M.D. numero 17, 10 maggio 2006

Sanità
Invecchiamento e spesa sanitaria
di Giuseppe Belleri, Medico di medicina generale, Flero (BS)

Tra i fattori determinanti l’incremento della spesa sanitaria, l’aumento dell’età media e dell’aspettativa di vita hanno assunto un ruolo preponderante. Tuttavia alcuni economisti confutano la tesi di un’equazione tra invecchiamento della popolazione ed “esplosione” dei costi sanitari. Una visione questa ritenuta troppo deterministica secondo quanto evidenziato durante il seminario del Laboratorio di Economia ed Organizzazione Sanitaria dell’istituto di Economia dell’Università di Brescia in sinergia con la cattedra di Igiene della stessa Università


D
ol costante incremento della spesa sanitaria è comunemente imputato al concorso di quattro fattori determinanti:

  • il progresso scientifico e tecnologico con nuove tecniche diagnostico-terapeutiche a costi crescenti;
  • l’ampliamento della nozione di salute, con la conseguente dilatazione dei bisogni e delle richieste;
  • la particolare struttura dei costi di produzione nel settore sanitario, in cui prevale la componente legata ai servizi alla persona;
  • le dinamiche epidemiologiche (prevalenza delle malattie croniche su quelle acute) e demografiche delle società industriali avanzate (riduzione della natalità e proporzionale incremento dell’età media e dell’aspettativa di vita nella popolazione).

La risposta del sistema sanitario alla sfida inflattiva punta su una duplice strategia: il contenimento della spesa con taglio dei costi e migliore utilizzo delle risorse attraverso interventi che massimizzano l’appropriatezza organizzativa, clinica e temporale.

Le dimensioni del problema


Dal 2004 alla metà del secolo è previsto un aumento dell’80% della popolazione anziana. Entro il 2040 gli ultra sessantacinquenni passeranno dal 18% della popolazione ad oltre il 30% mentre gli ultraottantenni si incrementeranno dall’attuale 4% al 10%. L’invecchiamento della popolazione porta fatalmente a un aumento nella prevalenza delle malattie croniche e delle pluripatologie, che a loro volta inducono un incremento delle cure continuative.
Dal 1980 al 2002 in Europa la spesa sanitaria è passata mediamente dal 7% al 9% del PIL, mentre nel nostro Paese nel 2003 è arrivata a toccare l’8.4% del PIL, con una copertura del 75% circa da parte della spesa pubblica (6.3%).
Nonostante una certa disomogeneità nei paramentri di rilevazione, le cure continuative assorbono in media in Europa una percentuale del PIL che varia dallo 0.9 all’1.3%, con punte massime nella penisola scandinava (2.5%) e minime nel nostro Paese (0.6-0.8%). In Italia le cure continuative riguardano il settore dell’integrazione socio-sanitaria, le cui principali voci di spesa pubblica sono l’indennità di accompagnamento, l’ADI e l’ospedalizzazione domiciliare, la gestione delle residenze assistenziali e dei centri diurni, gli assegni per le cure domiciliare ai disabili e ai non autosufficienti. La componente privata invece è quasi completamente assorbita dalle spese per badanti.
Gli economisti sanitari calcolano che un possibile fondo per la gestione dei non autosufficienti dovrebbe assorbire, nei prossimi decenni, una percentuale pari al 1.2-1.4% del PIL al fine di assicurare una omogenea copertura dei Lea e dei Leas (livelli essenziali di assistenza sociale), rivolti in particolare agli ultrasessantenni.

Gli effetti dell’invecchiamento


Sul lungo periodo appare evidente che le cure continuative avranno un grande impatto sulla spesa sanitaria complessiva. Tuttavia non è possibile fare un’equazione tra invecchiamento della popolazione ed “esplosione” della spesa; molti economisti in passato hanno adottato questo modello previsionale di natura meccanica, che propone una sorta di determinismo demografico. Tale impostazione è stata confutata da altre ricerche econometriche e da alcuni riscontri empirici sull’evoluzione della spesa sul lungo periodo. Per almeno tre motivi: la crescita della spesa sanitaria è correlata più alla ricchezza complessiva del reddito nazionale che non all’invecchiamento della popolazione; le indagini sui consumi sanitari dimostrano che contano di più i costi relativi alla mortalità, vale a dire quelli collegati all’ultimo triennio di vita che si incrementano in particolare negli ultimi 12 mesi dell’esistenza. Il modello deterministico, non considerando i costi relativi alle cure erogate nell’ultimo anno di vita, è inadeguato per eccesso; non è affatto detto che la vecchiaia sia sinonimo di non autosufficienza, grazie alla maggiore disponibilità di tecniche diagnostiche e soprattutto chirurgiche (protesi d’anca, ecc.).
Gli economisti parlano, a questo proposito, di compressione della disabilità, fenomeno in base al quale posponendo l’età di insorgenza della disabilità in misura maggiore dell’aumento della speranza di vita, il carico complessivo di disabilità tende a diminuire, tanto da attenuare l’impatto della transizione demografica sulla spesa socio-sanitaria.
I modelli revisionali che valutano l’influenza dell’invecchiamento, quindi, devono tenere in debito conto tutti i fattori determinanti, senza sopravvalutare meccanicamente l’aumento della speranza di vita.