M.D. numero 21, 7 giugno 2006

Note stonate
Che lucida follia fare il medico di famiglia

S
fogliando le riviste mediche che puntualmente ricevo al mio domicilio mi sembra di leggere un bollettino di guerra. Basta soffermarsi sui titoli degli articoli, ecco alcuni esempi: “Sì ai convegni per l’ECM, ma controllati”; “In aumento esponenziale le denunce ai medici”; “Le nuove regole per la privacy”; “La Cassazione inasprisce le pene per i medici”; “Neurologo condannato perché non ha visitato il paziente con un mal di testa” e via discorrendo. Leggo e sono assalito dallo sconforto. Mi capita così di andare con la mente indietro nel tempo, al sereno periodo universitario, ricco di mille speranze, mille ambizioni e mi rivedo fiducioso, attraverso il conseguimento della tanto anelata laurea, di abbracciare una professione secolare e prestigiosa. Ritorno alla realtà e mi pervade un profondo senso d’angoscia quando cerco di tirare le somme degli articoli che ho letto.
Se ho capito bene, per non essere denunciato (per mille motivi) dovrei sempre elargire grandi sorrisi indiscriminatamente a tutti i miei assistiti, anche a personaggi noiosi, petulanti, ipocondriaci, prescrivendo rigorosamente esami inutili. Dovrei quindi applicare la famigerata medicina difensiva: svariati esami, per esempio per un dolore toracico perché se il paziente dovesse subire un infarto, in caso di contenzioso, al giudice potrei sempre sottoporre la cartella clinica del paziente con la carrellata di esami e così potrei sperare in una riduzione della pena di qualche anno. Dovrei sempre somministrare farmaci non dimenticando le ricadute economiche e politiche di tale prescrizione, alla faccia della scienza, coscienza e creatività medica. Inoltre non devo tralasciare di fargli firmare il consenso informato, un atto che certifica che non sto attentando alla sua vita (tanto i medici prescrivono generalmente per il male del paziente e vogliono sempre e comunque il peggio per gli assistiti). E dulcis in fundo dovrei utilizzare i miei inutili fine settimana per allegri corsi di Educazione Medica Continua rigorosamente controllati dall’alto. Ho l’impressione di aver letto non degli articoli professionali, ma “1984” di Orwell con una spruzzatina di regime totalitario e di Kafka. Mi chiedo cos’è diventato il medico di famiglia? Un lacché un po’ marionetta che non deve avere personalità, senza creatività, obbediente e sempre ligio al dovere, atto a recepire lo stipendio (che assume sempre più i connotati di una tangente) oramai quasi ultima motivazione per fare questo singolare mestiere?
Mi sa che le parole e le esternazioni indignate non bastino proprio più, ci vorrebbe ben altro.

Vittorio Principe
Medico di medicina generale,
Bolzano



Chi non vuole impegnarsi nel “saper fare”?


Vorrei partire da un’esperienza personale e un po’ provocatoriamente, desidererei mettere in risalto le preferenze di partecipazione ai corsi ECM da parte del medico di medicina generale in merito ai contenuti che si sono palesate ai miei occhi.
Circa un mese fa ho partecipato, in qualità di docente e formatore, a un corso ECM dal titolo “Iperplasia prostatica benigna”.
L’impostazione del corso, partendo dall’assunto che l’IPB è la seconda patologia per diagnosi effettuata negli uomini ogni anno in Italia (al primo posto c’è un’affezione ad altissima prevalenza quale l’ipertensione arteriosa e subito dopo l’IPB altre patologie molto frequenti quali la malattia ischemica cronica, i disturbi del metabolismo lipidico e il diabete mellito) si poneva come obiettivi educativi specifici quelli di:

  • riconoscere i disturbi della minzione legati alla IPB
  • sapere eseguire una esplorazione rettale
  • sapere riconoscere alla esplorazione rettale i diversi quadri della patologia prostatica
  • conoscere le indagini di laboratorio e strumentali necessarie per fare diagnosi di IPB
  • individuare i pazienti da inviare a consulenza specialistica
  • sapere impostare al giusto dosaggio la terapia medica dell’IPB, utilizzando i farmaci riconosciuti utili
  • sapere valutare l’efficacia del trattamento terapeutico messo in atto per l’IPB.
Pertanto durante le esercitazioni ogni discente avrebbe dovuto imparare a eseguire, con l’ausilio di un manichino, una corretta esplorazione rettale.
Un corso di otto ore, per massimo 30 iscritti, che si sarebbe avvalso anche della presenza di un urologo universitario.
Risultato: il corso non è stato svolto per mancanza di discenti che nella pre-iscrizione avevano comunque dato il loro assenso.
Non mi sono meravigliato più di tanto e ho ricordato il monito del collega Giuseppe Maso, past president di AIMEF: “Un buon medico di famiglia per dirsi tale deve saper eseguire una esplorazione rettale”.
Questo episodio mi fa riflettere sulla ormai inutilità dei corsi di medicina pratica per cui, provocatoriamente, propongo che si chieda a gran voce di programmare corsi ECM su come fare le ricette e applicare le note AIFA: sicuramente avremmo una più massiccia adesione.

Nicola Dilillo

Dipartimento Formazione AIMEF,
Matera