M.D. numero 22, 14 giugno 2006

Appunti
Burocrazia: serve una ripartizione delle responsabilità

Q
uando tra la posta compare un plico chiuso firmato dall’Asl un sottile brivido mi scende giù per la schiena. Quale sarà la nuova grana?
L’ultima che mi si è palesata riguarda i piani terapeutici.
Nel 2005 ho rincorso un dermatologo che si era “dimenticato” del piano terapeutico per un mio paziente con psoriasi che fa uso di cortisonici topici. Nello stesso anno ho anche diligentemente contattato tutti i miei assistiti con glaucoma, pregandoli di recarsi al più presto dall’oculista per la nota 78.
Ricordo bene il piano terapeutico redatto per una paziente che tentava una terapia per l’infertilità. Mi chiedo: ma allora dove ho sbagliato?
È successo che il ginecologo della suddetta paziente non ha probabilmente spedito alla Asl il documento e inoltre, fatto non di mia conoscenza, occorre il Pdt per una costosa insulina prescritta durante un ricovero a due miei assistiti dai diabetologi ospedalieri.
Il fatto è che i diabetologi non hanno mai compilato il Pdt perché sostengono che tale insulina non deve essere prescritta dal Mmg, ma consegnata direttamente dalla farmacia ospedaliera o dal centro diabetologico. Ma questa informazione era stata data ai malati? A me sicuramente no.
Fatto sta che a inizio settimana ho perso più di un ora in ospedale per questi due preziosi documenti, che saranno pronti fra una settimana, e ho dovuto telefonare a casa della paziente in terapia per l’infertilità per potere avere una copia dell’altro documento.
C’è qualcuno che riesce a spiegarmi perché ogni anno devo gettare via il mio tempo per queste stupidaggini?
Noi medici di medicina generale, purtroppo, siamo gli anelli finali di una lunga catena prescrittiva fatta di inutili passaggi burocratici, dove altri compiono errori e a noi spetta poi il compito di girare come trottole per sanare le varie “dimenticanze”, pena la decurtazione dai nostri emolumenti del prezzo dei farmaci indebitamente prescritti.
C’è qualcosa di profondamente demenziale in tutto questo e io francamente sono arcistufa. Sarebbe ora di inventare un sistema più serio di prescrizione e di spiegare agli specialisti che hanno delle responsabilità burocratiche anche loro.

Cecilia Panciroli

Medico di medicina generale, Reggio Emilia


Medicine di gruppo alla ricerca di equità

C
on i nuovi accordi regionali e la revisione della struttura organizzativa dei Nuclei di Cure Primarie (NCP) le medicine di gruppo dovranno avere sempre più un ruolo propulsore.
La realtà però è che esistono medicine di gruppo che hanno visto l’interessamento partecipativo delle aziende sanitarie a cui afferiscono e alle quali sono stati offerti “in comodato” locali pubblici già ristrutturati, con spazi adeguati, impiantistica nuova, contratti per le utenze di favore, ecc. Altre medicine di gruppo, dopo rinnovate richieste e solleciti ufficiali, sono state in pratica ignorate e hanno dovuto provvedere in proprio alla ricerca di locali, alla progettazione e ristrutturazione, condividendo spese per la realizzazione ed esecuzione dei lavori. Due pesi e due misure: un grande peccato di favoritismo e di nepotismo.
Una azione riparatrice potrebbe essere quella di applicare per le medicine di gruppo che non hanno avuto un aiuto sostanziale dalle Asl o dagli enti (ai quali sono stati presentati progetti organizzativi e gestionali e sono state indicate anche le strutture riadattabili presenti in gran numero sul territorio) lo strumento del “pieno per vuoto” già utilizzato da molte aziende con strutture o servizi accreditati. Praticamente l’azienda utilizza dei soldi che sono garantiti comunque a quel servizio accreditato sia che per esempio tutti i letti della struttura siano occupati, sia che non lo siano.
Lo stesso strumento dovrebbe essere utilizzato per quelle medicine di gruppo “penalizzate” e l’eventuale contributo dovrebbe essere non contingentato alle prestazioni offerte perché questa richiesta aumenterebbe la differenza di trattamento con le altre medicine di gruppo più “coccolate” dovendo anch’esse offrire delle prestazioni. Diciamo che si dovrebbe offrire un fondo di almeno un 1/3 delle spese sostenute dalla medicina di gruppo non “facilitata”. Se per esempio la medicina di gruppo sopporta spese per 300mila euro o per 400mila il contributo “pieno per vuoto” dovrebbe essere di 100-200mila euro ai quali poi fare seguire il calcolo del tariffario per prestazione come di prassi. Questo per ripristinare un po’ di equità. Inoltre le medicine di gruppo essendo vere imprese private utilizzerebbero i contributi a fondo perduto in funzione della vera produttività e il denaro pubblico non sarebbe sprecato per risanare bilanci disastrosi di organizzazioni accreditate incapaci di offrire una vera produttività come spesso accade, ancorché utilizzanti personale della stessa azienda.
In caso contrario ci troveremmo, nonostante le apparenti innovazioni da convenzione, nel solito vicolo che si fa sempre più cieco.

Luter Blissett
Parma