M.D. numero 9, 15 marzo 2006

Rassegna
Carcinoma della prostata: trattamenti ormonali a confronto
di Arcangelo Pagliarulo, Clinica Urologica, Università degli Studi di Bari

Allo stato dell’arte, la monoterapia antiandrogenica mostra pari efficacia e minori complicanze rispetto alla terapia di combinazione con LHRH analoghi

I
l cancro della prostata metastatico è l’unico caso definitivamente accertato in cui la terapia ormonale migliora la sopravvivenza e la qualità della vita rispetto a un atteggiamento di vigile attesa.
La terapia ormonale può essere anche impiegata:
• nel carcinoma della prostata localmente avanzato come terapia adiuvante dopo prostatectomia radicale per via retropubica (RRP);
• in associazione alla radioterapia;
• come monoterapia nel paziente anziano;
• in caso di progressione dopo prostatectomia o radioterapia per malattia clinicamente limitata alla prostata.
In questi casi i risultati relativi al miglioramento della sopravvivenza provengono da studi su piccoli campioni, ovvero con bracci di controllo retrospettivi, ovvero con bias di campionamento. Dunque siamo in attesa del riscontro definitivo da studi randomizzati prospettici ancora in corso; in particolare lo studio Early Prostate Cancer (EPC) ci fornirà informazioni sull’utilità di bicalutamide in tutte le suddette condizioni. Per l’incertezza sull’utilità della terapia e per la sua lunga durata, vista la lenta storia naturale del carcinoma della prostata, le complicanze dell’ormonoterapia assumono più importanza perché possono inficiare anche significativamente la qualità della vita.
La prima e più economica forma di ablazione androgenica è l’orchiectomia bilaterale, con crollo dei titoli androgenici <20 ng/ml. Essa ha il vantaggio della rapidità d’azione, con il più rapido sollievo dai dolori da metastasi possibile. Il suo principale svantaggio è l’alterazione dello schema corporeo.
La castrazione chimica con analoghi dell’LHRH permette la conservazione dei testicoli con un calo degli androgeni ai livelli di castrazione. La castrazione viene raggiunta dopo circa due settimane, ma è preceduta da una transitoria elevazione dei titoli di testosterone. I suoi costi sono notevolmente più elevati dell’orchiectomia, ma la terapia è verosimilmente accetta ai pazienti.
Tutte le forme di terapia ormonale che prevedono la castrazione comportano una sequela di effetti collaterali che possono inficiare la qualità della vita dei pazienti.

  • Vampate di calore (50-80% dei casi): di solito spontanee, possono essere provocate da cambi posturali, bevande calde, repentini cambiamenti della temperatura ambientale. I pazienti più giovani sono quelli che più frequentemente ne richiedono il trattamento e gli estrogeni (medrossiprogesterone acetato) o il megestrolo sono i farmaci più utilizzati. Il megestrolo tuttavia eleva il PSA e per entrambe le molecole non sono noti gli effetti sulla neoplasia. Inoltre il loro utilizzo può peggiorare altri effetti collaterali della terapia ormonale (ritenzione idrica, ginecomastia e brividi). Gli antidepressivi, così come alcune forme di medicina alternativa (agopuntura, utilizzo della soia, ecc) necessitano di ulteriori verifiche.
  • Osteoporosi (1.4-2.6%/anno): ampiamente sottovalutata in passato, se ne è recentemente proposto il trattamento con l’implementazione di calcio e vitamina D, associati a bifosfonati. Il bifosfonato più efficace potrebbe essere l’acido zoledronico, in grado di produrre un recupero della massa minerale ossea. Attività fisica con carichi leggeri potrebbe ulteriormente migliorare la condizione del paziente. La sospensione della castrazione non apporta alcun recupero della matrice minerale perduta.
  • Anemia (frequente): la terapia ormonale produce un calo di emoglobina di 1-2 g/dl, tuttavia le forme più gravi di anemia riguardano la malattia avanzata con metastasi ossee e insufficienza renale e vengono trattate con eritropoietina ricombinante.
  • Impotenza (50-100% dei casi).
  • Sindrome da castrazione (perdita di massa magra, astenia, resistenza all’insulina, elevazione di colesterolo e trigliceridi, aumento del grasso sottocutaneo, calo dell’ideazione): queste modificazioni del metabolismo potrebbero accrescere il rischio, in alcuni pazienti, di accidenti cerebro e cardiovascolari maggiori.
Monoterapia con bicalutamide

In alternativa alla castrazione si possono impiegare antagonisti periferici degli androgeni. Gli antiandrogeni possono essere usati in combinazione con gli LHRH analoghi o in monoterapia. Nel primo caso è stato riscontrato un miglioramento della sopravvivenza modesto o nullo, ma un aumento degli effetti collaterali e delle complicanze.
In monoterapia può essere impiegata la bicalutamide 150 mg/die. È stata dimostrata l’equivalenza di efficacia terapeutica con gli LHRH analoghi (figura 1). La preservazione della funzione erettile e del desiderio sessuale sono superiori per la bicalutamide e la differenza è statisticamente significativa (figura 2). Pur non raggiungendo la significatività statistica, l’incidenza di allettamento, dolore, calo delle attività sociali e deterioramento della percezione di benessere psicologico appare ridotta.
Più elevata, invece, è l’incidenza della ginecomastia dolorosa, che però viene adeguatamente trattata con tamoxifene o radioterapia. È stata anche proposta la mastectomia.

Conclusioni


La terapia ormonale è efficace contro il carcinoma prostatico, ma il suo impiego a seconda dello stadio e del grado della malattia devono ancora essere definiti. Tranne che per le neoplasie metastatiche i dati su cui si basa l’impiego sono ancora parziali. I risultati dello studio EPC scioglieranno molti dubbi sull’argomento. L’ablazione androgenica è la forma di terapia più diffusa e nel caso dell’orchiectomia è anche la più economica. Tuttavia essa è gravata da effetti collaterali e complicanze che peggiorano la qualità della vita e accrescono il rischio di accidenti vascolari, che la monoterapia antiandrogenica a parità di efficacia non mostra o manifesta in frequenza inferiore.