M.D. numero 10, 22 marzo 2006

Rassegna
La cardiopatia ischemica nella donna
di Livia Tonti

È la principale causano di morte nelle donne di tutte le età, ma è molto meno studiata rispetto a quanto accade nell’uomo. Un recente studio americano ha puntato l’attenzione su questa grave patologia e ne ha evidenziato le peculiarità, mentre solo pochi dati, anche se importanti, sono tuttora disponibili sul trattamento

U
na patologia tipicamente maschile, almeno in giovane età. Questa la concezione “classica” della cardiopatia ischemica, che si basa sulla convinzione che le donne siano protette, durante l’età fertile, dal loro profilo ormonale. La conseguenza è che le donne sono molto meno coinvolte e studiate nei trial clinici di prevenzione e di loro, in relazione a questa patologia, si è saputo finora relativamente poco.
In realtà le statistiche sembrano contraddire questa visione: la cardiopatia ischemica rappresenta infatti la prima causa di morte nelle donne, a tutte le età (Shaw et al,
J Am Coll Cardiol 2006; 47: 4S-20S); dopo la menopausa il rischio cardiovascolare aumenta vertiginosamente e il tasso d’incidenza di eventi diventa simile all’uomo intorno ai 70 anni. Il tasso di mortalità è tuttavia molto maggiore per le donne, nonostante presentino generalmente un migliore quadro angiografico rispetto all’uomo. La riduzione della mortalità registratasi negli ultimi anni riguarda inoltre soprattutto gli uomini.
Questi dati suggeriscono non solo che la malattia cardiovascolare ha un grosso peso sulla salute della donna, ma anche che le conoscenze su questa patologia nel sesso femminile sono limitate e non permettono una gestione ottimale. Per questo la cardiopatia ischemica nella donna sta diventando un argomento di sempre maggiore interesse e gli approfondimenti che si stanno compiendo stanno rivelando elementi preziosi per migliorare la prevenzione di questa patologia.

Lo studio WISE


Proprio per colmare le gravi lacune relative alla cardiopatia ischemica nella donna è stato condotto lo studio WISE (Women’s Ischemic Syndrome Evaluation), in seguito a un’iniziativa del National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI) statunitense, ai cui risultati è stato dedicato un intero supplemento del Journal of American College of Cardiology (del 7 febbraio 2006). Lo studio ha coinvolto un migliaio di donne a cui era stata prescritta un’angiografia coronarica e che hanno acconsentito a ulteriori esami per meglio comprendere i segni e sintomi dell’ischemia miocardica.
Ciò che emerso, a completare alcune precedenti osservazioni, è che i vasi coronarici nelle donne sono più piccoli di quelli degli uomini e possono presentare aterosclerosi che, anziché costituire delle placche distinte come accade nell’uomo, è più diffusamente distribuita. La mancanza di evidenze angiografiche di franca stenosi potrebbe escludere queste pazienti da interventi più aggressivi di prevenzione cardiovascolare, perpetuando una situazione ad alto rischio. Più adatte alla diagnosi nella donna sarebbero l’ecocardiografia sotto stress e la PET.
Diverso è anche il peso dei fattori di rischio. In particolare per quanto riguarda le dislipidemie, fondamentale fattore di rischio per l’aterosclerosi, è confermato che è importante per entrambi i sessi il ruolo del colesterolo totale. L’ipertrigliceridemia, il diabete mellito e l’obesità in età avanzata risultano invece più potenti fattori di rischio per il sesso femminile.
Nella donna sembrano inoltre rivestire maggiore importanza nel definire il rischio cardiovascolare alcuni fattori di rischio emergenti, soprattutto la proteina C reattiva ad alta sensibilità (hs-PCR).

Il trattamento


I dati specifici sulla prevenzione cardiovascolare nella donna sono tuttora limitati. Per quanto riguarda la dislipidemia la maggior parte delle evidenze provengono attualmente dall’Heart Protection Study (HPS) (Lancet 2002; 360: 7-22) che, su una popolazione di 20.356 pazienti con pregresso infarto miocardico, malattia coronarica o altre patologie vascolari o diabete mellito, ha coinvolto 5.082 donne, un numero superiore a quello di tutti i precedenti trial messi assieme.
Lo studio ha dimostrato che il trattamento con simvastatina 40 mg, in aggiunta alla terapia standard, è in grado di prolungare la vita in diversi gruppi di pazienti a rischio. Se negli uomini è stata raggiunta una riduzione degli eventi cardiovascolari di circa un quarto, nelle donne la riduzione del rischio è stata pure cospicua, di circa un quinto, suggerendo come questo approccio possa essere benefico anche in queste pazienti.
Il crescente interesse da parte della comunità scientifica nei confronti della gestione della malattia cardiovascolare nella donna è testimoniata anche dalla recente emanazione di linee guida europee sull’argomento (Cardiovascular diseases in women: a statement from the policy conference of the European Society of Cardiology).