M.D. numero 13, 18 aprile 2007

Professione
Il ruolo sociale del medico di famiglia
di Mauro Marin - Medico di medicina generale, Pordenone


Il Mmg è l’unico referente accessibile in giornata anche per bisogni sociali e psicologici. Svolge così una funzione di ammortizzatore sociale che però non ha visibilità per gli amministratori e non rientra nei Livelli essenziali di assistenze


Il medico di assistenza primaria svolge anche per la natura del ruolo e per il rapporto fiduciario continuativo con gli assistiti, un lavoro sociale di pronta disponibilità che solo in minima parte è misurabile e riconosciuto. Per i soggetti fragili che presentano un problema sociosanitario il Mmg è l’unico referente subito accessibile in giornata, anche per bisogni sociali e psicologici. Le altre figure in grado di erogare prestazioni autonome, comprese le assistenti sociali, ricevono per appuntamento, spesso fuori dai momenti di bisogno percepiti dagli utenti, salvo il 118.
Quindi il Mmg svolge un ruolo di ammortizzatore sociale che non ha visibilità per gli amministratori e non rientra nei Lea, ma che trova un riconoscimento negli indici di gradimento dei sondaggi tra utenti dove il medico di famiglia appare come una delle figure più amate del Ssn.
Il D.Lgs 229/1999 (terza riforma sanitaria) all’art. 3 septies promuove l’integrazione sociosanitaria tra le attività delle Asl e dei Comuni e riconosce le denominate “prestazioni sociali a rilevanza sanitaria” a favore di soggetti fragili fornite da personale non sanitario a cura dei Comuni, già responsabili dell’assistenza sociale ai sensi della legge n. 328/2000.
L’accordo collettivo del marzo 2005 all’art. 55 attribuisce ai medici di medicina generale il compito di attivare e concordare gli interventi socioassistenziali per i suoi pazienti e all’allegato H, art. 5, delega al medico di famiglia la responsabilità di coordinatore dell’assistenza domiciliare integrata con responsabilità unica e complessiva del pazienteno.

Coordinamento senza gerarchia


Va però rilevato che all’assegnazione di questa precisa responsabilità non corrisponde affatto l’attribuzione di un potere per assolverla. Il Mmg non ha l’autorità per ordinare l’intervento in tempi utili dei diversi operatori sociosanitari nell’assistenza al proprio paziente, salvo la possibilità di limitarsi a richiamare, se esiste, il piano assistenziale individuale concordato a livello di UVD (Unità di Valutazione Distrettuale), quando non rispettato. Non avendo un potere gerarchico il Mmg non può essere responsabile di inadempienze altrui, come ben spiega l’art. 27 della Costituzione e l’art. 110 CP e così il coordinamento dell’art. 5 dell’allegato H oggi appare irrealistico. Non è infrequente rilevare realtà in cui i servizi socioassistenziali operano su pazienti senza neppure informare il medico curante coordinatore degli interventi multidisciplinari.
Che organizzazione potrebbe essere garantita in ospedale se ogni operatore fosse libero di intervenire in autonomia secondo i propri tempi sui pazienti, senza un coordinamento che assicuri il rispetto della sequenza sincronizzata di interventi nel percorso assistenziale? Anche la continuità assistenziale sul territorio ha bisogno di un’organizzazione in cui gli operatori siano realmente interdipendenti e vi sia un coordinamento reale da parte del medico che gestisce clinicamente gli assistiti e non solo di quello che gestisce le loro pratiche a posteriori in ufficio distrettuale.
Gli accordi regionali regolamentano l’assistenza sanitaria nelle residenze sociali protette e attribuiscono ai medici la responsabilità diretta dei singoli pazienti. Ma molte di queste residenze non hanno nominato un direttore sanitario responsabile del coordinamento del personale. La legge impone a qualsiasi ambulatorio medico la nomina di un direttore sanitario e tutte le residenze protette sono dotate di un ambulatorio e di una farmacia interna che spesso non ha un responsabile sanitario. Ciò che ha rilevanza penale per il privato è invece tollerato nel pubblico.

Un insostituibile servizio


Rimane dunque aperta la questione di quali contenuti concreti si vogliano dare alla funzione di coordinamento sociosanitario del Mmg nell’assistenza territoriale e quali interdipendenze si debbano attivare per creare delle sinergie tra settori assistenziali in aree territoriali periferiche che oggi lavorano meno efficacemente da soli.
La proposta ministeriale della Casa della Salute in cui si realizza l’integrazione sociosanitaria è applicabile nelle aree urbane. Ma nelle aree periferiche rurali o montane, a popolazione sparsa in frazioni, la distribuzione capillare degli ambulatori di medicina generale, presenti anche dove mancano sedi ospedaliere e distretti sanitari, resta ancora un insostituibile servizio ai pazienti fragili la cui trasportabilità è limitata da ragioni psicofisiche, sociali o territoriali che condizionano la fruibilità delle cure nei servizi centralizzati.
Per offrire uguali servizi anche ai cittadini residenti in aree non urbane è dunque necessario finanziare la costituzione di sedi uniche per i servizi sociali e sanitari territoriali, per esempio reperendo negli edifici comunali spazi condivisi per poliambulatori medici (medicina di gruppo) e servizi sociali, e attivando eventi formativi multidisciplinari per ottimizzare i percorsi di assistenza integrata sociosanitaria.