M.D. numero 12, 11 aprile 2007

Focus on
Case della Salute: al via le sperimentazioni
di Monica Di Sisto

Partono le sperimentazioni della Casa della Salute. Ad annunciarlo di recente è stato il ministro della Salute, sottolineando che esse sono destinate a essere il secondo pilastro della sanità italiana. Le Regioni potranno presentare i loro progetti per accedere ai 10 milioni di euro previsti in Finanziaria per la fase pilota. Le sperimentazioni avviate in alcune Regioni in merito a Utap, Ucp, Società della salute potranno essere riconvertite e accedere ai fondi. Ma questi saranno sufficienti a far decollare un progetto così ambizioso nella sua fattibilità? A chiederselo sono i sindacati della medicina generale.

Se l’operazione Case della Salute, sulla carta e fino a oggi, è risultata difficoltosa, allora “andrà incentivata con tutti gli strumenti, rinnovando le convenzioni, le risorse della legge finanziaria, con uno strumento quindi legislativo che sarà sottoposto presto in Consiglio dei ministri per essere approvato”. Questo l’impegno del ministro per la Salute Livia Turco, vissuto quasi come la scommessa della legislatura: “mi piacerebbe che a un anno dall’inizio del Governo Prodi si possa approvare questo disegno di legge che ha come obiettivo la promozione della qualità e della sicurezza delle cure”. Così il ministro ha presentato di recente a Roma quello che ha definito il secondo pilastro del Ssn della sanità pubblica dopo gli ospedali: la Casa della Salute. Un passo avanti rispetto alle Utap, introdotte dal ministro Sirchia, perché non solo funzionano, almeno nelle intenzioni del ministero, soltanto come poli sanitari, ma si aprono all’integrazione socio-sanitaria.

Che cosa troveremo nelle Case della Salute
Sono quattro le aree di attività che verranno ospitate dalle nuove strutture, almeno stando al modello presentato dal ministero della Salute:
1. CUP I cittadini si rivolgono per informazioni, prenotazioni di visite, esami e altre prestazioni. Previsto anche collegamento in rete con le farmacie pubbliche e convenzionate per la messa in rete di servizi.
2. Servizi Socio Sanitari Può ospitare Sert, Servizio salute mentale, Centro diurno per l’assistenza domiciliare, Servizio di recupero e riabilitazione, residenza assistenziale con 20 posti letto che può essere anche in un’altra sede.
3. Servizi Sociali Sono previsti uno spazio per servizi sociali e volontariato, le attività amministrative e il supporto ai medici e agli altri operatori.
4. Servizi Sanitari  Nella Casa della Salute si effettuano le prestazioni urgenti, prelievi e donazioni; piccole urgenze; medicina generale; continuità assistenziale (ex guardia medica) 7 giorni su 7 e 24 ore al giorno; ambulatorio infermieristico; degenze territoriali; attività specialistiche; diagnostica semplice.

“A partire già da aprile e fino a maggio - ha annunciato il ministro - avvierò un viaggio nella medicina del territorio che c’è per verificare di persona il tanto che è già stato realizzato. Un modo per osservare e toccare con mano, per quel che si può attraverso una visita, i punti di forza e di debolezza, anche in preparazione della prima conferenza nazionale sulle cure primarie e l’integrazione socio sanitaria che si terrà a Bologna”.

La mappa delle sperimentazioni


L’idea di sedi consociate in cui ci siano a disposizione i professionisti delle cure primarie piace agli assessori regionali della sanità, o almeno così sembra. In Italia infatti si contano già 136 strutture, in 10 Regioni, che hanno avviato strutture, programmi e progetti in linea con gli obiettivi che in parte risultano comuni al progetto ministeriale e che, secondo il ministero, potranno essere riconvertiti e messi a disposizione per la realizzazione di Case della Salute.

  • Veneto: partita nel 2004 la realizzazione delle Utap, il piano è di realizzare entro il 2007 due Utap per ognuna delle 21 Asl. Nel piano di riparto la Regione ha vincolato lo 0.25% del bilancio di ogni Usl per l’allestimento delle strutture, per un totale di 18 milioni di euro circa.
  • Piemonte: avviato due anni fa il progetto gruppi di cure primarie, a fine 2009 si punta a un gruppo in ognuno dei 13 distretti.
  • Emilia Romagna: riconvertiti una trentina circa di ospedali in strutture simili alle Case della Salute, è stata creata una rete informatica con i Mmg e i servizi territoriali.
  • Toscana: la Regione ha iniziato a sperimentare le Società della Salute in 22 realtà territoriali su un totale di circa 40, per un bacino di 2 milioni di abitanti. Oltre a questo c’è l’esperienza di una Casa della Salute a Castel Fiorentino, dove sono stati concentrati vecchi ospedali in uno nuovo.
  • Marche: avviata una decina circa di esperienze di riqualificazione dei piccoli ospedali. Due le eccellenze raggiunte nel nord e centro della Regione.
  • Lazio: la Regione ha già avviato, con un investimento di 4,5 milioni di euro, un progetto di riorganizzazione dei servizi ospedalieri nella Asl di Palombara Sabina, sul cui territorio circostante sono presenti ben 8 ospedali per 500 mila abitanti. Cosa che però ha determinato finora un’eccessiva frammentazione dei servizi.
  • Puglia: tre i progetti di Casa della Salute che la Regione spera di fare approvare entro giugno con il piano regionale. Una sarà a Gallipoli, dove il vecchio ospedale ospiterà servizi specialistici e di salute mentale, un’altra a Casamassima, con più specialisti e l’assistenza di pediatri e Mmg, un’altro a Vieste dove in progetto c’è una Casa della Salute per particolari patologie.
  • Basilicata: sperimentati i punti salute in 10 Comuni del nord della Regione, con la cooperazione di tutti gli operatori. Nel sud della Regione sono presenti punti salute che erogano pacchetti di prestazioni integrate, con i Mmg che orientano il lavoro.
  • Sicilia: si spera di partire entro fine anno con due Case della Salute, una nella parte occidentale e l’altra in quella orientale dell’isola.
  • Sardegna: il piano è di riconvertire 8 piccoli ospedali accorpando i servizi sanitari, e mettendo punti emergenti con auto medicalizzate. È previsto un finanziamento di 15 milioni di euro.

Le risorse a disposizione

La legge Finanziaria, secondo i conti del ministero, ha messo a disposizione delle Regioni per gli investimenti in Sanità tre miliardi, ai quali si sommano i 10 milioni di euro dedicati specificamente al progetto Case della Salute. Ma se tra le criticità segnalate nell’immediato dagli assessori c’è proprio l’entità dei fondi dedicati e la complessità del nuovo rapporto convenzionale da instaurare con i medici di famiglia per ricomprendervi i servizi delle Case, è toccato un po’ ai sindacati dei Mmg mostrare le criticità dell’operazione.
“Ci piace ragionare sulle cose realizzabili - ha spiegato il segretario Fimmg Giacomo Milillo - ma il costo di una sistematizzazione della Casa della Salute è di 20 miliardi di euro e ciò ci pare non raggiungibile mentre esiste già una rete (quella dei Mmg sul territorio) che con un investimento di un miliardo e mezzo di euro può raggiungere livelli alti di efficacia e di efficienza, come dimostra il progetto di rifondazione della medicina generale”.
Difficoltà anche da Snami: “Pur non potendo rinunciare, secondo i responsabili dei dicasteri regionali della sanità, a organizzazioni complesse - fa notare il leader dello Snami
Pier Giuseppe Conti - rimane la difficoltà di coordinarle per la necessaria presenza di enti istituzionali differenti e categorie diverse di operatori. È necessario andare incontro alle richieste della cittadinanza, soprattutto tenendo conto della possibilità di realizzarle. E la conditio sine qua non per fare questo è la copertura economica del progetto Casa della Salute”.
Più possibilista lo SMI, che, con la responsabile delle cure primarie Maria Paola Volponi pur dicendo sì alle Case della Salute, sottolinea che servono più risorse per la sperimentazione oltre a un contestuale e complessivo potenziamento dei servizi. “Tanti sono i temi sul tavolo - ha dichiarato Volponi - tante sono le preoccupazioni, soprattutto alla luce di dichiarazioni di alcuni assessori regionali che considerano le Case della Salute e i servizi sul territorio solo come valvole di scarico degli ospedali e come trincee dove costruire il risparmio nella spesa sanitaria, anziché come luoghi in cui il medico costruisce la prevenzione e un adeguato percorso di cura per i cittadini. Lo SMI chiede che si avvii con urgenza un vero tavolo di confronto per la riorganizzazione delle cure primarie e del territorio e che si acceleri il percorso di definizione della legge sul governo clinico”.



Un’integrazione difficile, tutta da immaginare?

L’integrazione socio sanitaria a cui tanto aspira il ministro della Salute, al punto di farne il cardine delle Case della Salute, presenta delle serie criticità che si palesano ogni volta che il nostro Paese fa il punto su malattie croniche e invalidanti per le quali l’approccio multidisciplinare e integrato è una necessità indeclinabile. Di recente a evidenziare tale difficoltà sono stati i dati presentati a Roma dall’Associazione italiana malattia di Alzheimer inerenti alla rilevazione fatta dal Censis su malattia e accesso ai servizi, a sette anni di distanza dalla prima edizione. Il quadro dipinto dai numeri non è un bel vedere. Si

Censis, quel legame che manca
A sette anni dalla realizzazione dell’indagine Censis “La mente rubata. Bisogni e costi sociali della malattia di Alzheimer”, in stretta collaborazione con l’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (AIMA), e con il supporto di Janssen-Cilag, Lundbeck, Novartis e Pfizer, il Censis ha scelto di tornare a indagare il punto di vista dei caregiver di malati di Alzheimer diagnosticati.
Rispetto all’indagine Censis del 1999 le modalità di interazione dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie con i servizi sembrano caratterizzarsi per la nuova presenza delle Unità di Valutazione Alzheimer che risultano essere il punto di riferimento unico per il trattamento della malattia cui si rivolge poco meno della metà dei malati (47.6%).
Ad esso seguono l’ambulatorio medico specialistico ospedaliero o dell’Azienda sanitaria locale (14.7%), i Centri dell’Associazione italiana malattia di Alzheimer (12.0%) e gli studi medici degli specialisti privati 10.7%. Il medico di medicina generale è il riferimento principale solo per il 4.2% dei rispondenti, con buona pace della continuità assistenziale, mentre poco oltre il 2% si interfaccia con altre strutture/soggetti.

parla di qualche servizio in più a disposizione delle famiglie, ma anche di un grande assente: l’integrazione socio sanitaria, che parte dal medico di famiglia, arriva ai centri per la diagnosi e l’accompagnamento, i servizi infermieristici e include tutte le opzioni per l’assistenza alla persona, il sostegno alla famiglia, la formazione di collaboratori domestici che sappiano come si gestisce un malato tanto particolare.
Roberto Bernabei, Presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, soffia sul fuoco: “Se, come palesa la ricerca del Censis, ci sono diagnosi che arrivano dopo due anni e mezzo, è perché qualcuno non se ne accorge”. Secondo Bernabei “la gestione di un paziente di Alzheimer non la può coordinare un medico di medicina generale, che è il soggetto del Ssn che riconosce la malattia e fa la diagnosi solo nel 2.7% dei casi, perché ci vuole una competenza più specialistica, come accade nel resto del mondo. Certo, loro, i Mmg - aggiunge - hanno sempre un po’ paura di perdere pazienti, per questo propongono molte cose, ma non sono le figure più adatte a gestire questo tipo di patologia”. Alle critiche del presidente della Società di Gerontologia e Geriatria si aggiunge la dichiarazione non certo rassicurante del ministro della Salute Livia Turco.
Il ministro ammette che, come attori istituzionali “ci sono inadeguatezze che pesano in modo particolare. E non essere riusciti ancora a far partire un tavolo su temi come la non autosufficienza e la demenza ci pesa in modo particolare”.

Il nodo dell’integrazione


Ma a cosa è dovuto questo ritardo? Il ministro della Salute lo spiega raccontando che, insieme ai tecnici del suo dicastero, “si pensava che fosse strategico far partire il tavolo inerente la non autosufficienza e la demenza nell’ambito della Commissione sulle Cure Primarie, per una presa in carico che si basi davvero su una rete integrata di servizi”. Un cambiamento tanto urgente “quanto faticoso - spiega ancora il ministro - perché non è così banale come sembrerebbe connettere i diversi segmenti della medicina del territorio facendo lavorare insieme, per esempio, i medici di medicina generale e la continuità assistenziale, questi ultimi e la specialistica”. E aggiunge: “Resto sempre stupita che la cosa più difficile da ottenere sia la multidisciplinarietà”.
Il ministero, però ha fatto la scelta “di costruire l’innovazione nel dialogo con i medici di famiglia - sottolinea Turco, che in considerazione di quanto detto e valutato definisce - ineludibile stringere con essi un patto di diritti e doveri, con un riconoscimento di ruolo che chiede in cambio un’assunzione di responsabilità”. Il Governo, infatti, ha deciso di investire nel sistema della cure primarie, e “anche se tra le Regioni esistono molte differenze”, sarebbe quindi, secondo il ministro “sbagliatissimo indicare e scegliere un modello piuttosto di un altro”.
E da questo assunto nasce come obiettivo della parte pubblica, “quello di far decollare i sistemi di cure primarie”. Un traguardo, che deve essere condiviso e perseguito da tutti gli attori dell’assistenza sanitaria sul territorio.
Ma davvero lavorare insieme è tanto difficile per le realtà della medicina generale sul territorio? E davvero nella Commissione delle Cure Primarie connettere i diversi pezzi della medicina sul territorio è così impossibile come ha lamentato il ministro? Domande che per avere una risposta adeguata vanno poste a chi attivamente partecipa ai lavori della Commissione delle Cure Primarie.

Difficolta? Forse sì, ma con distinguo


È difficile pensare a diversità dirimenti “dal momento che siamo abituati a lavorare insieme - spiega Salvo Calì, segretario di SMI-Federazione Medici - e che, tra assistenza primaria e altre figure della medicina del territorio noi chiediamo addirittura un ruolo unico”.
Altro, certo, è parlare dell’integrazione della parte sociale dell’assistenza, “che sicuramente - riconosce Calì - porta con sé dei problemi che andranno meglio sviscerati”.
Mauro Martini di Snami spiega che una difficoltà, secondo la sua esperienza, più che nella Commissione, potrebbe nascere in quei territori dove la continuità assistenziale “sia solamente un ripiego, per il medico come per l’azienda, cioè laddove non le sia stata data la giusta qualificazione al ruolo”. “In queste realtà i colleghi - aggiunge - potrebbero non riuscirsi a integrarsi nel territorio perché, magari, ci stanno soltanto due weekend al mese. Si tratta dunque di una questione organizzativa e di governo clinico, non certo di impostazione”.
Trovare una soluzione per garantire l’integrazione, conferma il segretario Fimmg Giacomo Milillo, “è davvero un compito difficile, perché si toccano situazioni già assestate come quella che vuole che il medico di assistenza primaria abbia paura, a ragione, di fare la notte, magari a sessant’anni”.
Ma il segretario della Fimmg tiene a precisare che: “Questo non corrisponde a una difficoltà di confronto né nella Commissione, né con le Regioni, con i quali il lavoro, pur complesso, potrà essere molto produttivo”.
Nell’integrazione con il sociale “traguardo identificato da decenni, si fa certamente più fatica, ma forse perché ci sono specifici diversi”, ma esiste anche “una responsabilità politica che poi va agita”, conclude.
Ad essere più in sintonia con quanto dichiarato dal ministro della Salute è il presidente della Simg Claudio Cricelli: “a condizione però, come ho spiegato al ministro nella presentazione della commissione, che si valorizzi la componente scientifica. Tale componente, data la cornice che la politica dispone, va a dipingere i dettagli, la qualità interna e il profilo del quadro della medicina generale nel suo complesso”. Fino ad oggi, lamenta Cricelli “sono stati preferiti i grandi disegnatori delle politiche astratte. Per quello che riguarda la Società scientifica che rappresento non si è mai avuto difficoltà a lavorare con gli altri. Una difficoltà che non avremo mai, ma, tengo a dirlo, non siamo figli di un dio minore”.