M.D. numero 9, 15 marzo 2006

Note stonate
Farmaci ed effetti della pubblicità televisiva

SCRIP World Pharmaceutical News il mese scorso ha riportato la notizia che la FDA sta considerando di studiare quale sia l’effetto della pubblicità sulla vendita dei farmaci. In particolare vuole indagare sull’impatto dei buoni sconto sui consumatori. La FDA sostiene che le promozioni, comprese quelle inserite nella pubblicità diretta al cittadino, possono portare a una fuorviante visione ottimistica su alcuni farmaci. La ricerca quindi si propone di accertare l’uso delle varie offerte pubblicitarie presentate. Il dato sulla loro percezione dovrebbe essere utilizzato per eventuali modifiche da apportare ai regolamenti in questo campo. Se la situazione negli Usa, emblema del libero mercato tout court, è tale da richiedere l’intervento della FDA, qual è la realtà italiana in un momento topico in cui si discute di vendere o meno i farmaci nei supermercati e in cui le farmacie sono obbligate a effettuare sconti quantomeno sui prodotti cosiddetti da banco?
Sicuramente, a mio giudizio, la pubblicità sui farmaci non è, per usare un eufemismo, “Pubblicità Progresso”. Nessun Mmg può dirsi alieno dalle richieste dei propri assistiti di questo o quel medicamento pubblicizzato in televisione. Oramai si pubblicizza tutto: dai farmaci antinfluenzali a quelli antidolorifici, dalle pomate ai cerotti antireumatici, dagli yogurth con effetti “anticolesterolo” agli antidiarroici, ecc.. Ma quello che deve essere messo in discussione è il messaggio “troppo ottimistico” di queste pubblicità che innesca aspettative sulla soluzione repentina di sintomi e sindromi. Avete mai visto, per esempio, che il vostro paziente 40enne con il mal di schiena sia guarito dopo una sola bustina di un qualsiasi Fans? Oppure una paziente con diarrea risolvere il disturbo dopo la somministrazione di una sola pillola di antidiarroico? Questi però sono i messaggi pubblicitari “miracolosi” della Tv che cattura milioni di spettatori al giorno. Non si considerano le ricadute di questa comunicazione fuorviante in termini di richieste improprie da parte dei cittadini. Capita così per esempio che il paziente 40enne con lombalgia non guarito in due giorni (come evidenziato dal messaggio pubblicitario) arrivi in ambulatorio richiedendo una risonanza magnetica. Non sarebbe il caso che anche l’AIFA, così come sta facendo la FDA, si occupasse degli effetti della pubblicità dei farmaci sui cittadini-consumatori in termini di rischio beneficio?


Filippo Mele
Medico di medicina generale
Policoro (MT)



Certificati e certezza della prognosi

La magia della medicina è anche nelle formule che sono tramandate in modo sostanzialmente acritico e che proprio in una miscela di assurdo e surreale trovano il loro fascino. Certamente non siamo al livello di eccellenza che raggiungono al riguardo legulei e magistrati, ma nel nostro piccolo sappiamo arrangiarci. Un esempio emblematico sono le formule usate nei certificati di prognosi. “Il signor Tal dei Tali è affetto da morbillo ed è guaribile in giorni sette, salvo complicazioni”. Sorvoliamo pure sulla perentorietà della diagnosi, dato che discuterne ci porterebbe lontano, e in ogni caso è della prognosi che per il momento ci occupiamo. E sorvoliamo anche su grammatica e sintassi di quel “guaribile”, che alcuni possono intendere come “può guarire”, altri come “può venire guarito”, alcuni possono attribuirlo alla malattia, altri al malato. Il nodo centrale è il concetto di guarigione associato all’indicazione di un numero di giorni preciso. Non un “presumo che la malattia è guaribile in sette giorni”. è risaputo che datori di lavoro, assicuratori e magistrati necessitano di avere l’indicazione di un numero di giorni preciso ma, se è per quello, come molti Mmg io so anche che il sottoscritto Antonio Attanasio ha bisogno di andare in pensione domani mattina e di trascorrere il resto della sua vita alle isole Bahamas in hotel a cinque stelle pagato dai contribuenti. E allora? Non è che basti aver bisogno di qualcosa perché quel qualcosa si realizzi. Noi siamo medici, non indovini. E del resto, come non esiste una tabella ufficiale della durata delle malattie, non esistono nemmeno regole che permettano, data la malattia e data la conoscenza miracolosa che noi medici diciamo di avere della irripetibile singolarità dei nostri pazienti, di risalire in modo attendibile a quanti giorni quella malattia durerà in quel dato paziente, e meno che meno quanti giorni saranno necessari a quel paziente per riprendere la “capacità lavorativa”, ammesso e non concesso che il concetto di capacità lavorativa sia chiaro a tutti e da tutti inteso nello stesso modo. La cosa più bella è che, all’ingannevole e truffaldina falsa sicurezza di una prognosi espressa in un numero ben determinato di giorni futuri, si tenta di ovviare con la formuletta “salvo complicazioni”, che alcuni in modo ancor più magico e carismatico abbreviano nel criptico “s.c.”. Se non fosse stato specificato, non sarebbe stato chiaro che eventuali complicazioni avrebbero potuto prolungare la malattia? Bisogna proprio dirlo a beneficio di qualche anima innocente che altrimenti non ci avrebbe pensato? Dunque, l’unica incertezza che può esistere nella prognosi è nell’eventualità di complicazioni. Se la durata reale della malattia non sarà quella indicata, la colpa può essere solo di quelle maledette complicazioni, che operano nell’ombra per discreditare credibilità e autorevolezza dei medici.

Antonio Attanasio
Medico di medicina generale
Mandello del Lario (LC)