali molto ampie. E l’attività programmatoria delle Regioni sembra a volte non soddisfacente.
“Quello che emerge dal Rapporto 2005 non è solo il consueto gradiente Nord-Sud - ha spiegato Walter Ricciardi, direttore dell’Istituto di Igiene dell'Università Cattolica di Roma e direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane - ma uno scenario più complesso e variegato”. Emergono cioè dati positivi complessivi “che sottolineano come le performance del nostro Sistema sanitario nazionale siano buone, in alcune Regioni e in alcuni settori addirittura eccellenti. Ma se è necessario che questo livello di qualità sia riconosciuto e reso noto a tutti bisogna sottolineare la necessità di una valutazione ragionata degli aspetti critici. Tali criticità rendono indispensabili interventi, alcuni anche urgenti, di miglioramento, che ruotano attorno alla necessità di un impegno coordinato in quei settori che mostrano eccessive variazione interregionali”.
Su alcuni fronti il principale ostacolo alla programmazione risulta essere una cronica carenza di dati statistici di qualità: mentre nel caso dell’assistenza ospedaliera e dell’assistenza farmaceutica esistono flussi informativi e indicatori ben consolidati, “in altri settori - ha fatto notare Gianfranco Damiani, docente all'Istituto di Igiene dell'Università Cattolica e membro della segreteria scientifica dell'Osservatorio - la carenza di dati e informazioni è tale da impedire una compiuta analisi del sistema: è il caso degli stili di vita alimentari, che pure è noto hanno un elevato impatto su tumori e malattie cardiovascolari; è anche il caso dell’assistenza territoriale che per la scarsità di dati disponibili difficilmente consente un monitoraggio di tipo né qualitativo né quantitativo”.

Il caso del ticket: la differenza tra Regione e Regione
La differenza tra Regione e Regione nell’applicazione del ticket, in termini di spesa farmaceutica procapite, secondo il rapporto Osservasalute 2005, “non sembrerebbe evidenziare solo una scelta di natura economico-finanziaria pura, ma una scelta legata alle difficoltà di bilancio e alla mancanza di utilizzo di altri strumenti più idonei a raggiungere il contenimento della spesa farmaceutica”. Le uniche Regioni a non avere reintrodotto, dopo l’abolizione del 2000, a tutto il 2005, forme di compartecipazione alla spesa farmaceutica erano la Valle d’Aosta, la Provincia Autonoma di Trento, il Friuli Venezia Giulia, l’Emilia Romagna, la Toscana, l’Umbria, le Marche, l’Abruzzo, la Campania e la Basilicata, mentre hanno abolito il ticket la Sardegna e la Calabria.
Dai dati emerge che nelle Regioni del Nord dove si applicano i ticket, l’importo è di 2 euro a confezione, e 4 euro a ricetta, mentre in quelle del Centro-Sud, a eccezione di Puglia e Sicilia, hanno il ticket per confezione e ricetta più bassi. Il Lazio nel 2005 registra una spesa farmaceutica lorda pro capite di 305,07 euro con una partecipazione, fino agli ultimi mesi dell’anno, del pagamento del ticket di 1 euro per confezione con importi superiori a 5 euro, e un esenzione tot/parz per patologia e un esenzione in base al reddito. Trento, al contrario, ha una spesa farmaceutica lorda pro capite di 174,24 euro senza nessun pagamento del ticket da parte dei cittadini e nonostante questa scelta mantiene il livello di spesa più basso in Italia.

Più coordinamento nella programmazione

È insomma necessario, secondo Osservasalute 2005, un coordinamento delle attività programmatorie delle Regioni italiane che sono, e rappresenteranno sempre più, il fulcro decisionale delle attività messe in opera per la salute dei cittadini. “Occorre cioè che le scelte che le Regioni compiono siano coordinate - ha chiarito nel suo intervento Americo Cicchetti, docente di Organizzazione aziendale presso l’Università di Chieti-Pescara e membro della segreteria scientifica di Osservasalute - per evitare situazioni di larga eterogenicità, come quelle esistenti per i ticket farmaceutici. La Provincia Autonoma di Trento, per esempio, senza l’applicazione del ticket farmaceutico riesce a controllare la spesa lorda farmaceutica pro capite, conseguendo eccellenti risultati in termini di appropriatezza prescrittiva, mentre la Regione Lazio, avendo applicato il ticket per tutto il 2005, ha visto la sua spesa lorda pro capite attestarsi a 305,07 euro.
“Spetterà alle stesse Regioni - ha auspicato il professor Ricciardi a nome dei ricercatori di Osservasalute - concordare le modalità di questa necessaria attività di coordinamento, costruendo rapporti sinergici con le istituzioni centrali, che assumono entrambe un ruolo chiave nella salvaguardia dell'unitarietà e dell’equità del sistema”.