M.D. numero 23, 21 giugno 2006

Management
Migliorare l’aderenza alle terapie per l’osteoporosi postmenopausale

La International Osteoporosis Foundation ha lanciato una campagna per sensibilizzare pazienti, medici e sistemi sanitari a porre attenzione alle conseguenze in termini clinici, sociali ed economici del mancato rispetto dei trattamenti farmacologici prescritti

L'aderenza alle terapie è un fattore di primaria importanza perché un trattamento abbia successo, ma nella realtà solo una parte minoritaria di pazienti segue con attenzione le raccomandazioni dei medici relative all’assunzione dei farmaci prescritti. Il problema è ancora più serio laddove l’accesso ai sistemi sanitari è più difficile, come nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo. Recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha promosso un gruppo di lavoro multidisciplinare per affrontare a livello mondiale la “piaga” della scarsa compliance alle terapie prescritte per curare patologie croniche a larga diffusione come l’ipertensione arteriosa, il diabete, la depressione, l’osteoporosi, l’asma, l’epilessia, l’infezione da HIV, ecc. L’obiettivo di questo progetto dell’OMS, rivolto a decisori politici, manager sanitari e medici pratici, è quello di informare sulle conseguenze cliniche, sociali ed economiche della inadeguata osservanza delle prescrizioni terapeutiche.

La campagna “Staying Power”


Su questa falsariga anche l’International Osteoporosis Foundation (IOF) ha avviato una campagna, denominata “Staying Power”, volta a sensibilizzare i pazienti, i medici e i sistemi sanitari sulle conseguenze della mancata aderenza alle terapie prescritte per l’osteoporosi.
In tutto il mondo i pazienti osteoporotici seguono poco e male i trattamenti e il rapporto della IOF “The adherence gap: why osteoporosis patients don’t continue with treatment”, diffuso lo scorso anno, ha ben evidenziato le dimensioni del problema: dopo 6 mesi oltre il 20% dei pazienti interrompe il trattamento farmacologico e questa percentuale supera il 50% dopo un anno e il 75% dopo due anni. La criticità di questi numeri si scontra con la necessità di prolungare nel tempo l’assunzione dei farmaci: i bisfosfonati per esempio, che rappresentano la terapia maggiormente utilizzata, producono pieni benefici clinici solo con trattamenti di lunga durata, non inferiori a due anni.
I dati relativi all’Italia mettono in luce una scarsa compliance anche tra i pazienti osteoporotici che hanno già avuto una frattura: un survey nazionale che ha raccolto dati da 207 centri ortopedici relativi a 2191 pazienti ambulatoriali con frattura d’anca da osteoporosi (88% donne, 86% di età >65 anni) ha rivelato che, dopo una media di 1.4 anni dalla frattura, il trattamento prescritto per l’osteoporosi era stato interrotto dal 52% dei pazienti (Carnevale et al. Osteoporosis International 2006; 17: 478-83).

Perché la compliance è scarsa?


Come nel caso di altre condizioni croniche, l’osteoporosi è una malattia che rimane silente fino a quando non si manifestano le gravi conseguenze rappresentate dalle fratture. La difficoltà ad assumere regolarmente i farmaci per l’osteoporosi è legata alla bassa percezione da parte dei pazienti del rischio che accompagna il depauperamento osseo quando l’osteoporosi non ha ancora provocato sintomi clinici. Un’altra difficoltà è costituita dal fatto che, come per altre malattie croniche in fase di asintomaticità, i benefici dei farmaci non sono immediatamente osservabili e quindi i pazienti non comprendono appieno l’importanza di seguire terapie continuative.
La mancata aderenza ha conseguenze importanti per le persone affette da osteoporosi, perché una volta che si verifica una frattura ossea, il rischio che se ne verifichi un’altra è significativamente maggiore. Va inoltre considerato che meno di un terzo delle donne che subisce una frattura riesce in seguito a recuperare il precedente livello di mobilità e più di un terzo avrà bisogno di assistenza costante. Con l’invecchiamento della popolazione mondiale, il numero di persone affette da osteoporosi è destinato a aumentare, rendendo così ancor più importante aiutare i pazienti a sfruttare tutti i benefici in termini di rafforzamento osseo che possono derivare da una terapia seguita per un adeguato periodo di tempo.
I costi sociali ed economici dovuti all’osteoporosi sono al limite della sostenibilità da parte dei sistemi sanitari ed è fondamentale operare in tutte le direzioni possibili per contenerne un ulteriore incremento. Nelle donne di età superiore ai 45 anni, l’osteoporosi è la causa che fa trascorrere il maggior numero di giorni in ospedale rispetto a qualsiasi altra malattia e solo in Europa la malattia costa oggi poco meno di 5 miliardi di euro in cure ospedaliere.
La IOF, attraverso la campagna “Staying Power”, invita i medici, i pazienti e le loro associazioni a cooperare per migliorare l’aderenza ai trattamenti prescritti e auspica che gli schemi terapeutici tengano maggiormente conto delle esigenze dei pazienti, per esempio riducendo la frequenza di somministrazione dei farmaci.