M.D. numero 14, 25 aprile 2007

Clinica
Calcolosi urinaria: diagnosi e terapia
di Ciro Niro,* Giovanni Battista D’Errico,** Nunzio Costa***

* Medico di medicina generale, San Severo (FG), Responsabile Nazionale Dipartimento Uro-Andologia AIMEF
** Medico di medicina generale, Foggia, Responsabile Nazionale Dipartimento Oncologia e Cure Palliative AIMEF
*** Medico di medicina generale, Stornarella (FG), AIMEF

La presente rassegna fa riferimento alla recente revisione delle linee guida sulla calcolosi urinaria promossa dalla Associazione Urologi Italiani (AURO.it). Viene proposto un aggiornamento dei capitoli di inquadramento diagnostico e intervento terapeutico che coinvolgono direttamente l’operato e le scelte del medico di famiglia

Gli studi epidemiologici mostrano che l’urolitiasi è un disturbo frequente che colpisce il 20% degli uomini e il 10% delle donne, principalmente nella fascia di età tra i 20 e i 40 anni. Un fatto curioso è che circa il 20% dei medici ha avuto un episodio di colica ureterale.
L’incidenza varia notevolmente nelle differenti popolazioni e nei Paesi occidentali si è assistito a un sensibile aumento interrotto solo dalle due guerre mondiali, dato da cui si è ricavato che l’incidenza della calcolosi è più elevata nei Paesi socialmente più evoluti, dove le condizioni di vita e soprattutto l’alimentazione sono migliori.
La frequenza della patologia litiasica impone un iter diagnostico essenziale, rapido e con costi contenuti.
Il paziente litiasico giunge all’osservazione del medico di famiglia per i sintomi o per un riscontro casuale del calcolo. In caso di colica reno-ureterale isolata o di reperto incidentale non sussistono criteri di urgenza e il paziente può essere inquadrato anche ambulatorialmente.
Quando invece i sintomi sono subentranti o incoercibili, si rende necessaria l’ospedalizzazione per una rapida diagnosi e talora soluzione terapeutica in tempi brevi, anche per evitare e/o risolvere le complicazioni dell’ostruzione.
L’iter diagnostico della calcolosi si articola in più livelli con grado crescente di approfondimento morfologico e metabolico.

Diagnosi iniziale


Anamnesi

La diagnosi iniziale della calcolosi urinaria si basa su una dettagliata raccolta anamnestica per fare emergere tutti quei fattori di rischio correlati alla formazione di calcoli e alle complicanze derivanti dalla urolitiasi.

Familiarità
L’aumentata frequenza di litiasi in alcune famiglie potrebbe essere interpretata come una tendenza ereditaria a formare calcoli, che insorge solo quando diversi fattori, quali abitudini alimentari (per es. ridotta introduzione di calcio nella dieta) e ambientali, si associano.
La familiarità sarebbe invece inversamente correlata alla formazione “attiva” dei calcoli, cioè a un aumento del numero, delle dimensioni dei calcoli o ad una ricorrenza entro i due anni.
Il fenotipo riscontrato più frequentemente in famiglie con almeno due fratelli affetti da calcolosi calcica sembra essere quello associato a ipercalciuria; il fatto che l’escrezione urinaria di calcio, nell’ambito della stessa famiglia, sia differente tra i soggetti con urolitiasi e quelli senza, suggerisce l’ereditarietà, anche se non la prova, e che teoricamente l’ipercalciuria potrebbe essere legata a fattori ambientali non identificati.

Patologie urologiche concomitanti

In oltre il 30% dei casi si possono riscontrare patologie urologiche concomitanti alla calcolosi urinaria e rappresentate da: diverticolosi caliciale, rene a spugna midollare, cisti renali, duplicità ureterale, stenosi uretrali, rene a ferro di cavallo, stenosi del giunto pielo ureterale, ureterocele, tubercolosi urinaria. Allo stesso modo precedenti episodi di litiasi possono rappresentare fattori di rischio per la recidiva di calcoli fino a circa il 57% dei casi.
Importanti fattori di rischio per la litiasi urinaria sono: ipercalciuria, ipocitraturia, iperossaluria, iperuricuria e infezioni delle vie urinarie (UTI) ricorrenti.
Anche un aumento dell’azoturia, come risultato di un maggiore introito proteico, può rappresentare un fattore di rischio.
La vasectomia determinerebbe un rischio relativo raddoppiato di urolitiasi, in soggetti di età >46 anni e fino a 14 anni dopo l’intervento.

Patologie non urologiche concomitanti
Le malattie infiammatorie intestinali (morbo di Crohn e rettocolite) con o senza resezione intestinale, si associano a un’incidenza di calcolosi dal 5% al 25% nei diversi studi.
Soggetti con morbo di Crohn manifestano ipocitraturia, ipomagnesuria e ridotto volume di urine a pH acido. Allo stesso modo, pazienti sottoposti a resezione intestinale, specialmente dopo ileostomia, presentano ridotto volume di urine a pH acido, ridotta escrezione urinaria di magnesio, citrato, sodio, elevata concentrazione di ossalato, calcio e acido urico con iperuricemia; tutto ciò può portare alla formazione di calcoli di ossalato di calcio e acido urico.
L’iperparatiroidismo si associa frequentemente a un più alto contenuto medio di urato di ammonio e quindi alla calcolosi.
Il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, la cardiopatia ischemica e l’ulcera peptica si associano a una maggiore prevalenza della malattia litiasica, ma senza una significatività statistica.

Terapie concomitanti
I calcoli indotti da farmaci rappresentano l’1-2% del totale; essi possono essere suddivisi in due gruppi a seconda del meccanismo inducente la litiasi.
Al primo gruppo appartengono i farmaci poco solubili che cristallizzano nelle urine; il secondo gruppo comprende farmaci con effetto metabolico.
Bisogna tuttavia considerare che intervengono anche particolari e concomitanti fattori di rischio legati al paziente, quali il pH e il volume urinario (tabella 1) e al farmaco stesso (tabella 2).

Trattamento del dolore


La colica reno-ureterale è una frequente causa di dolore severo, debilitante, e richiede un pronto e adeguato trattamento: gli obiettivi della terapia sono eliminare il dolore, facilitare l’espulsione del calcolo e preservare la funzione renale dal danno causato dalla prolungata ostruzione.
I cambiamenti biochimici che intervengono negli stadi iniziali della colica comprendono il rilascio locale di sostanze vasoattive che agiscono principalmente sui vasi preglomerulari. Sostanze come prostacicline (PGI2), prostaglandine (PGE2) e ossido nitrico (NO) causano vasodilatazione con aumento del filtrato glomerulare (FG) e della pressione intraureterale.
Successivamente però si attiva un meccanismo compensatorio: una vasocostrizione connessa a riduzione del filtrato glomerulare, mediata da endotelina, angiotensina II e trombossano, induce una riduzione della pressione intraureterale. L’ormone antidiuretico (ADH) contribuisce a ridurre ulteriormente il volume urinario.
I potenziali rischi correlati alla somministrazione di diuretici o di elevati volumi di liquidi (rottura della via escretrice e/o danno irreversibile della funzione renale) sono superiori ai potenziali benefici, peraltro non univocamente dimostrati.
L’infusione endovenosa di liquidi è utile solo in pazienti disidratati, per il vomito o un’eccessiva restrizione idrica, al fine di mantenere un corretto bilancio idroelettrolitico.
Sono vari i farmaci che vengono adoperati per il controllo del dolore nella colica renale.

FANS
I FANS rappresentano oggi la terapia di prima scelta. La loro azione si esplica attraverso la riduzione della risposta flogistica, dell’edema locale e del flusso ematico renale con riduzione del filtrato glomerulare fino al 35%; inoltre essi riducono la peristalsi ureterale per effetto miorilassante diretto e per una diminuzione della pressione intraureterale successiva al calo del filtrato glomerulare.
Essi agiscono principalmente inibendo l’attività della ciclossigenasi (COX) che regola la sintesi delle prostaglandine e del trombossano.
Sono conosciute tre classi di FANS in rapporto alla loro inibizione della COX: non selettivi, inibitori COX 1 selettivi, inibitori COX 2 selettivi (controindicati nei pazienti con danno renale perché riducono ulteriormente il FG).
La loro somministrazione va evitata in caso di ulcera peptica conosciuta, insufficienza renale e gravidanza; deve essere effettuata con cautela nei pazienti più anziani, con diabete, ipertensione e in caso di disidratazione.
Due trial clinici randomizzati hanno confrontato l’efficacia, in termini di riduzione soggettiva e oggettiva del dolore, del ketorolac rispetto agli spasmolitici e agli oppiacei: le conclusioni hanno dimostrato che l’aggiunta dello spasmolitico al FANS non porta ad alcun effetto aggiuntivo o sinergico sul controllo del dolore. Rispetto agli oppiacei il ketorolac porta a un maggior sollievo del dolore e, anche se non in maniera statisticamente significativa, riduce i tempi di dimissione ospedaliera dei pazienti affetti da colica renale da litiasi.

Oppiacei analgesici
Gli oppiacei analgesici esplicano la loro azione impedendo l’entrata di ioni calcio nelle cellule nervose e riducendo così i livelli cerebrali di calcio; questi bassi livelli di calcio intracellulare nei neuroni bersaglio degli oppiacei analgesici riducono il rilascio di neurotrasmettitori (ACTH, noradrenalina, serotonina e sostanza P) e di conseguenza viene ridotta l’attivazione dei siti post-sinaptici. È stato recentemente ipotizzato che gli effetti degli oppiacei analgesici siano anche correlati agli inibitori dell’adenilato ciclasi.
Perifericamente essi agiscono direttamente sulla muscolatura liscia ureterale con aumento della lunghezza e del tono delle contrazioni isotoniche e ciò porta a uno spasmo ureterale che aumenta la pressione intra-ureterale e costituisce un ostacolo alla progressione ed eliminazione del calcolo.
Gli oppiacei inoltre non trattano la causa del dolore e possono indurre, oltre a dipendenza, effetti collaterali e da considerarsi di seconda scelta nella colica renale.

Spasmolitici
Gli studi presenti in letteratura sull’uso degli spasmolitici sono scarsi e contrastanti tra loro, per cui mentre da un lato si dimostra che l’uso di uno spasmolitico quale la drotaverina (non in commercio in Italia), che agirebbe bloccando la fosfodiesterasi IV delle cellule muscolari lisce, ha una efficacia molto alta, con riduzione del dolore in più dei 2/3 dei casi, all’opposto, in un altro studio si è concluso che gli spasmolitici-anticolinergici, che agiscono inibendo gli effetti muscarinici dell’acetilcolina, aggiunti ai FANS, non hanno determinato alcun effetto aggiuntivo né sinergico, rispetto a questi ultimi utilizzati da soli, sul controllo del dolore nella colica renale.
Questa mancanza di prova di efficacia potrebbe essere legata o alla assenza di recettori muscarinici a livello ureterale o al fatto che l’effetto anticolinergico di queste sostanze viene mascherato da quello antiprostaglandinico dei FANS.

Altri trattamenti

  • ADH: agisce attraverso un potente effetto anti-diuretico con rilassamento della pelvi renale e della muscolatura liscia ureterale, ma ha una breve durata d’azione (30 minuti).
  • Agopuntura e anestesia loco-regionale: l’agopuntura aumenta gli oppioidi endogeni come beta-endorfina nel sistema nervoso centrale (ciò modifica gli impulsi afferenti nella corda spinale).

L’anestesia locale T11-L1 blocca la trasmissione del segnale doloroso.

Inquadramento diagnostico con metodiche di imaging


La diagnostica per immagini gioca un ruolo fondamentale nel trattamento dei pazienti con calcolosi urinaria. In presenza di tale sospetto clinico è necessario intraprendere un iter diagnostico che valuti:
1. presenza o assenza della litiasi;
2. sede, dimensioni, numero e natura del calcolo;
3. presenza di eventuali segni secondari come ostruzione delle vie escretrici;
4. valutazione della funzionalità renale ed escretrice omolaterale e controlaterale;
5. eventuale infezione associata;
6. eventuale associazione di malformazioni urinarie;
7. capacità di progressione del calcolo.
Un’analisi preliminare consentirà di accertare la presenza della calcolosi, mentre il passo immediatamente successivo avrà come obiettivo la definizione del grado di severità della malattia tramite metodiche in grado di valutare non solo la sede, le dimensioni, la forma, il numero e la natura del calcolo insieme alle probabilità di espulsione spontanea, ma anche la sofferenza renale che può derivare dall’eventuale ostruzione delle vie escretrici con conseguente riduzione della funzionalità dell’organo.
Le informazioni che vengono richieste alle varie tecniche per imaging servono quindi a stabilire l’iter terapeutico successivo: l’evidenziazione di un’ostruzione significativa con progressivo deterioramento della funzione renale ci orienterà, per esempio, verso una terapia procedurale d’urgenza anziché verso la programmazione di un trattamento di elezione.
Tutte le metodiche di imaging a disposizione hanno il loro ruolo individuale da giocare, con alcuni limiti, ma comunque devono fornire, nel caso di sospetta patologia calcolotica, precise informazioni: stabilire la diagnosi di calcolosi; determinare la sede del calcolo; evidenziare l’anatomia pelvico-caliceale; valutare la funzionale renale; programmare la terapia (litrotrissia, nefrolitotomia percutanea, laparoscopia, ecc) e valutare i risultati della terapia.
Da questo nasce la necessità di valutare i tratti della via escretrice dove si hanno cambiamenti di diametro del lume del canale escretorio, e dove si può incuneare il calcolo: colletto di un calice; giunzione pielo-ureterale; incrocio con i vasi iliaci; pelvi posteriore; giunzione uretero-vescicale.
È chiaro che le informazioni sulla sede, integrate con gli altri dati (dimensioni, natura, complicazioni), orientano sulla capacità di progressione del calcolo e sulla procedura terapeutica più opportuna, notizie fornite, in caso di positività per calcolosi, nella maggioranza dei casi da indagini basali dell’imaging diagnostico, eseguibili velocemente anche in condizioni di emergenza (tabella 3).
Qualsiasi dubbio riguardo al grado dell’ostruzione e alla compromissione funzionale impone il passaggio a un livello di indagine superiore con l’intento di definire, oltre al quadro ostruttivo, l’entità del danno e le capacità di recupero della funzionalità renale e valutare lo stato del rene controlaterale.
La valutazione funzionale sarà importante soprattutto in presenza di una storia di calcoli multipli con associata infezione e/o di pregressi interventi per rimuoverli.
Il passaggio spontaneo del calcolo attraverso le vie escretrici renali è in rapporto alle sue dimensioni: un calcolo di 1 mm di diametro ha circa l’87% di probabilità di essere espulso spontaneamente, un calcolo di 7-9 mm di diametro ha solo il 25% di probabilità. Ma questo dipende anche dalla sua localizzazione: 48% in sede prossimale, 60% in sede mediale e 75% in sede distale.
Le dimensioni del calcolo sono fondamentali per l’eventuale trattamento: infatti calcoli >6 mm solitamente necessitano di trattamento per improbabile espulsione spontanea, quelli di dimensioni tra i 4 e i 6 mm presentano una probabile espulsione spontanea, quelli <4 mm vengono solitamente espulsi spontaneamente entro 3 mesi.
La risposta a queste domande è fornita dalle metodiche di imaging a disposizione.
Nel sospetto di calcolosi urinaria l’iter diagnostico suggerito, che schematicamente è riassunto in figura 1, non deve essere tuttavia considerato limitativo, in quanto a seconda delle singole esigenze (tipologia di paziente, metodiche a disposizione dell’operatore, grado di urgenza) può e deve essere variato.

Terapia in attesa di espulsione spontanea


Nel 70% dei casi la colica renale è provocata da un calcolo situato nell’uretere distale. Una terapia di attesa può portare all’espulsione spontanea di più del 50% dei calcoli, ma con una media del tempo di espulsione superiore ai 10 giorni e con uso considerevole di analgesici, anche per calcoli di dimensione inferiore ai 4 mm.
Inoltre si possono verificare alcune complicanze come infezione delle vie urinarie, idronefrosi o coliche ricorrenti.
La probabilità che un calcolo ureterale venga espulso spontaneamente dipende essenzialmente da una serie di fattori “immodificabili” (dimensioni, sede, anatomia interna dell’uretere, pregressa storia di espulsione spontanea) e “modificabili” (spasmo, edema, infezione ureterale).

Obiettivi della terapia medica e farmaci studiati

L’obiettivo della terapia medica espulsiva dovrebbe essere quello di prevenire i fattori modificabili e controllare la sintomatologia dolorosa per favorire l’espulsione del calcolo.
In questi ultimi anni alcuni trial hanno proposto degli approcci conservativi, avendo dimostrato l’efficacia di diverse combinazioni farmacologiche nel favorire l’espulsione spontanea dei calcoli ureterali distali.
Infatti, anche se il ruolo della terapia medica espulsiva nel trattamento della calcolosi dell’uretere distale resta ancora da chiarire, in questi studi si è ottenuta l’eliminazione spontanea del calcolo in più dell’80% dei casi, con un eccellente controllo del dolore.
Un tale approccio conservativo risulta inoltre proponibile per calcoli di dimensioni fino a 10 mm, per un periodo massimo di 4 settimane, purché non insorgano deterioramento della funzione renale, infezione o dolore intrattabile.
L’uso di farmaci si basa sulla dimostrazione a livello dell’uretere umano della presenza di recettori alfa e beta adrenergici: l’effetto stimolante sulla contrazione ureterale è indotto dagli agonisti dei recettori alfa ed è dose dipendente.
La noradrenalina ha un effetto cronotropo e inotropo positivo sui recettori alfa, con aumento della frequenza della peristalsi e del tono della muscolatura ureterale, fino a determinare, ad alte dosi, la ostruzione ureterale totale. Per questo motivo la stimolazione alfa-adrenergica riduce il flusso di urina ureterale.
Gli antagonisti selettivi dei recettori alfa-adrenergici diminuiscono invece l’ampiezza e la frequenza della peristalsi ureterale, con una diminuzione della pressione nel lume ureterale, e quindi aumento della capacità di trasporto dei fluidi.
Successivamente è stata dimostrata la presenza nell’uretere umano di sottotipi dei recettori adrenergici, gli alfa-1D.
Tra i farmaci testati e comparati, importanti risultati si sono ottenuti con il tamsulosin, antagonista selettivo degli alfa1A-alfa1D recettori adrenergici. La molecola aumenterebbe sia la pressione, sia il flusso di urina a monte del calcolo, con riduzione della pressione a valle; il contemporaneo rilassamento del collo vescicale favorirebbe anche l’espulsione del calcolo migrato in vescica.
Inoltre tamsulosin permetterebbe di limitare l’uso di analgesici poiché, diminuendo la frequenza delle contrazioni fasiche peristaltiche nel tratto ureterale ostruito, si creerebbe una riduzione dello stimolo algogeno. Paragonato ad altri alfalitici non ha mostrato differenze statisticamente significative. Rispetto a nifedipina e fluoroglucinolo (agente sintetico con lievi proprietà anticolinergiche) ha dato risultati migliori, per tassi (97.1%) e tempi di espulsione, riduzione di giornate lavorative perse; inoltre ha permesso un trattamento domiciliare del paziente.
In un altro studio, al contrario, comparandolo alla nifedipina, si ottengono risultati molto simili per quanto riguarda la percentuale di espulsione e la necessità di terapia analgesica; il tempo di espulsione risulta ridotto invece dal tamsulosin.
Usato da solo, come spasmolitico, aumenta il tasso di espulsione spontanea e riduce tempo di espulsione, necessità di ricovero e procedure endoscopiche, con un miglior controllo del dolore rispetto al gruppo di controllo.
Altri farmaci che potrebbero essere impiegati sono i corticosterodi e i calcioantagonisti, in genere associati, e il cui razionale d’uso si spiega con le proprietà antiedemigene per i corticosteroidi, e con l’attività spasmolitica da parte dei calcioantagonisti.
Essi favorirebbero l’espulsione del calcolo, in tempi ridotti e con minor uso di analgesici.
L’associazione di nifedipina e deflazacort favorisce, in maniera statisticamente significativa, l’espulsione del calcolo dell’uretere distale e riduce tempo di espulsione, ricorso a FANS, numero di ricoveri e successivi interventi endoscopici.
L’uso di nifedipina va comunque effettuato con cautela nei pazienti con ipotensione, angina, diabete e gravidanza.
L’uso di un cerotto a base di trinitrina (che agisce come rilasciante ossido nitrico) non ha invece evidenziato alcun significativo vantaggio, rispetto al placebo, per la espulsione spontanea, tempo di espulsione del calcolo, uso di analgesici, riduzione del dolore e interventi endoscopici.