M.D. numero 22, 14 giugno 2006

Tribuna
Appropriatezza prescrittiva: due pesi e due misure
di Salvatore Milito, Medico di medicina generale, Roma

Tra le tante lamentele dei Mmg spicca l’insofferenza per l’inappropriatezza prescrittiva di molti colleghi ospedalieri ai quali inviamo i pazienti. La metodicità con cui si riscontrano queste incongruenze sembrerebbe essere foriera di un piano di delegittimazione del ruolo del Mmg, ma in effetti non è così. Secondo il mio modesto parere, si tratta sia di sdegnosa indifferenza nei confronti dei Mmg sia di un atteggiamento professionale che sottovaluta il diritto dei pazienti a un accesso all’assistenza scevro da inutili contrattempi e complicazioni dovuti a vizi procedurali. Eppure le regole che i colleghi dovrebbero applicare sono quelle stesse che i Mmg mettono in atto ogni giorno, magari storcendo il naso, ma consapevoli che dal rispetto delle procedure dipende anche il riconoscimento reciproco di responsabilità e competenze tra i colleghi

L'inappropriatezza prescrittiva dei colleghi specialisti con cui ogni giorno i Mmg devono fare i conti comporta un inceppamento permanente del lavoro, un intralcio alla filiera Mmg - paziente - specialista che inasprisce il rapporto con i pazienti e incrina quello con gli specialisti. Fatto salvo il fair play di molti colleghi, ligi quanto basta alle norme sull’appropriatezza, si annida sempre più nelle strutture pubbliche un discreto numero di irriducibili che agiscono come se queste norme non fossero affare loro, non li riguardassero direttamente.
Non bisogna farsi logorare da ciò né assumere un atteggiamento di mera rassegnazione. Ogni volta che ci capita l’occasione ribadiamo che tocca anche ai nostri colleghi assumersi la loro parte di fastidi cartacei. Di commi e circolari ce n’è per l’intera categoria e se li applichiamo ognuno per quel che ci spetta ne guadagna la professionalità di tutti, inoltre si riducono le code negli ambulatori pubblici e nelle sale d’attesa degli studi dei medici di famiglia ed è più soddisfatto l’utente.
Purtroppo, se ci ritroviamo ancora a discutere su questi “cavilli” è perché al fondo della questione sembra esserci un non detto, un silenzio assenso che assegna una funzione minimalista al Mmg (nel senso che meno fa e meglio è per i bilanci) e una licenza di largheggiare fin oltre i limiti dell’appropriatezza agli ospedalieri e agli specialisti ambulatoriali. Se le cose stanno veramente come supposto, allora siamo di fronte a una svista e a uno sdoppiamento della personalità di chi è al timone della Sanità. Nessuno di loro ha mai smentito l’affermazione di chi al loro posto ha affermato che i medici di medicina generale rappresenterebbero il “perno”, il “pilastro”, i “garanti dell’assistenza primaria”. Mi chiedo come si possano affermare tali cose e poi relazionarsi ai Mmg come se fossero degli scialacquatori delle esigue risorse del Ssn, degli “ordinatori di spesa” da tenere a bada.

Pregiudizi che diventano leggi


Su questi assunti, invano smentiti dalla realtà, si sono fatti decreti, piani di distribuzione dei fondi, leggi finanziarie, senza assolutamente tenere in conto il fenomeno delle prescrizioni indotte. Nessuno si è posto il problema di quantizzarlo e di indagare sulle ricadute in termini di spreco e di farraginosità del sistema. I medici di famiglia invece sono ben consci del portato di tale fenomeno, ma le loro continue “denunce” restano lettera morta.
Miopia politica o lucido disegno di concentrazione in mani ospedaliere della gestione della salute pubblica (nonostante il tanto declamato primato della medicina territoriale)? Difficile dare una risposta.
Intanto sui medici di famiglia si continuano a spianare deterrenti di ogni tipo. E così tocca ai Mmg continuare a fare buon viso al cattivo gioco di specialisti recalcitranti e di pazienti fiduciosi a parole del proprio curante, ma pronti a sventolare il modulo di revoca se il dottore “non ci sta”. È fatica sprecata spiegare ai propri assistiti l’incongruità e l’assurdo rapporto costo-efficacia di molte richieste di esami e accertamenti diagnostici. Il paziente pretende una sola cosa: poter accedere a quelle prestazioni, se non con la benedizione, almeno con l’assenso a testa china del proprio medico curante. Non saranno strettamente necessarie, ma se la tale rubrica e tale trasmissione televisiva dicono che sono oggetti di culto alla stregua dell’ultimo modello di cellulare, allora via alle richieste a cascata di RM in prima istanza, di analisi di laboratorio in numero spropositato, di ricoveri in day hospital per patologie che fino all’altro ieri si risolvevano ambulatoriamente, di esami pre-operatori che secondo la legge rientrano nei DRG, ma che “se li effettua fuori dall’ospedale, Signora, guadagniamo tempo”. Non prima, magari, di aver elargito un’esenzione per patologia (vedi la gettonatissima 027 per "ipotiroidismo acquisito grave", rilasciata alle portatrici di un banale gozzo normofunzionante) sulla quale sarebbe inutile stare a sindacare, visti i timbri che la santificano e la ferma determinazione del paziente nell’aggrapparsi al conquistato esonero dal ticket. Può darsi pure che ci siano controlli sugli indicatori di efficacia e congruità degli interventi sanitari nel comparto pubblico. E forse è proprio per questo che si cerca di eluderli dirottando molte prescrizioni ad alto costo sul Mmg, il quale se la vedrà a tempo debito con il funzionario Asl armato di budget.

Il lessico burocratico che confonde


E così le prescrizioni indotte continuano ad essere il nostro (avvelenato) pane quotidiano nonostante le varie circolari. A proposito del ricovero in day hospital, per esempio, il recente accordo regionale del Lazio dice che “la scelta del ricovero in day hospital non è compito del Mmg, ma deve essere indicata dalla struttura accettante che prende in carico l'assistito”. Il burocratese della frase si può prestare a equivoci e interpretazioni (anche strumentali) poiché non dice “papale papale” una cosa facile da capire da parte del paziente e difficile da aggirare per il collega in vena di scappatoie, e cioè: il medico ospedaliero e quello delle strutture private accreditate debbono procedere al ricovero in Dh senza che il paziente passi prima dal suo medico per avere la richiesta su ricetta regionale. Un po’ come si dovrebbe fare per le visite odontoiatriche, pediatriche, ginecologiche e oculistiche per la sola optometria.
Temo quindi che le cose non cambieranno. Qualche collega ospedaliero, contattato telefonicamente per chiarimenti sulle sue prescrizioni, si mostrerà ben disposto. Altri faranno finta di non sapere nulla di circolari e di norme. Altri illustreranno il loro concetto “creativo” delle note AIFA. Altri ancora si mostreranno sprezzanti al punto di lasciarti intendere che di fronte alle decisioni dello specialista devi solo trascrivere e tacere.
Così, in attesa di qualche decisivo intervento regolatore, ci tocca dovere convertire ogni giorno, con un dispendioso sforzo di sopportazione, il nostro sconforto e la nostra indignazione in messaggi pacatamente persuasivi rivolti all’adulto che c’è nel paziente (da qualche parte ci deve essere). Non bisogna quindi stupirsi se si viene a conoscenza che qualche collega stanco dell’iniquo “doppio-pesismo” con cui è valutato il tempo dedicato ai pazienti ed esausto per i ripetuti vani tentativi di respingere l’inestinguibile offensiva consumistica, si chiama fuori dall’ACN (M.D. 2005; 29:14; 2006; 21:13).