M.D. numero 21, 7 giugno 2006

Pratica medica
Un caso di tubercolosi miliare acuta durante l’epidemia influenzale stagionale
di Marcello Pugliese, Medico di medicina generale, Donnici Inferiore (CS)

In pieno periodo di influenza stagionale Mario, un assistito di 48 anni, mi contatta telefonicamente per la comparsa di sintomatologia simil-influenzale (artralgie diffuse, febbricola serotina, nausea e dolori addominali). Mi riferisce che nei giorni precedenti anche la moglie e i due figli avevano accusato gli stessi sintomi, superati con l’assunzione di antipiretici e sintomatici. Mi chiede consigli sulla terapia e la prescrizione di alcuni giorni di riposo.
Trattandosi di un assistito che frequenta meno assiduamente di altri pazienti l’ambulatorio e ritenendo necessario sottoporlo comunque alla visita medica per stilare correttamente la diagnosi e la prognosi nel certificato, decido di recarmi al suo domicilio.


Visita domiciliare
Al mio arrivo è lo stesso Mario ad aprire la porta: mi dice di avere ancora la febbre a 38 °C e tosse secca stizzosa. Noto una lieve dispnea già nell’espormi i sintomi e nel breve tragitto che ci separa dalla stanza da letto.

  • Anamnesi: non fuma, è affetto da dislipidemia familiare trattata proficuamente con fenofibrato e non ha manifestato in passato altre patologie degne di nota. Nel mese di novembre ha praticato la vaccinazione antinfluenzale in quanto esercita un’attività lavorativa che lo porta a stretto contatto con il pubblico.
  • Esame obiettivo: riduzione del murmure vescicolare su tutto l’ambito, con ronchi e sibili diffusi. L’obiettività cardiaca e addominale è nella norma e non rilevo segni neurologici di sospetto.
    Il quadro sintomatologico, l’esame obiettivo e probabilmente il “fiuto” che ogni Mmg sviluppa dopo decenni di attività sul campo in prima linea, fanno sorgere in me la forte preoccupazione della presenza di una grave patologia, che preferisco al momento non comunicare al paziente senza dati strumentali certi.

Richiedo con urgenza una radiografia del torace e consiglio a Mario il riposo assoluto e una terapia sintomatica.

Conferma del sospetto


Contatto personalmente lo studio radiologico per l’esecuzione dell’esame, che grazie alla disponibilità del collega radiologo viene eseguito qualche ora dopo. Il referto viene portato in ambulatorio dalla moglie di Mario.

  • Radiografia del torace: rinforzo diffuso della trama broncovasale bilateralmente e su tutto l’ambito, con lieve versamento pleurico a livello del seno costo-frenico destro. Presenza bilateralmente di numerose opacità non confluenti, a limiti sfumati, di densità marcata.
Alla luce del referto e con il sospetto iniziale che aumenta di consistenza, contatto telefonicamente il reparto pneumologico dell’ospedale, esponendo allo specialista a cui vengo rinviato le mie preoccupazioni sulle condizioni cliniche di Mario.
Il collega, quasi per confortarmi, riferendosi al sovraccarico di lavoro per i Mmg nel periodo di endemia influenzale e alla nostra tendenza a “esagerare” nelle diagnosi, visti i dati anamnestici e sintomatologici ipotizza una probabile broncopneumopatia acuta batterica.
Non demordo e così concordiamo per il ricovero di Mario, da effettuare il mattino successivo.

Ricovero ospedaliero:
diagnosi e terapia

Inaspettatamente il giorno seguente, alle ore 12.00, il collega pneumologo mi telefona e con tono sommesso mi dice: “Collega, avevi ragione tu. Stiamo procedendo con ulteriori esami, ma dai primi accertamenti è quasi certo che il tuo paziente ha una tubercolosi miliare acuta”.
I successivi accertamenti confermeranno tale diagnosi. Il paziente viene sottoposto immediatamente a trattamento farmacologico con rifampicina+isoniazide+etambutolo, terapia che proseguirà per un periodo adeguato e sotto controllo specialistico, ma con ottima prognosi, anche se con un prevedibile rischio di evoluzione in fibrosi delle lesioni e del parenchima circostante.
Ovviamente sono state messe in atto tutte le misure profilattiche idonee per i conviventi e i contatti a rischio.

Commento


La tubercolosi, causata dal Mycobacterium tuberculosis o bacillo di Koch, sebbene non rappresenti più un’emergenza sanitaria nei Paesi industrializzati, rimane una malattia infettiva grave e tuttora presente alle nostre latitudini, anche per la mancata sorveglianza epidemiologica dovuta all’abolizione dei consorzi antitubercolari, e soprattutto per la cosiddetta “tubercolosi di importazione” secondaria al crescente numero di extracomunitari presenti nel nostro Paese.
La tubercolosi miliare acuta è la conseguenza di una massiva penetrazione del bacillo di Koch nel circolo ematico con disseminazione in ambedue i polmoni e con manifestazioni cliniche anche gravi e di tipo setticemico, con dispnea, tosse, tachipnea, cianosi periferica, febbre elevata, emottisi o emoftoe, sintomi ovviamente non presenti sempre in fase iniziale.
La terapia medica, che ne ha cambiato radicalmente l’evoluzione e la storia clinica, deve essere instaurata il più precocemente possibile, con chemioterapici efficaci, spesso in combinazione tra loro e per un periodo di tempo sufficientemente lungo.
La precocità della terapia è ovviamente in rapporto con il momento in cui viene posta la diagnosi, e in questa fase l’opera del medico di medicina generale è essenziale, anche se vi trova ad affrontare alcune difficoltose problematiche, in particolare:
• l’inizio subdolo della malattia e la multiformità dei quadri clinici dovuta alla diversità delle localizzazioni;
• l’opinione sempre più diffusa nella popolazione che la malattia sia ormai estinta;
• il sentimento di paura dei pazienti verso questa infezione.
Nel caso clinico illustrato la diagnosi differenziale si è posta nei confronti di neoplasie polmonari primitive e secondarie e di linfangiti neoplastiche, con altri quadri setticemici tipo stafilococcosi o tifo, con polmoniti interstiziali, con sarcoidosi, fibrosi e pneumoconiosi.
Al medico di medicina generale, da attento e capillare sensore sparso sul territorio, spetta il compito della vigilanza epidemiologica su una malattia il cui esordio clinico si è andato via via modificando nel tempo, sia per l’ovvia minore carica infettante presente nell’ambiente, sia per l’impiego precoce e diffuso di antibiotici non specifici, quali macrolidi o chinolonici, che ne rallentano comunque la moltiplicazione.
Inoltre va tenuta presente la mutata condizione dell’età della prima infezione, che in passato era prerogativa dei soggetti più giovani, mentre attualmente si è spostata intorno ai 40-50 anni.
Ovviamente una resistenza migliore da parte dell’organismo contagiato, dovuta alle migliorate condizioni ambientali e ad un’alimentazione più sana e completa, riducono di molto l’evolutività delle lesioni e le manifestazioni cliniche gravi, quali emottisi o dispnea.
Di converso non è raro osservare la comparsa di quadri severi di tubercolosi in soggetti immunodepressi per la presenza di altre patologie.
Un problema che investe in prima persona il medico di medicina generale è l’intervento nei confronti degli extracomunitari, soggetti spesso disperati che vengono nel nostro Paese alla ricerca di un lavoro e di un migliore tenore di vita e che invece si trovano a lavorare e vivere in condizioni di estrema precarietà e degradazione, di scarsa igiene, di sovraffollamento e di promiscuità.
Inoltre il problema è già di per sé grave negli extracomunitari con regolare permesso di soggiorno (che comunque evitano i controlli sanitari per il pericolo del mancato guadagno a seguito di ricoveri ospedalieri necessariamente lunghi e che metterebbero a rischio la loro stessa permanenza nel nostro Paese), ma la presenza di soggetti immigrati in clandestinità rappresenta, al pari dei malati cronici, un inesauribile serbatoio di micobatteri infettanti.