M.D. numero 18, 17 maggio 2006

Counselling
Mortalità negli anziani dopo la malattia del coniuge
di Ivano Cazziolato, Medico di medicina generale, psicoterapeuta, Marcon (VE), Dipartimento di Neuroscienze AIMEF

All’interno di una coppia di coniugi anziani l’ospedalizzazione, la malattia o l’exitus di uno dei due partner sono associati a un incremento del rischio di morte per il coniuge superstite. Quanto è osservato quotidianamente dai Mmg è stato dimostrato anche da un importante studio pubblicato recentemente sul New England Journal of Medicine

Il caso
Virginia, 74 anni, cinque figli, tutti sposati e “sistemati” e tanti nipoti. Una casa grande, un giardino trascurato, ma dove tra i fili d’erba ribelli fanno capolino giacinti e qui e là colonie di narcisi. All’interno le mura domestiche sono graffiate e colorate da chissà quale generazione di bambini.
La leggerezza di un ordinato disordine sembra essere stato il segreto della conduzione familiare di Virginia, rimasta vedova a 40 anni - il marito è deceduto per incidente stradale - con tanti figli da crescere. Si tratta di una donna abituata alle decisioni, a dettare le regole, a imporsi soprattutto con i figli con incisività e talvolta, come qualcuno di loro adesso ricorda, ai limiti dell’autoritarietà. Una certa indipendenza economica precedente e l’accesso, dopo qualche anno dalla morte del marito, all’indennizzo assicurativo, permisero a Virginia di occuparsi dei figli, scegliendo per sé un lavoro part-time.
Dopo il matrimonio dell’ultima figlia lei trascorre lunghi anni occupandosi del giardino più che della grande casa, continuando il suo lavoro.
Alle soglie dei 60 anni va in pensione, ma poco prima, durante il matrimonio di una nipote, conosce un uomo separato. Lo frequenta, s’innamora, lo porta a casa sua, in quella grande casa. I figli protestano: a loro quest’uomo non piace molto. Virginia amerà quest’uomo senza riserve, condividendo difficoltà e sofferenze. Egli, in effetti, porta con sé i litigi anche violenti con l’ex moglie e con i tre figli maschi. Una sera due di loro si presenteranno a casa di Virginia, chiedendole di fare uscire il proprio padre con l’intenzione di picchiarlo. Virginia non lo permette e con i figli del suo compagno tratta lei, difendendolo come difende un figlio suo. Per il suo compagno s’impegnerà in lunghe e faticose battaglie legali, anche con l’ex moglie di lui.
Nel dicembre di due anni fa il compagno di Virginia si ammala di cancro del colon e dopo due soli mesi muore. Virginia ne rimane profondamente turbata. Per anni ha lottato contro tutto e contro tutti per fare accettare il suo compagno, ai suoi figli prima di tutto, senza riuscirci, anche se il rispetto e l’autorevolezza con loro non sono mai venuti meno, e poi le tante e innumerevoli battaglie sempre a fianco di questo lui, come una tigre.
La tigre ferita dopo sei mesi dalla morte del suo uomo si ammala di cancro gastrico che procede speditamente. Le metastasi proliferano come i narcisi del suo giardino, solo che sono più devastanti.
La tigre è ferita ma non abbattuta. Lotta ancora. È arrabbiatissima e quando ne parlo con lei emerge livore, ma anche amarezza per una vita spesa in battaglia. È in ogni caso fiera per avere vissuto a modo suo; non ha sentito vincoli, vergogne o timori, contro i pregiudizi e le chiacchiere di paese, si è impegnata in prima persona nelle battaglie in cui ha creduto, essendo a volte scomoda, a volte antipatica, a volte inopportuna, ma sempre terribilmente vera.
“Ecco ora mi sono sfogata”, mi dice dopo avere impiegato dieci minuti per venirmi ad aprire la porta, “perché fiato non ce n’è più e il citofono in una casa così grande non era certo stato previsto vicino al letto”.
La troverà il figlio una domenica mattina, persa tra i cuscini del suo letto con un volto disteso, dopo avere riposto finalmente le armi.

La letteratura


Questa breve storia prende spunto da un recente articolo apparso sul New England Journal of Medicine (2006; 354: 719-30) che ha studiato 518.240 coppie di età superiore ai 65 anni dal 1° gennaio 1993 al 1° gennaio 2002. L’età media delle persone inserite nello studio era di 75.4 anni per gli uomini e 72.9 anni per le donne.
Nell’arco della durata dello studio, 383.480 uomini (74%) e 347.269 donne (67%) furono ospedalizzate almeno una volta. Durante questo periodo, 252.557 maschi (49%) e 156.004 femmine (30%) morirono. In 95.330 coppie (18%) morirono sia il marito sia la moglie.
Lo studio riporta alcune tabelle che danno informazioni sulla mortalità di uno dei due coniugi entro un anno dall’ospedalizzazione dell’altro.
Per esempio, il 6.4% di maschi morì entro un anno dopo l’ospedalizzazione del coniuge per cancro del colon, il 6.9% entro un anno dall’ospedalizzazione del coniuge per stroke, il 7.5% per malattie psichiatriche, l’8.6% per demenza.
Nelle donne entro un anno dall’ospedalizzazione del partner morì il 3% per cancro al colon, il 3.7% per stroke, il 5.7% per malattie psichiatriche, il 5% per demenza. Da questo studio si evidenzia che in percentuale i maschi deceduti entro un anno dall’ospedalizzazione della moglie saranno il 5.6% mentre le femmine decedute entro un anno dall’ospedalizzazione del marito saranno il 2.6%.

Osservazioni


Questo studio conferma che l’ospedalizzazione di un coniuge nella popolazione anziana è associata a incremento del rischio di morte per il coniuge superstite. Ci sono indagini che dimostrano quanto la perdita della salute in un coniuge si leghi a una diminuzione della salute anche nel partner. Gli autori hanno arruolato un ampio campione di coppie, osservandole per un lungo periodo di tempo. Si tratta di dati importanti che rilevano ciò che il medico di famiglia nella sua contenuta casistica osserva costantemente.
Quando una coppia di persone anziane vive da sola, i due si sostengono, si supportano, si aiutano, si capiscono, si contengono. Finché entrambi i coniugi sono viventi, allo stare male dell’uno può intervenire l’altro, se ne ha la forza.
Per molteplici motivazioni i figli non sempre supportano i genitori che invecchiano. Vi sono aspetti legati all’idea di famiglia che non è più inserita nell’ambiente allargato e patriarcale di un tempo, dove la malattia era presa in carico e l’accudimento era un compito soprattutto delle donne. I figli escono tardi dalle famiglie, i bambini nascono più tardi di quando nascevano trent’anni fa e i nonni diventano tali in un’età in cui c’è un inevitabile appannamento delle forze fisiche.
Un figlio adulto può trovarsi contemporaneamente nella spiacevole situazione di lavorare, seguire i figli ancora piccoli e pensare a come accudire i propri genitori anziani e malati. Ci sono poi aspetti legati alla lealtà emotiva di un figlio che in parte restituisce l’affetto e la cura di cui all’origine della vita aveva goduto, oltre alla questione legata alle attese reciproche tra figli e genitori anziani: se troppo alte si creerà un conflitto generazionale, se non saranno esagerate si potrà sviluppare nei figli una “responsabilità figliale”. Questi sono solo alcuni temi, anche se so di tralasciarne molti altri.

Rete del sociale


Per le persone anziane che hanno perduto il proprio partner, per quanto importante possa essere il ruolo svolto dal medico di famiglia, dai vicini di casa, dai servizi sociali, dal volontariato, non sempre è sufficiente a riempire il tanto vuoto percepito. Il pensiero a quando le forze lo abbandoneranno possono contribuire ad acuire la tristezza e spesso lo spettro di una casa di riposo può rappresentare un passaggio difficile da superare.
L’anziano non può non riflettere su alcune questioni, come per esempio che da quella casa di riposo ne uscirà solo da morto, che un ricovero in una struttura protetta da un lato garantisce l’assistenza, dall’altro però fa perdere i legami: quelli con il macellaio, con il droghiere, col vicino di casa, con il postino. Lasciare la propria abitazione e quelle mura che testimoniano gioie, dolori, risate, pianti, le suppellettili, i quadri, i mobili, le lampade, la cucina, i silenzi, le grida dei bambini del giardino accanto, scatenano un’infinità d’emozioni. È in quel momento che il coniuge superstite legge dentro di sé per trovare motivazioni a vivere.
Ci sono casi in cui nei primi anni di ricovero in casa di riposo, l’anziano è silenzioso, assente, chiuso in un suo mondo di ricordi e di tristezze, poi basta un nulla magari per scuoterlo e ridargli la voglia di vivere.
Ce ne sono molti altri, però, che quelle motivazioni dentro il proprio mondo interno non le trovano e decidono di lasciarsi andare.
C’è anche chi continua a vivere nella propria abitazione nonostante tutto e tutti.

Rapporto con il medico di famiglia


Il medico di famiglia entra anche in queste case. Ne ricordo una in particolare: è rimasta incredibilmente ferma a quando ero bambino. Lì dentro ci vive una donna sola. Il marito è morto ormai da anni. La casa è rimasta com’era trenta anni fa. Quando le malattie e l’età avanzano, c’è un progressivo ritiro dalla vita attiva e un rifugio dentro i meandri della solitudine.
Di anziani soli e malati ne abbiamo in carico più di uno, tutti noi. Molti di loro non vogliono badanti o altro tipo d’assistenza. Ciò che vorrebbero è riempire il vuoto di giornate lunghe, noiose e tutte uguali, con la compagnia di qualcuno. Sono pochissimi i volontari che si recano a domicilio degli anziani. Durante l’estate, i Vigili del Fuoco mettono a disposizione le proprie caserme per dare un po’ di refrigerio alle persone sole ed è una bellissima iniziativa.
Tutto però o quasi è pensato a favore di persone che godono ancora di una certa autonomia, e quelle che per impedimento fisico non riescono a muoversi da casa? Ce ne sono tante e sempre di più.
La sola visita programmata del medico di famiglia, spesso frettolosa per i numerosi impegni, rappresenta per queste persone un’importante attesa: parlando della loro salute si parla di loro e in quel momento si riesce a farli sentire, anche brevemente, al centro della relazione.