M.D. numero 15, 2 maggio 2007

Counselling
Il ciclo vitale della famiglia: la fase di svincolo dei figli
di Ivano Cazziolato - Medico di medicina generale, Psicoterapeuta, Marcon (VE), Dipartimento di Neuroscienze AIMEF


La fase di svincolo dei figli - i giovani adulti - dai genitori ha tempi e modalità diversi che in passato. Questa situazione può essere un’opportunità, ma spesso scatena momenti di crisi familiari, in cui i diversi attori esprimono attraverso sintomi clinici il loro malessere. Il medico di famiglia spesso viene coinvolto in quanto punto di riferimento dell’intero nucleo familiare


Caso clinico

Elisa, 29 anni, studentessa di biologia fuori corso, si presenta in studio con la madre. Al momento di entrare (sono le ultime pazienti della giornata), entrambe si alzano, ma Franca, madre di Elisa, guardandomi dice che Elisa vuole entrare da sola. La giovane è minuta, sembra molto più giovane della sua età e, per come si veste e per il taglio di capelli, sembra quasi un ragazzino un po’ monello.
Si siede, incrocia le braccia e dopo un sospiro, mi dice che non ha molta fiducia dei medici perché poche volte capiscono e in varie occasioni è stata trattata male. Guardandola in viso, noto che ha molti foruncoli, ma egualmente le chiedo qual è la ragione della sua visita. “I foruncoli, appunto!”.
Subito dopo, capisco che mi vuole aiutare perché mi dice: “Ho notato che peggiorano quando mi arrabbio o quando devo fare un esame”.
La famiglia di Elisa: Franca, la madre, ha 50 anni e lavora part-time presso un tribunale come impiegata dopo più di un decennio di precariato. Il padre Gino, 60enne, lavorava come autista dei bus, ora è pensionato da 5 anni. Elisa ha una sorella, Chiara, nata con una tetralogia di Fallot che a 20 giorni dalla nascita ha presentato una crisi respiratoria. Purtroppo l’eccessiva ipossia cerebrale subita prima del trasferimento in cardiochirurgia ha comportato un’insufficienza mentale lieve. Chiara, che ora ha 15 anni, riesce a svolgere compiti semplici e durante il giorno viene accompagnata in una struttura diurna, presso la quale ha la possibilità di eseguire piccoli lavori. Elisa si occupa spesso dell’accudimento della sorella.
Gino ha avuto problemi di alcolismo prima ancora di andare in pensione. Da circa un anno frequenta un gruppo di alcolisti anonimi e la situazione è migliorata, anche se preferisce passare gran parte del tempo fuori casa. Gino viene da una famiglia dove i genitori sono morti anni fa. Il fratello più grande, deceduto a 72 anni lo scorso anno, non si è mai sposato ed è rimasto con i genitori. Anche una sorella 50enne si è sposata solo due anni fa, ma sembra un matrimonio poco felice.
Franca invece viene da una famiglia di piccoli commercianti: i suoi gestivano un piccolo negozio di alimentari. Lei è la secondogenita, ha un diploma professionale come la sorella ultimogenita, che ha lavorato a lungo come impiegata in un’azienda e ora fa le pulizie. Il fratello più grande fa l’operaio. È alcolista e ha avuto problemi con la giustizia per piccoli furti.

Il colloquio


Decido di fermarmi ad ascoltare questa ragazza, visto che fuori non c’è più nessuno. Dopo averla visitata e avere letto i referti degli esami a cui Elisa si era sottoposta su proposta della ginecologa del distretto, le faccio qualche domanda. Prima però mi chiedo quali possono essere le aree da indagare e quali ipotesi si possono fare.

Ipotesi di domande


Nell’ambito del colloquio in casi come quello di Elisa si può chiedere per esempio:

  • Sei più preoccupata per l’imminente laurea (le mancano tre esami) o più arrabbiata perché senti che sarà per te difficile utilizzarla?
  • Da quanto tempo fai questo lavoro (riferito alla cura della sorella)?
  • Qualcuno si è accorto del tuo lavoro? Chi in particolare?
  • Come ti è venuta questa idea pazza di laurearti, visto che già lavori?
  • Chi è più contento e chi è più preoccupato a casa per la tua laurea?
  • Da bambina, ti sei sentita più sola o più triste, e perché?
  • Cosa ricordi della nascita di tua sorella e di quanto è successo dopo?
  • Dopo la nascita di Chiara, come hai visto i tuoi genitori?
  • Come hai sentito che i tuoi si occupavano anche di te, prendendosi cura di Chiara?
  • Chi sentivi allora più vicino a te dei tuoi genitori e come mai?
  • Cosa ti sei sentita di fare tu, per aiutare i tuoi genitori, rispetto alla malattia di Chiara e soprattutto quando e chi di più hai voluto aiutare?
  • Quali sono state le opportunità e gli svantaggi nel passare da figlia unica ad avere una sorellina?
  • Quali aspettative hanno i tuoi genitori su di te? Chi ne ha di più e come mai?
  • Che cosa si aspettano secondo te mamma e papà, che tu faccia rispetto a Chiara?
  • Chi in questi anni hai sentito più vicino a te tra la mamma e il papà e come mai?
  • Ti sei sentita più apprezzata per il doppio lavoro che fai o più rimproverata perché non sei regolare con gli studi? Da chi in particolare tra mamma e papà? Come mai?
  • I foruncoli ti mortificano perché ti senti brutta o ti tranquillizzano perché in questo modo tieni lontano i ragazzi?
  • Il tuo look da “monellaccio” è più per tenere lontano i maschi o per rivestire i panni del ragazzo che pensi i tuoi avrebbero desiderato. Chi in particolare dei due?
  • Chi hai paura di deludere di più tra mamma e papà e perché?
  • Quante Elisa ci sono dentro di te? Vanno d’accordo? Che cosa dice una e che cosa l’altra?
  • Quale Elisa è preoccupata se si laurea e perché?
  • Che cosa potrebbe aiutare quell’Elisa che vuole laurearsi a sentirsi meno in colpa?
  • Chi senti che tradiresti di più laureandoti, tra mamma, papà e Chiara e perché?
  • Come ti stai preparando per rimanere in casa anche dopo la laurea? Quali sono i vantaggi che hai intravisto?
  • Ti stai preparando a rimanere in casa più per i sensi di colpa che avresti se andassi via lasciando i tuoi genitori o per non far sentire a Chiara quella solitudine che hai sentito tu?
  • Da quanto pensi che i tuoi da soli non ce la faranno mai, specie ora che stanno invecchiando, con una figlia portatrice di handicap?
  • Sei più arrabbiata con la mamma che ha passato tanto del suo tempo fuori per il lavoro o con il papà che stava molto fuori a bere?
  • Quali sono i vantaggi goduti dai tuoi zii paterni, nello stare in casa? È a loro che ti stai ispirando?
  • Come passi le domeniche e i giorni di festa? Hai qualche hobby?
  • Cosa significa per te “festeggiare”. È stato possibile qualche volta festeggiare a casa tua?
  • I tuoi genitori uscivano o escono ora qualche volta da soli? Quando succedeva e quando succede ora, chi sta a casa con Chiara?
  • Con cosa pensi che i tuoi genitori abbiano compensato la propria tristezza? E tu, con cosa pensi di compensarla quando ti capita di essere triste? Ti capita spesso?
  • In questo momento desideri di più aiutare l’Elisa che vuole laurearsi o quella che vuole continuare il lavoro di sempre?

Considerazioni

Per Elisa il momento critico è l’avvicinarsi della laurea e quindi il pensiero per il futuro. L’evento è critico anche per i suoi genitori che non possono non sperare che questa figlia li aiuti nella gestione della sorella. Questi genitori sembrano non avere mai superato lo shock di avere una figlia portatrice di handicap, entrambi sono stati molto fuori casa: la madre soprattutto al lavoro e il padre al lavoro e al bar.
In casa, come ha avuto modo di raccontare Elisa, non si parlava mai di lei e dei suoi bisogni. Elisa racconta che i suoi la rimproverano costantemente perché non fa bene le cose, “quasi come se fossi io l’handicappata”.
Le chiedo se ha pensato perché. Risponde dopo un po’: “Se sono deficiente è più facile che rimango con loro, perché non me la so cavare fuori di casa”.
Dopo il colloquio di quasi un’ora, le chiedo se pensa le possa essere utile farsi aiutare. Elisa non esita e dice subito di sì, “ne avrebbero tanto bisogno anche i miei, ma temo mia madre: è troppo dura e ha sempre paura del giudizio della gente”.
D’accordo con Elisa, facciamo entrare la madre, con la quale ne parliamo. All’inizio Franca è diffidente, poi si scioglie in un pianto liberatorio. Teme che il marito (che da quando è in pensione sta fuori casa più di prima), non accetti una terapia che anche lei ora sente necessaria. Soprattutto teme il fatto che possa non collaborare: infatti, non si è mai potuto parlarne in casa di questa “disgrazia” . “Ogni volta che ho tentato di affrontare l’argomento, lui prendeva la porta e andava al bar per tornare a notte fonda, ubriaco”.

Conclusioni


Le famiglie che abbiamo in carico si aspettano da noi un aiuto, la comprensione delle difficoltà che ci portano, un ascolto attivo, ma soprattutto il sapere di potere contare sulla solidità del nostro ruolo.
È importante far percepire che ci siamo a 360 gradi, senza sottrarci alle responsabilità dell’ascolto. A volte è necessario andare oltre al sintomo (i foruncoli), per scoprire che esso rappresenta solo la punta di un iceberg e che la sofferenza viene da lontano, ha radici più antiche ma si accontenta di cure semplici.
A volte un unico colloquio non è sufficiente. Bisogna capire quando è il momento giusto per porre una domanda, capire se la persona che sta di fronte a noi è pronta a parlarne, se si fida, capire se noi medici in quel momento ce la sentiamo di affrontare quel colloquio con un giovane, con un genitore, con un nonno.
Non ci sono giorni tutti uguali. C’è un tempo per ogni cosa e ogni persona ha i suoi tempi, così come il medico ne ha uno. È l’incrocio del tempo di ciascun attore, il contesto, lo stato d’animo, il bisogno di essere contenuti, capiti, accolti che a volte rende possibile un colloquio con il medico in grado di dare inizio a un pensiero di cambiamento.


Note & approfondimenti

Quando parliamo di giovane, facciamo riferimento a una persona che non ha ancora completato il suo sviluppo, mentre per adulto si intende un individuo che ha già raggiunto questa meta. Se parliamo di giovane adulto, da un punto di vista individuale, possiamo collocare questa fase evolutiva nel passaggio tra l’essere giovane e il diventare adulto.
Tutti sappiamo come i giovani adulti di oggi rimangono in casa a lungo. La vita media negli ultimi decenni si è allungata, i giovani studiano di più e l’ingresso nel mondo del lavoro è posticipato. Da un certo punto di vista tutto questo rappresenta un vantaggio sia per la famiglia sia per il giovane, se però questo periodo non si allunga a dismisura. I genitori hanno più tempo da reinvestire nel loro rapporto di coppia, magari facendo delle cose insieme, mentre il giovane ha la possibilità di affrontare il mondo del lavoro con una preparazione più rigorosa.
Da ricercheno svolte nell’ambito delle dinamiche familiari, emerge come nell’adolescenza la conflittualità raggiunga i picchi massimi nei primi anni, disegnando una sorta di parabola, mentre scende progressivamente nel corso degli anni, quando genitori e giovani imparano ad accettarsi e ad apprezzarsi l’un l’altro in quanto “adulti”.

Passaggi della fase di svincolo


I passaggi della fase di svincolo sono:
  • separazione dai figli e/o formazione di nuovi legami di parentela;
  • rinegoziazione del rapporto di coppia dei genitori;
  • rapporto con i genitori anziani.
Il figlio giovane adulto è chiamato ad attuare la progressione verso il processo di separazione dalla famiglia d’origine e alla ricerca di una collocazione professionale e sociale. In parallelo, i genitori devono affrontare il compito di separarsi dai figli, accettandone l’autonomia, assumendo un ruolo meno gratificante, ma più adeguato al bisogno di indipendenza dei figli.

Staccarsi dai figli
Nella fase di lancio, si possono distinguere tre momenti:
1. quello preparatorio, che rappresenta il più lungo e articolato;
2. l’effettiva uscita dei figli, che rappresenta quello più drammatico;
3. la ristrutturazione del sistema familiare dopo l’uscita dei figli.
La patologia può risultare più seria quando interessa famiglie che non si troveranno mai ad affrontare la crisi della post-uscita, perché impediscono che l’uscita stessa avvenga e provochi il temuto cambiamento.
Un processo positivo viene favorito quando la separazione comporta anche uno sviluppo del legame, quando circolano idee che trasmettono la fiducia dei genitori (che il giovane possa crescere e rendersi autonomo), mentre la separazione viene inibita da quelle idee che trasmettono l’impressione che i genitori non nutrano tale fiducia nei figli.
I possibili atteggiamenti dei genitori di fronte all’uscita dei figli sono:
  • negazione: evitano di pensarci, oppure ne danno una versione “euforica” (finalmente potrò condurre una vita pienamente realizzata);
  • atteggiamento depresso (la vita senza il figlio sarà vuota e senza senso);
  • tristezza e timore per l’uscita del figlio, che pare essere l’atteggiamento più appropriato.

Le tappe dell’uscita di casa
La “prima uscita di casa” avviene al raggiungimento di un’autonomia effettiva del figlio sul piano professionale ed eventualmente anche affettivo.
La “seconda uscita di casa” avviene con il “superamento del confine gerarchico”, che significa riuscire a colmare la distanza generazionale verso i propri genitori e imparare a conoscere l’uomo e la donna che stanno dietro ai ruoli parentali.
Il perpetuare un tipo di rapporto genitoriale e filiale all’insegna della dipendenza può essere un modo per allontanare l’inevitabile e dolorosa realtà (il “presagio della morte fisica dei genitori”) e impedirsi con ciò di crescere e di instaurare relazioni autentiche.

Sintomi nella fase di svincolo

I sintomi che possiamo osservare nella fase di svincolo possono riguardare uno o ambedue i genitori e il figlio.
Il figlio può presentare un comportamento “eccentrico” o fallimentare, angoscia, depressione, turbe del sonno, manifestazioni psicosomatiche, ecc.
Uno o entrambi i genitori possono presentare depressione, insonnia, qualche volta allucinazioni e deliri, turbe legate alla sfera sessuale, manifestazioni psicosomatiche, facile irritabilità, angoscia e paura della solitudine e del vuoto determinato dall’uscita del figlio, possibili conflitti coniugali.
Se i figli percepiscono che i genitori possono farcela da soli e che hanno fiducia nelle loro capacità, riusciranno con maggiore facilità a portare a compimento il processo di separazione. Se invece i genitori manifestano comportamenti depressivi o mostrano sfiducia nelle capacità dei figli, costoro potranno trovare maggiori ostacoli nel processo di separazione. Dopo che i figli sono usciti di casa, il compito di sviluppo richiesto a entrambe le generazioni è la rinegoziazione del rapporto in base al comune status adulto. Suggestivamente vi sarà una dinamica di allontanamento/avvicinamento.
Comportamenti disinvolti di distacco dalla famiglia d’origine fanno pensare a un rapporto che oscilla tra bisogni di autonomia e di dipendenza, che momentaneamente si risolve a favore dell’autonomia, ma con una negazione proprio del bisogno di dipendenza.

La “sindrome da nido vuoto”
La “sindrome da nido vuoto” è la crisi che può colpire la coppia di mezza età nel momento effettivo dell’uscita dei figli.
Mentre “famiglia con figli in fase di lancio” sottolinea la “durata” di questa fase che si protrae abbastanza a lungo, soprattutto nelle famiglie con 2-3 figli, la fase del “nido vuoto” rappresenta solo l’esito del complesso processo di distacco che affonda le sue radici nella crisi adolescenziale dei figli. L’uscita di casa dei figli comporta anche una rinegoziazione del rapporto di coppia, in quanto si vengono a creare spazi vuoti e situazioni nuove. Per l’uomo vi è maggiore libertà da responsabilità finanziarie, per la donna maggiore libertà dagli impegni domestici. I problemi che nascono in questo periodo mettono in risalto il cammino compiuto o le difficoltà non risolte dalla coppia. L’assenza dei figli consente ai coniugi di intraprendere nuove attività, favorendo la comunicazione e la mutua comprensione nella coppia.

Il ruolo del medico di famiglia


È interessante osservare come in questa fase del ciclo vitale il medico di famiglia sia al centro della relazione. Egli ha la possibilità di avere in carico i genitori, i giovani che stanno per lasciare la famiglia per formarsene una propria o che stanno scegliendo una nuova dimensione di vita per proprio conto e a volte anche i nonni.
Può succedere che a parlare di qualche difficoltà sul tema dell’uscita di casa sia il giovane stesso, a volte sono i genitori a esserne preoccupati e a parlarne con il Mmg. A volte sono addirittura i nonni. Può anche succedere che a manifestare preoccupazione o ansia sia tutta la famiglia: in modo differente il racconto dell’uscita del giovane viene portato al medico magari come speranza di farcela se è il giovane a raccontare, come desiderio che ci ripensi se sono i genitori, come manifestazione di sofferenza per i genitori se sono i nonni a riportarlo al medico.
Sono vissuti diversi che il medico può trovarsi a raccogliere in un lasso di tempo anche breve. Il suo coinvolgimento avviene perché egli è un punto di riferimento, o perché qualcuno in casa “sta male”, o perché si vuole sondarne l’opinione o lo si vuole “triangolare”, o semplicemente perché, come accade per tutte le altre fasi del ciclo vitale, il medico di famiglia viene sentito come un giudice, un genitore, un arbitro, un fratello maggiore, un saggio, un esperto di relazione, un mediatore.