M.D. numero 18, 17 maggio 2006

Note stonate
La cultura del sospetto aleggia sull’atto medico
di Carlo Iannotti, Medico di medicina generale, Benevento

C'è un fenomeno messo all’indice come causa di tutti i mali della sanità: l’iperprescrizione di farmaci. Se iper-prescrivere significa letteralmente prescrivere “di più” dobbiamo allora intederci sul quel “più”. Al momento i significati a cui le Asl si rifanno sono essenzialmente due: il medico prescrive più farmaci di quanto necessario a curare una data malattia; oppure prescrive farmaci più costosi di quanto necessiti la cura di una data patologia.
Si tratta di due significati che portano al medesimo risultato: i medici sprecano risorse. Perché accade ciò? Perché sono ignoranti o perché sono corrotti. Così i politici con fendente arguzia accusano i medici, in particolare i medici di famiglia, di sperperi, omettendo chiaramente di quantificare quanto pesino sul bilancio della sanità gli sprechi relativi a una dissennata gestione del Ssn

Qual è alla fine il nocciolo dell’accusa che oramai pende come una spada di Damocle sulla testa dei medici di medicina generale? È che essi prescrivono troppi farmaci e per di più ingiustificatamente quelli più costosi. Questo è il parere degli amministratori della sanità a cui i mass media, attraverso giornalisti e opinion maker, fanno da cassa di risonanza.
La variabilità prescrittiva, che è indice della complessità della gestione clinica di un paziente, non si sa perché suggerisca immediatamente ai nostri amministratori il sospetto che il presupposto alla base di tale varietà sia poco trasparente. Malgrado i medici di famiglia abbiano sprecato fiumi di parole su tale argomento, sottolineando che scelte diverse sono da imputare all’intervento di una serie di variabili legate alla diversità del paziente, alla diversità del medico e alla diversità del contesto, sembra proprio che nessuno voglia sentire e intanto la cultura del sospetto fa da padrona.
Mi spiace infrangere i sogni dei nostri amministratori che pretenderebbero di costringere i Mmg a prescrivere tutti il farmaco meno costoso, secondo un dirigismo statale di stampo bulgaro, ma mi pare lapalissiano che se gli esperti del ministero della Salute hanno ritenuto di dovere inserire nel Prontuario farmaci che pur appartenendo alla stessa categoria sono così diversi per costo si siano basati su un valido motivo scientifico.
Se per esempio si potessero risolvere tutte le infezioni con un antibiotico da 6 euro si potrebbero depennare dal Prontuario tutti gli altri, ottenendone un gran risparmio. Se questo non avviene allora ci sarà pure un perché, a meno di non volere traslare la cultura del sospetto su chi redige tale Prontuario e sullo spirito che anima l’attività di ricerca della farmacologia mondiale. Quindi, se per una stessa diagnosi il medico ha la possibilità di scegliere tra più farmaci, questa discrezionalità giustificata a livello scientifico è anche legittimata dal Prontuario nazionale del servizio sanitario. A meno che, vista la situazione delle casse regionali, non si voglia dare origine a un Prontuario devoluto, direttamente proporzionale alle possibilità finanziarie delle Regioni italiane.
Detto ciò, vorrei ricordare che i medici di medicina generale esercitano la loro professione sul territorio e non in un ambiente protetto come quello dell’ospedale. In altri termini ciò sta a significare che essi devono agire in base a una presunzione diagnostica non avendo a disposizione i mezzi e il tempo per una diagnosi di certezza. Può quindi accadere, per esempio, che un medico più “coscienzioso” possa sovradimensionare il proprio approccio terapeutico; uno più timoroso potrebbe invece mettere in pratica un atteggiamento opposto e scegliere il ricovero in situazioni diagnostiche difficili.

Se l’errore diventa reato


Ogni medico ha ben coscienza di come sia problematico ipotizzare il medesimo approccio terapeutico da parte di diversi colleghi in circostanze analoghe. Ed è proprio in questa variabilità di approccio che può far capolino l’inappropriatezza prescrittiva o l’errore terapeutico. Ma la logica del sospetto, che oggi aleggia sull’atto medico, fa sì che tale rischio nel momento in cui diventa realtà sia matematicamente additato come possibile reato.
La medicina non è una scienza esatta e infatti non è un caso se si parla ancora di “arte medica”. L’atto medico per definirsi tale non può non contemplare una serie di variabili e dare vita a valutazioni correlate alle condizioni del singolo paziente. “Esiste il malato non la malattia”, una massima che è parte integrante dell’insegnamento della Medicina e che i docenti raccomandano ai discenti di rammentare sempre nella loro futura attività professionale.