M.D. numero 13, 18 aprile 2007

Prospettive
Medici di famiglia: c’è chi li vuole dipendenti e chi fornitori di servizi
di Giuseppe Belleri - Medico di medicina generale, Flero (BS)


Mmg non più liberi professionisti, ma dipendenti del Ssn? Con l’incombere della ripresa delle trattative per la nuova Convenzione nazionale, si ripropone una vecchia tentazione. D’altronde il Mmg è convenzionato in una organizzazione programmata, governata e gestita da dipendenti e ha ancora una retribuzione fondata prevalentemente sulla quota capitaria comprensiva delle spese necessarie all’erogazione delle prestazioni. Forti di queste contraddizioni alcune Regioni, come il Veneto, fanno fughe in avanti nella direzione della dipendenza. Anche l’accento posto dal ministero della salute sul h. 24 sembra andare in quella direzione. C’è anche chi crede che ci sia bisogno di un “cartellino” per inchiodare il Mmg alle proprie responsabilità. Ma l’Istat, numeri alla mano, rende giustizia al ruolo della categoria nell’attuale sistema delle cure


Sullo sfondo del confronto tra sindacati e parte pubblica, avviato con la costituzione della Commissione per le Cure Primarie, resta il nodo della dipendenza, ovvero l’ipotesi che l’intero comparto delle cure primarie passi a rapporto subordinato nell’ambito dello statuto giuridico del pubblico impiego. Le prime avances in tal senso sono arrivate dalla parte pubblica a livello nazionale, ma è soprattutto in periferia che si caldeggia il passaggio alla dipendenza. In prima fila troviamo infatti l’assessore alla sanità della Regione Veneto, Flavio Tosi, che già si era segnalato nel 2006 per il Disegno di Legge regionale sul “governo della domanda”, dai contorni poco chiari e di cui si sono per ora perse le tracce. In una dichiarazione alla stampa ha chiaramente espresso il suo pensiero in materia.

Le dichiarazioni dell’assessore Flavio Tosi
“Vorremmo instaurare un rapporto di dipendenza e non di convenzione - ha dichiarato l’assessore alla sanità del Veneto - perché questo ci consentirebbe di lavorare in modo migliore. L’esperienza è già stata affrontata da altri Paesi. Si potrebbe migliorare la situazione, soprattutto in previsione del fatto che si stanno introducendo nuovi sistemi di approccio alla salute, come per esempio le Utap, che vedono quale fulcro proprio i Mmg che rappresentano uno dei cardini del nostro sistema sanitario, il punto di raccordo tra il cittadino e la struttura sanitaria. Essi hanno in mano l’importantissimo settore della prevenzione e possono condizionare la spesa. Credo che il rapporto di lavoro così come è normato oggi li metta spesso in condizioni spiacevoli. Un rapporto di dipendenza potrebbe anche garantire loro maggiore sicurezza e serenità”.

Il tema del passaggio alla dipendenza si intreccia con la questione dell’h. 24, che sta in cima alle priorità della parte pubblica, per l’avvio delle trattative per il rinnovo dell’ACN. Le intenzioni del ministero non lasciano dubbino: toccherà ai generalisti coordinarsi e darsi il cambio nelle 24 ore e nella settimana per assicurare la continuità dell’assistenza e non mancherà di tradursi in maggiori responsabilità per i Mmg nella gestione complessiva dell’assistenza territoriale.

Le contraddizioni


Nella dialettica tra la dimensione nazionale della convenzione ed esigenze delle Regioni emerge una prima contraddizione. L’affidamento della gestione delle 24 ore/365 giorni l’anno ai Mmg equivale nei fatti a un “appalto” della gestione di un servizio a un’agenzia esterna alla tradizionale struttura della Asl, operazione che in gergo manageriale è definita di outsourcing o esternalizzazione, cioè trasferimento di alcune fasi lavorative di un processo produttivo a soggetti esterni all’istituzione o impresa che governa la produzione. Indica la possibilità per un’azienda di affidarsi a società specializzate con la garanzia che il servizio sia strutturato secondo le esigenze dell’azienda. Si tratta di una modalità che ha preso piede, soprattutto a livello ospedaliero, da una decina d’anni e che segnala il disimpegno del management da funzioni ritenute non strategiche, economicamente poco “redditizie” o di gestione troppo gravosa (servizi di lavanderia, mensa, sorveglianza, ecc.). Grazie a tale “dismissione” è possibile rivolgere risorse umane e finanziarie alle attività ritenute strategiche, vale a dire il core dell’organizzazione.
Ebbene la medicina generale, nell’ottica dell’outsourcing, rappresenta un settore che fin dall’inizio ha obbedito a una logica di estrenalizzazione, seppure ante-litteram, in contrasto con il rapporto di lavoro subordinato. Di fatto, con l’ipotesi di affidare alle cure primarie la gestione delle h. 24, si porta a compimento il disegno di delega a soggetti esterni all’azienda sanitaria.
Il passaggio alla dipendenza, invece, va concettualmente nella direzione opposta rispetto all’ipotesi di esternalizzazione, in quanto il rapporto di lavoro dipendente è uno strumento di controllo sull’organizzazione, coerente con la gestione interna di un servizio. Per di più la remunerazione oraria, tipica del rapporto di lavoro subordinato, mal si concilia con la centralità del rapporto di fiducia e della facoltà di scelta/revoca, caratteristiche della medicina generale e cardine della continuità assistenziale.
Insomma l’affidamento delle h. 24 ai medici di famiglia, in una sorta di appalto a erogatori accreditati e autonomi, è in controtendenza rispetto al passaggio alla dipendenza, che invece enfatizza la gestione diretta di servizi inglobati nell’organizzazione.

I danni della dipendenza


Il passaggio alla dipendenza, vagheggiato a livello regionale, di certo sposterebbe il baricentro professionale dalla dimensione interpersonale alla gerarchia manageriale, con esiti deleteri per le cure primarie: il capitale sociale gestito dal medico di famiglia verrebbe in pochi anni sperperato e la continuità tempo-spazio cederebbe il passo alla tipica discontinuità che affligge i servizi pubblici, fatta di turn-over di operatori, impersonalità dei rapporti, ordini di servizio che riducono l’autonomia e margini di negoziazione tra medico e assistito.
Il rapporto medico-assistito basato sulla fiducia reciproca e sulla facoltà di scelta/revoca è davvero la linea del Piave superata la quale semplicemente verrebbe snaturata la medicina generale.
Nell’enfasi con cui la parte pubblica sponsorizza l’ipotesi della dipendenza si può leggere in filigrana l’annosa polemica sulla scarsa “produttività” dei medici di medicina generale. Ma proprio la recente indagine ISTAT multiscopo “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari”, pubblicata a cinque anni dalla precedente rilevazione, traccia un affresco dello stato di salute della popolazione e delle modalità di fruizione della sanità pubblica che fa giustizia dello stereotipo di un medico di famiglia poco “produttivo”.
Ebbene la ricerca dell’ISTAT, oltre a posizionare il generalista ai vertici della classifica in quanto a fiducia, ha fornito dati significativi sul carico di lavoro e sull’apporto della medicina generale al buon funzionamento del sistema. Rispetto ai cinque anni precedenti il numero complessivo di visite effettuate nel periodo di riferimento è aumentato del 16.7%, passando da circa 47 visite ogni 100 persone a circa 54. Distinguendo per tipo di visita, il numero di visite del Mmg è cresciuto del 20.5% e quello delle specialistiche del 10.5%.
È pari a 3 milioni e 773 mila (6.5% della popolazione, 7.3% delle donne e 5.6% degli uomini), la quota di persone che, nelle quattro settimane precedenti l’intervista, ha effettuato almeno una visita generica o specialistica in assenza di disturbi o di malattie . L’incremento complessivo delle visite (pari a 4 milioni e 478 mila prestazioni) si verifica in più della metà dei casi per ripetizione di ricette (anche per effetto di alcuni cambiamenti normativi sulle prescrizioni dei farmaci), in 917 mila casi per malattia e 895 mila per controllo dello stato di salute.