M.D. numero 23, 21 giugno 2006

Professione
Guardia medica: quando il rifiuto di visita è omissione
di Mauro Marin, Medico di medicina generale, Pordenone

La richiesta dell’utente non implica di per sé il diritto a una visita domiciliare; l’obbligatorietà nasce dal giudizio clinico di appropriatezza e necessità da parte del medico

Il servizio di continuità assistenziale (CA), conosciuto come ex-guardia medica, è affidato a medici convenzionati col Ssn (artt. 62-73 ACN del 23 marzo 2005).

ACN 2005: I compiti del medico di continuità
Secondo l’art. 67 il medico di CA effettua, in relazione al quadro clinico prospettato dall’utente o dalla centrale operativa del 118, tutti gli interventi ritenuti appropriati (comma 3) oppure in caso di necessità a suo giudizio allerta direttamente i servizi di emergenza territoriale del 118 (comma 11); gli interventi possono essere domiciliari (comma 2) o ambulatoriali (comma 3); le chiamate degli utenti devono essere registrate e rimanere agli atti (comma 7); il medico di CA usa il ricettario del Ssn solo a favore degli utenti registrati (comma 9), comunica al medico curante l’esito della visita con il modulo “allegato M” consegnato all’utente (comma 8), rilascia all’utente le certificazioni di malattia obbligatorie (comma 16) ed effettua le constatazioni di decesso richieste (comma 16, lettera e).

I compiti del medico di CA sono precisati dall’art. 67 secondo cui è tenuto ad assicurare “le prestazioni sanitarie non differibili” ai cittadini residenti nell’ambito territoriale afferente alla sede di servizio.
Con l’ultimo ACN è stato chiarito che la gestione delle emergenze è attribuita al “Servizio di emergenza sanitaria territoriale” (artt. 91, 94 e 95) che ha proprio personale, in collaborazione con i servizi ospedalieri del 118 (DPR 27 marzo 1992) che deve avere una propria organizzazione autonoma.
In merito ai compiti del medico, rispetto al vecchio mansionario (ex art. 52 del DPR 270/2000), nell’art. 67 è scomparso il termine “richiesti” riferito agli interventi domiciliari e territoriali, e si precisa che il medico effettua gli interventi ritenuti appropriati in relazione al quadro clinico prospettato. Si conferma quindi che è il responsabile giudizio clinico del medico a stabilire la necessità dell’intervento domiciliare, mentre la semplice richiesta dell’utente è un diritto solo se giudicata appropriata e quindi non implica di per sé il diritto a una prestazione domiciliare.

Le sentenze


La Cassazione Penale sezione IV (sentenza n. 44326 del 16.4.2003) afferma che l’Asl non ha alcuna corresponsabilità civile nel danno causato dal medico convenzionato agli assistiti, poiché “il potere di controllo della Asl sul contenuto dell’attività terapeutica svolta è definito inesistente”, non sussistendo tra medico e Asl un rapporto di servizio come nel pubblico impiego, con la conseguenza che eventuali danni derivanti sono cagionati nell’ambito di un rapporto professionale sul quale la Asl non può interferire. Secondo la Cassazione a Sezioni Unite, il rapporto tra medico convenzionato e Asl è infatti disciplinato da un contratto di diritto privato (sentenza n. 16219/2001), per cui l’Asl non può esercitare alcun potere autoritativo sul medico al di fuori di quello di sorveglianza (sentenza n. 813/1999).
La valutazione della legittimità di un rifiuto del medico alla richiesta dell’utente di visita domiciliare verte sull’esame della “non differibilità” e appropriatezza della prestazione richiesta che comporta la valutazione medico-legale a posteriori del caso clinico e della condotta del medico.
Secondo la Cassazione Penale sezione VI, il medico commette il reato di omissione d’atti d’ufficio (art. 328 CP) se rifiuta una visita domiciliare che a una valutazione posteriore risulta invece realmente non differibile e urgente (sentenza n. 34047/2003), mentre può legittimamente rifiutare un intervento a suo giudizio differibile e non urgente che di fatto si conferma tale ad una valutazione posteriore (sentenza n. 9240/2004; n. 35035/2005).
Ai sensi dell’art. 42 CP, sussiste il reato di omissione d’atti d’ufficio solo se è dimostrata una cosciente volontà (dolo) di rifiutare l’intervento riconosciuto necessario, “che deve cioè essere compiuto senza ritardo per ragioni di salute” secondo l’art. 328 CP. Sussiste dunque il reato solo quando l’urgenza prospettata è documentata, effettiva e reale (sentenza della Cassazione Penale, n. 2335 del 11.3.1985).
L’art. 67 dell’ACN afferma al comma 2 che il medico di CA deve essere presente nella sede assegnatagli dall’Asl dall’inizio alla fine del suo turno, ma al comma 10 si precisa che deve essere presente fino all’arrivo del collega che continua il servizio. Un ritardo di quest’ultimo nel presentarsi al lavoro si può quindi valutare come un inadempimento contrattuale passibile di sanzione (art. 30 ACN), ma non già come un’interruzione di pubblico servizio di rilevanza penale (art. 340 CP; sentenza della Cassazione Penale n. 33062/2003), poiché di fatto il servizio è assicurato con le modalità previste dal citato comma 10.