M.D. numero 24, 28 giugno 2006

Contrappunto
Espropri di competenze: perché bisogna opporsi
di Salvatore Milito, Medico di medicina generale, Roma

Continua il dibattito sugli espropri di competenze ai medici di famiglia. La discussione era stata innescata da un articolo del dottor Antonio Attanasio su M.D. (2006; 12:14) e ripresa dal collega Mauro Somaschi (2006; 18:14-15) che rimproverava una sorta di facile delega ai medici dei centri specialisti di compiti intrinseci alla medicina di generale. A tali critiche prontamente ha risposto Attanasio adducendo, come nel suo costume, una pertinente provocazione: visti gli scenari contraddittori in cui sono costretti a muoversi i Mmg, perché “non rendere possibile e agevole la mobilità fra i vari ruoli della medicina di interesse pubblico?”. Due approcci che insieme testimoniano le difficoltà di esperire un ruolo che assume aspetti sempre più dicotomici tra le esigenze del Ssn e quelle prettamente legate alla disciplina della medicina di famiglia

Più che due modi di intendere la professione, le opinioni dei colleghi Mauro Somaschi e Antonio Attanasio riportate da M.D. tradiscono due stati d’animo che fanno luce sulle contraddizioni nelle quali i Mmg si dibattono ed evidenziano quanto la categoria si sia allontanata dalla essenza di un “mestiere” che, per ragioni a noi estranee, non corrisponde più a molte delle aspettative professionali.
Il medico condotto di una volta, come ha sottolineato Attanasio, aveva un sapere enciclopedico (secondo gli standard dell’epoca) e una preparazione a tutto campo. Quella definizione di “medico chirurgo”, trascritta sulla targa e sull’intestazione del ricettario, non era solo di facciata, ma voleva dire che, spesso e volentieri, egli metteva anche mano al bisturi. A decretarne l’affidabilità e a eleggerlo dottore nel cuore della gente era il suo saper fare, grazie al quale suppliva alla insufficienza di assistenza di intere aree e alle carenze di un Servizio sanitario nazionale appena nascente. Anche il medico di famiglia “non più condotto” aveva all’inizio della sua esistenza un discreto “spettro d’azione”.
Oggi nessuno sembra sentire la mancanza di queste due figure e il ruolo del medico curante ha subìto nel tempo un radicale ridimensionamento in rapporto inverso al crescere (in numero, in cariche dirigenziali e in attrezzature ad alto costo) dei centri di cura pubblici allestiti per occuparsi di patologie che erano di tradizionale appannaggio della medicina generale. Questo ruolo dei Mmg, riveduto al ribasso (in apparenza compensato da onorari correlati al raggiungimento di obiettivi), ha finito per fare nascere nei pazienti una visione riduttiva della funzione del loro medico curante. Purtroppo al momento non esistono progetti realmente capaci di assegnare al medico di famiglia quel ruolo tanto promulgato di “asse portante” del Ssn, né schemi che prevedano una sana integrazione della funzione del Mmg con quella del collega ospedaliero, sulla base di una pari dignità professionale.
Così il lodevole impulso del collega Somaschi di riappropriarsi di alcune particolari competenze di cui si sente scippato, se da un lato non potrà che fare contento se stesso in qualità di medico e i suoi assistiti dall’altro, come evidenzia Attanasio, potrebbe realmente esporlo a qualche rischio legato alla inosservanza di una consuetudine oramai ben radicata e cioè quella di non entrare in competizione con quei centri (tipo quelli per il monitoraggio della TAO) i quali, anche se solo per vox populi e non per consacrazione ufficiale, passano per essere irrinunciabili alternative al medico di famiglia.

Il monitoraggio delle cronicità


Tutt’altro discorso va fatto per gli ambulatori ospedalieri dedicati a patologie quali l’ipertensione, l’osteoporosi, il diabete, ecc., perfettamente monitorabili nel normale contesto dello studio di medicina generale. Vi sono diffusi e fondati dubbi circa la reale utilità di questi centri, ma nessuno inerente al fatto che si tratti di propaggini del potere politico. Inoltre non bisogna sottovalutare il rischio che tali strutture possano essere vissute da nostri assistiti in contrapposizione rispetto ai Mmg, creando quindi un’immagine collettiva dei medici di famiglia quali professionisti di “basso profilo”.
In merito a questi specifici casi mi trovo in accordo con le conclusioni di Somaschi. Proprio per questo tengo a ribadire quasi con le stesse sue parole, che se non affermiamo la nostra legittima potestà almeno su queste materie e se non blocchiamo il tentativo di fare dei nostri studi dei semplici enti di patronato, quale sarà il futuro del nostro ruolo?