M.D. numero 20, 31 maggio 2006

Appunti
Artefici di salute, altro che induttori di spesa sanitaria

V
orrei esprimere la mia opinione su un tema di grande attualità: le iperprescrizioni effettuate dai medici di famiglia, definiti eufemisticamente “induttori di spesa” e non più appropriatamente “produttori di salute e quindi di longevità”. Mi chiedo, ma siamo proprio sicuri che le nostre prescrizioni di farmaci e indagini diagnostiche siano le principali fonti di spesa nel bilancio della sanità? A me non risulta, anzi.
La realtà, che i Mmg conoscono bene, è molto più complessa. La popolazione degli anziani - da sempre i maggiori consumatori di farmaci, sia bene inteso loro malgrado - sta sempre più crescendo; farmaci nuovi sempre più costosi e non sempre così innovativi sono inseriti nel Prontuario; nel bilancio della sanità una cospicua voce di spesa è da ascrivere agli stipendi di dirigenti a nomina politica e amministrativi, di cui da più parti si sbandiera l’eccedenza rispetto alle effettive necessità; un ingente impiego di risorse economiche è stato delapidato in costruzioni pluridecennali di nuovi ospedali, sedi amministrative e ristrutturazioni varie, quasi mai completati e non sempre utilizzati; costosissime apparecchiature diagnostiche sono state acquistate da aziende sanitarie e giacciono impolverate e mai utilizzate. Premesso tutto ciò, ve lo immaginate in questa realtà, con cui quotidianamente facciamo i conti, il medico di medicina generale che si reca personalmente al domicilio o che telefona al proprio assistito invitandolo a recarsi in ambulatorio, professando piena disponibilità ad accontentarlo in tutto e per tutto, prescrivendogli mari, monti e cataste di medicinali?
Un simile scenario, più volte palesato, poteva venire in mente solo a dei burocrati che, lontani anni luce dal senso dell’essere medici, sanno solo infelicitare ogni giorno la vita professionale dei Mmg con le farraginosità burocratiche, gratificanti per loro, ma non per la forma mentis e per l’operatività dei medici.
è forse giunto il momento per i medici di famiglia di dichiarare a voce alta e senza mezzi termini che oltre la metà dei farmaci e delle indagini strumentali ed ematochimiche che prescriviamo sono indotte da nostri colleghi specialisti convenzionati.
Non dimenticando di sottolineare che i medici di medicina generale spesso devono essere più che attenti. Solo noi che conosciamo nella sua unicità la storia clinica dei nostri assistiti, ci rendiamo spesso conto di non potere prescrivere alcuni farmaci suggeriti dai colleghi specialisti perché incompatibili o con altre patologie che affligono i nostri pazienti o con le terapie in atto.
I medici di famiglia continuano inoltre a chiedersi perché i colleghi specialisti non debbano ottemperare all’obbligo, disatteso dai più, di prescrivere su ricettario del Ssn, laddove lo ritenga necessario un supplemento di indagini per il nostro assistito giunto alla sua osservazione.
Nella Regione Puglia, dove esercito, l’assessorato alla Sanità ha già stabilito questa obbligatorietà, ma per molti è lettera morta.
Tra l’altro tale obbligo non andrebbe disatteso non solo come atto di adesione alle regole, ma anche per un duplice motivo di “correttezza”. Il primo nei confronti dell’assistito, costretto a sobbaccarsi un’altra fila negli studi dei propri medici di fiducia per potere ottenere la sospirata prescrizione sulla stessa identica modulistica che è in dotazione dello specialista convenzionato da cui si è recato in precedenza. Il secondo nei nostri confronti, medici, quindi, colleghi e non “segretari subalterni”, costretti a riportare la sua proposta sull’apposito ricettario.
A conti fatti, credo si possa affermare che la “diga”, costituita dalla medicina di famiglia, prescriva solo e sempre il necessario, contribuendo, negli ultimi 50 anni, a raddoppiare la media di sopravvivenza della popolazione italiana e a garantire la sopravvivenza di un servizio sanitario nazionale.

Luciano Curatoli

Medico di medicina generale
Giovinazzo (BA)



Iperprescrizioni e il coraggio delle scelte

La recente vicenda che ha coinvolto diverse centinaia di colleghi Mmg milanesi accusati di aver prescritto più farmaci del previsto ha avuto, come di consueto, un enorme risalto in televisione e sulle testate giornalistiche, che non perdono occasione di confrontarsi con lo spinoso problema della spesa sanitaria incontrollabile, alla ricerca continua di un capro espiatorio.
Il medico di famiglia, d’altronde, ben conosce tale problematica (che periodicamente affiora) perché rappresenta l’ultimo anello della catena di un processo che partendo dagli organi che legiferano arriva via via fino al cittadino utente.
Costantemente il Mmg è additato come induttore di spesa da parte di personaggi che, in un’ottica sicuramente denigratoria e distruttiva, ingigantiscono i problemi legati alla spesa farmaceutica, dimenticando che questa, malgrado il suo peso sulla spesa sanitaria, ne rappresenta una piccola percentuale.
Ma d’altronde la strana politica di regolamentazione e di programmazione a cui siamo abituati in sanità prevede interventi periodici e discutibili non sistematici del problema senza incidere a monte sulle cause.
Tale politica è simile a quella che, a livello universitario, abbiamo vissuto sulla nostra pelle.
Negli ultimi decenni infatti si è consentito l’accesso indiscriminato alla facoltà di Medicina a tutti i diplomati per poi porre uno sbarramento invalicabile con il numero chiuso per le scuole di specializzazione e la pratica impossibilità per molti laureati di trovare una sistemazione stabile. Gli interventi correttivi sulla spesa sanitaria proposti negli anni hanno avuto come costante la posizione repressiva e sanzionatoria verso il Mmg nel caso di non osservanza delle norme.
Si è determinato un’incredibile aumento della conflittualità tra Mmg e assistito, sempre più esigente. Si pretende che sia il Mmg a porre uno sbarramento, rifiutando le prescrizioni immotivate, dimenticando sia che i procedimenti civili e penali nei confronti dei medici di famiglia sono in crescita e vertono quasi sempre sul mancato accoglimento delle richieste dell’assistito denunciante, sia che il Mmg è sottoposto al ricatto della revoca da parte dell’assistito. Ciò crea un perverso meccanismo per il quale a pagare è solo il medico di famiglia, che in tal caso ne riceve un diretto danno professionale ed economico. Il paradosso è che viene penalizzato proprio quel medico che volesse applicare alla lettera tutte le normative in vigore.
Come spesso accade, però, il problema potrebbe trovare la sua naturale soluzione analizzandone le cause e scoprendo che queste sono di una semplicità disarmante, come il fatto che il primum movens della spesa sanitaria incontrollabile non può che essere la mancanza di adeguata partecipazione dell’utente alla spesa stessa con conseguente responsabilizzazione e motivazione.
Ne sono testimonianza da un lato il notevole incremento della spesa farmaceutica conseguente al discutibile provvedimento di abolizione dei ticket sui farmaci e dall’altro l’enorme mole di esami strumentali eseguiti in ambito intra o extraospedaliero su pazienti esenti per età o per reddito o per patologie.
Noi stessi medici di famiglia viviamo giornalmente il problema con l’inarrestabile crescita del numero di visite ambulatoriali e domiciliari richieste anche per futili motivi, “tanto è tutto gratis”.
E poiché molto spesso, inevitabilmente, ogni visita ambulatoriale o domiciliare si conclude con una prescrizione di farmaci o di accertamenti diagnostici, è facile tirare le somme: consentire l’accesso indiscriminato e gratuito all’opera professionale del Mmg in ambulatorio e a domicilio determina inevitabilmente l’aumento della spesa sanitaria. Basterebbe l’introduzione di un ticket di pochi euro su ogni visita effettuata dai medici di famiglia per potere abbattere il carico lavorativo di questi professionisti, con benefici effetti sulla qualità delle prestazioni e ovviamente anche sul numero delle prescrizioni effettuate, con conseguente contenimento della spesa sanitaria. Lo stesso ragionamento, inoltre, calza alla perfezione in tutti quei casi in cui il cittadino-utente accede alle prestazioni gratuite dei Pronto soccorso. Urgono pertanto incisive e radicali manovre correttive che prevedano la partecipazione di ognuno alla spesa sanitaria ogniqualvolta si richieda una prestazione al Servizio sanitario nazionale.
Una partecipazione chiaramente equiparata alle condizioni economiche, partendo da un minimo impegno, ma che dovrà essere indistintamente di tutti, anche per evitare le furbizie di chi attualmente autocertifica uno stato di disoccupazione o un reddito inesistente sicuro dell’impunità, vista la scarsità dei controlli. Troppo spesso si verificano situazioni paradossali come per esempio quella di un pensionato al minimo che, proprietario dell’abitazione, si vede discriminato nei confronti di un altro pensionato che, magari con più beni in proprietà, ottenuta la famigerata “R” sulla ricetta in virtù di invalidità civile, gode dell’esenzione totale sulla diagnostica.
Il mio timore, quasi una certezza, è che queste misure non siano messe in atto perché giudicate politicamente impopolari. Se questa è la prospettiva più probabile allora prepariamoci a dovere affrontare una nuova valanga di note, di registri USL, di linee-guida, di sanzioni e vessazioni per chi dovesse superare limiti di spesa prefissati, ma anche l’introduzione di premi per chi dovesse rispettare tali limiti qualora venissero approvati complicati piani di “comparaggio”, pardon, di budget, tra medico e azienda sanitaria e di controllo di gestione atti a premiare i medici di famiglia capaci di realizzare il risparmio più consistente a favore della Asl.

Marcello Pugliese

Medico di medicina generale
Donnici Inferiore (CS)