M.D. numero 20, 31 maggio 2006

Rassegna
Emicrania: l’epidemia dimenticata
di Vincenzo Guidetti, Dipartimento Scienze Neurologiche e Psichiatriche dell’Età Evolutiva, Università “La Sapienza”, Roma

Gli attacchi emicranici compromettono in modo significativo la qualità della vita del paziente e hanno ripercussioni rilevanti anche sulla famiglia e sul lavoro. Il Mmg può svolgere un ruolo importante nella formulazione di una diagnosi accurata e nell’utilizzo appropriato dei farmaci a disposizione

Da uno studio osservazionale multicentrico condotto in Italia alcuni anni fa, effettuato in collaborazione con 902 medici di medicina generale su oltre 71mila pazienti, emergono dati di prevalenza dell’emicrania sovrapponibili a quelli degli altri paesi occidentali, con una prevalenza nel sesso femminile di circa tre volte maggiore rispetto al sesso maschile: è risultato emicranico l’11.6% dei pazienti, con una percentuale del 15.8% nelle donne e del 5% negli uomini (European Neurology 2000; 43: 102-106).
L’emicrania può essere considerata una patologia cronica caratterizzata da episodiche esacerbazioni, associate a un grado variabile di disabilità e di compromissione dello stato di benessere, della vitalità e della qualità del sonno, talvolta estese anche all’intervallo tra un attacco e l’altro (Cephalalgia 1995; 15: 31-6).
Uno studio multicentrico osservazionale condotto in 8 paesi europei (inclusa l’Italia) e in Israele, su 1810 pazienti emicraniche, di età compresa tra 18 e 53 anni, sottoposte ad intervista telefonica, ha valutato l’impatto dell’emicrania sulla qualità di vita esplorando le attività lavorative, socio-ricreative, i rapporti familiari, l’attività sessuale (Curr Med Res Opin 2004; 10: 1595-1604).
Tutti questi aspetti risultano essere in vario modo compromessi nelle giovani donne emicraniche, anche se l’influenza negativa esercitata sulle attività socio-ricreative e sul lavoro risulta avere il peso maggiore (figura 1).

Problemi diagnostici


Che l’emicrania sia largamente sottostimata lo si può dedurre dalla bassa prevalenza delle diagnosi nelle cartelle cliniche dei medici. Questo fenomeno, almeno in parte, è dovuto alla tendenza dei pazienti emicranici a curarsi assumendo farmaci di vario tipo, senza ricorrere al consiglio del medico. La probabilità di consultare un medico per cefalea è più elevata nel sesso femminile, aumenta con l’età e dipende anche dalle caratteristiche della cefalea: è più alta tra coloro che hanno attacchi forti, frequenti e disabilitanti. Non tutti i pazienti che sperimentano crisi severe, tuttavia, consultano un medico: il 60% delle donne emicraniche che non aveva mai effettuato una visita per cefalea riferiva attacchi forti o molto forti e il 68% crisi disabilitanti con necessità di riposo a letto (Headache 1998; 38: 87-96).
La cefalea potrebbe essere il sintomo di più profonde difficoltà, un modo per comunicare un disagio, che necessita di un immediato riconoscimento e trattamento. Ciò significa non solo l’esclusione di una causa secondaria del disturbo o la semplice prescrizione di farmaci, ma anche e soprattutto la comprensione dei fattori scatenanti e cosa “significhi cefalea” nella vita del paziente e della sua famiglia. Oltre al mancato riconoscimento vi sono altri due importanti aspetti del problema, uno che coinvolge i pazienti che pur chiedendo una consultazione al medico non ricevono una diagnosi corretta e l’altro invece relativo alla mancanza di un trattamento efficace nonostante la patologia sia stata correttamente identificata (figura 2).
Spesso la diagnosi clinica si basa su un singolo incontro con il paziente, ma un’unica visita potrebbe essere inadeguata (l’uso di un diario clinico potrebbe contribuire considerevolmente a una diagnosi accurata) e inoltre il paziente potrebbe, descrivendo il proprio disturbo, non menzionare alcune caratteristiche salienti della patologia inducendo il medico a una diagnosi errata. Infine è importante avere un quadro completo dei tipi di cefalea di cui il paziente soffre, definire la severità e l’impatto di ciascun tipo di cefalea.
La disponibilità di alcuni strumenti pratici è sicuramente di aiuto al medico. Uno di questi, l’Headache Impact Test (HIT-6) è uno strumento sviluppato da un gruppo di esperti per misurare l’impatto della cefalea su diversi ambiti – lavorativo, scolastico, familiare e sociale – composto da 6 domande: la somma dei punteggi assegnati alle risposte fornisce una misura di quanto la patologia influenza negativamente la vita del paziente e aiuta il medico a formulare un valido programma di cure.

Migliorare l’approccio


Il tema del trattamento ottimale dell’emicrania è stato affrontato e discusso nel giugno 2005 da un MetaForum cui hanno partecipato specialisti della cefalea, medici di medicina generale e rappresentanti delle associazioni di pazienti, sotto il patrocinio dell’European Headache Federation (EHF), della World Headache Alliance (WHA), e dell’University of Duisburg-Essen. Dall’incontro è scaturita la Dichiarazione di Roma dell’EHF/WHA sull’Emicrania che, nei prossimi anni, si auspica di raggiunge importanti traguardi: l’aumento della percentuale di pazienti emicranici in trattamento dal livello attuale del 30% al 50%, l’incremento della percentuale di pazienti che riceve una terapia efficace per gli attacchi acuti di emicrania dal livello attuale del 40% al 70% e infine che venga fornita una terapia profilattica ad almeno il 50% dei pazienti che la richiede.
Nell’individuare la giusta terapia di attacco e, quando opportuno, quella profilattica, la scelta dovrebbe essere guidata non solo dalla diagnosi, ma anche da un quadro generale degli attacchi emicranici, con attenzione all’impatto sulle attività quotidiane del paziente. È importante identificare i pazienti emicranici che non sono soddisfatti del loro trattamento: uno studio spagnolo ha rivelato che gli analgesici, i farmaci usati dalla maggioranza dei pazienti (81%) e con la maggiore durata di utilizzo (8.8 anni), sono associati a un basso livello di soddisfazione (solo il 10% si è dichiarato soddisfatto/abbastanza soddisfatto). I triptani, invece, usati dalla più bassa percentuale di pazienti e con la minore durata di utilizzo, sono invece associati al più alto livello di soddisfazione (66%) rispetto ai Fans (27%) e ai derivati dell’ergot (31%) (Clin Ther 2003; 25: 2053-69) (tabella 1).
Il trattamento farmacologico deve essere congiunto a osservazioni psicologiche/comportamentali al fine di prevenire una cronicizzazione del disturbo e assicurare una migliore qualità di vita al paziente.
Il miglioramento della gestione del paziente emicranico dovrebbe comprendere: 1) l’avvio di programmi di screening nella popolazione generale e in particolare sui luoghi di lavoro dato che l’emicrania raggiunge la massima prevalenza dai 20 ai 45 anni, quindi in età lavorativa, per rendere gli emicranici consapevoli del loro disturbo ed indurli a consultare un medico; 2) maggiore aggiornamento dei medici di famiglia nei confronti dell’emicrania per migliorarne le capacità diagnostiche: date le proporzioni epidemiologiche del disturbo devono essere loro a farsi carico della maggioranza dei pazienti; 3) migliorare l’approccio terapeutico quantificando il carico di disabilità determinato dall’emicrania sul singolo individuo e stabilendo terapie mirate “ad personam”.