M.D. numero 10, 22 marzo 2006

Appunti
Il segreto della nostra longevità professionale

S
ono decenni ormai che continua il tiro al piccione contro i medici di famiglia.
A loro carico si è detto di tutto: che sono impreparati, corruttibili, che trascurano gli assistiti, che pretendono convenzioni sempre più vantaggiose senza, però, un corrispettivo di impegno professionale.
Potrei continuare la litania dei lamenti ancora per molto. Alcune di queste accuse sono vere, altre verosimili e altre inventate di sana pianta.
Un alieno che leggesse per caso questa lunga lista si meraviglierebbe che i destinatari di tante inefficienze non siano scomparsi dalla faccia della terra, sia come singoli sia come categoria professionale.
Caro alieno, la ragione c’è ed è duplice.
In primo luogo il medico non può scomparire perché la sua figura si identifica con la esigenza insopprimibile di salvaguardare la salute.
In secondo luogo la gente comune, anche la più semplice, istintivamente realizza come non sia possibile che il suo medico di famiglia, con il quale parla quasi tutti i giorni, al quale confida i suoi problemi, le sue pene e le sue speranze, sia un fior di gaglioffo come spesso lo presentano i mass media.
Il vicino di casa, la donna che incontriamo al mercato, ma anche il bancario e il dirigente d’azienda, non possono immaginare la loro esistenza senza quel punto di riferimento che è il medico di medicina generale.
Sarebbe come se in uno dei tanti paesini della nostra penisola non vi fosse il prete, o il maresciallo o il farmacista. Scherziamo, che vita sarebbe.
Niente sportelli, code, prenotazioni, giustificazioni, moduli, ticket, lunghe attese: se uno desidera interpellare il proprio medico di medicina generale, può farlo telefonicamente, oppure recandosi direttamente in ambulatorio e, munendosi di un po’ di pazienza, gli parla. Questione di minuti non di giorni o mesi.
Una volta a colloquio, gli confida non solo le sue problematiche di salute, ma anche i suoi disagi interiori e le difficoltà incontrate nella vita di tutti i giorni.
Il più delle volte tratta con lui problemi personali che richiedono condiscendenza, sensibilità, comprensione, confidenza. Certamente non sempre gli assistiti trovano la disponibilità che vorrebbero. Non sempre si può far fronte ai desideri e alle aspettative dei pazienti, talvolta anche eccessive e pretenziose.
In una società in continuo divenire, con mutamenti repentini e sempre meno certezze, il medico, il prete, il maresciallo e il farmacista rappresentano sul territorio e in un quartiere punti di riferimento irrinunciabili.
Senza di essi accrescerebbero i disagi, il senso di abbandono che soprattutto le grandi metropoli generano.
Questi personaggi non potranno mai risultare vetusti e quindi scomparire, perché fanno parte della nostra struttura mentale, sono il nocciolo della nostra vita in comune.
E poi, per l’essenza stessa delle loro professioni rappresentano nell’immaginario collettivo il “volto sano” del vivere in comunità, quelli preposti al servizio degli altri. Questa immagine deve essere preservata con il contributo di tutti, soprattutto di chi facilmente per colpe di singoli mette alla gogna l’intera categoria che quell’individuo rappresenta.
Dobbiamo quindi ribadire l’impegno dei medici di famiglia a non compromettere questa immagine.
Diversamente faremmo un danno a noi stessi e a quelli che continuano a credere in noi.

Francesco Giuseppe Romeo

Medico di medicina generale
Firenze


Terapia anticoagulante: una proposta


Spero che le varie convenzioni regionali possano risolvere una questione a cui tengo particolarmente, ma penso sia a cuore anche di molti altri medici, per l’impegno profondo, per il tempo dedicato e anche per qualche spesa accollata.
Mi riferisco alla pratica della terapia anticoagulante orale, a cui molti medici di medicina generale sono sensibilizzati e che ha comportato l’inserimento al trattamento di pazienti che sino a pochi anni fa ne erano esclusi o ai quali addirittura tale terapia era controindicata (grandi anziani, pregressi sanguinamenti, pazienti poco complianti).
Sono convinto che non ci sia bisogno di grandi studi per rendersi conto dei benefici che tale terapia può comportare per i pazienti in trattamento: minori invalidità “pesanti” - mi riferisco a ictus con emiparesi, ma anche al deterioramento cerebrale multinfartuale, all’insufficienza respiratoria - quindi un miglioramento della qualità della vita e un allungamento della vita stessa per il non verificarsi di eventi gravi, a fronte di qualche moderato rischio emorragico, ma se la terapia è ben condotta, anche remoto.
Tutto questo con una spesa irrisoria, se confrontata con molte altre terapie preventive (terapia antipertensiva, trattamento della dislipidemia, ecc.).
Tra l’altro la comparsa di emorragie franche, ben lungi dallo spaventarmi, mi ha spinto a ulteriori indagini. Tale iniziativa mi ha permesso di diagnosticare patologie neoplastiche in fase iniziale quali poliposi vescicali e tumori intestinali, con ottima prognosi per i pazienti.
Sarà per la facilità e comodità di eseguire gli esami, la mia disponibilità, la gentilezza di medici e tecnici di laboratorio che permettono di avere la risposta di esami diagnostici in giornata, di fatto ora seguo personalmente circa 15 pazienti in trattamento anticoagulante orale. Questo è gratificante dal punto di vista clinico, ma anche impegnativo per far accettare e comprendere l’importanza della terapia a pazienti che mercanteggiano la scadenza del controllo, che dimenticano date e documentazione della posologia personalizzata oppure perché talvolta sono costretto a recarmi al domicilio dei pazienti non deambulanti.
Forse la cosa farà sorridere qualcuno, ma alcuni nostri assistiti superano i 50 accessi annui per varie cause, anche non motivate. E allora mi chiedo perché il Ssn e in carenza di esso le Regioni, non debbano riconoscere ai medici di famiglia la pratica di un’attività clinica con un contributo pari ad una prestazione extra per l’impegno e anche per le piccole spese a cui i Mmg vanno incontro.
Potrebbe essere un “una tantum” mensile per evitare irregolarità. In una Asl di Modena c’è già un accordo in tal senso: non potrebbe essere esteso a tutto il territorio nazionale?
è il caso di chiarire che in questa proposta non c’è nessuna intenzione di volere interferire o “rubare” i pazienti che si rivolgono ai centri per la coagulazione presenti ubiquitariamente sul territorio.
Invito pertanto tutti i medici interessati al problema a farsi avanti e a insistere per portare tale proposta con forza e convinzione nelle trattative regionali.

Fabio Cocconi 
Medico di medicina generale
Gazoldo (MN)


Una precisazione sul ranelato di stronzio

N
ell’articolo apparso su M.D. del 15 febbraio (2006; 5: 20-23), nel capitolo dal titolo: “Quali sono il meccanismo d’azione e le indicazioni del ranelato di stronzio”, viene riportata la seguente frase:
“Il farmaco dopo 3 anni di trattamento riduce l’incidenza di fratture vertebrali del 40%, mentre mancano a tutt’oggi dati definitivi circa la sua efficacia nel ridurre l’incidenza di fratture in altri segmenti scheletrici”.
La I.F.B. Stroder tiene a sottolineare che tale affermazione è in netto contrasto con quanto invece emerge dalle notevoli evidenze scientifiche e dai documenti ufficiali approvati
dalla Agenzia Europea del Farmaco (EMEA) per il ranelato di stronzio.
L’efficacia del ranelato di stronzio nel ridurre le fratture non vertebrali è stata ampiamente dimostrata nello studio TROPOS (Clinical Endocrinol. Metab. 2005; 90: 2816-2822), un grande trial molto rigoroso, condotto in doppio cieco verso placebo e randomizzato e che ha studiato per 3 anni ben 5.091 donne in post-menopausa.
I risultati sono i seguenti:

  • riduzione del RR di tutte le fratture non vertebrali (end-point primario dello studio): -16% (significativo: p=0,04)
  • riduzione del RR di fratture maggiori dovute a fragilità (anca, polso, pelvi e coccige, costole e sterno, clavicole, omero): -19% (significativo: p=0,031);
  • riduzione del RR di fratture dell’anca nella popolazione di donne che nella pratica clinica è quella più a rischio di tali fratture (età „74 anni, con DMO al collo del femore T score £3, corrispondente a -2,4 secondo il sistema di riferimento NHANES), valutato su un numero globale di ben 1.977 pazienti: -36% (significativo: p=0,04).

Simone Viti
Direttore Comunicazione Medica I.F.B. Stroder
Firenze