M.D. numero 24, 28 giugno 2006

Focus on
Sistema sanitario: il vecchio che cede e il nuovo che non avanza
di Monica Di Sisto

Il rinnovo di Governo e la presa in carico delle competenze sulla Salute da parte del ministro Livia Turco hanno portato con sé un impeto e un brivido. L’impeto è legato alla presentazione dell’impegnativo programma di Governo, che intenderebbe dettare alcune nuove parole d’ordine di sistema alla rete delle cure italiane.
Il brivido è legato come sempre alla perenne scarsità delle risorse da impegnare.

New deal, vera rivoluzione o stella cadente da notte d’estate? È questa una domanda legittima se si riflette sulle dichiarazioni e le intenzioni di necessario cambiamento del comparto salute e sanità avanzate dal nuovo esecutivo e la reale situazione finanziaria del nostro Paese che non consente di rimpinguare le risorse, anzi.
Ma al momento il Fondo sanitario nazionale non verrà intaccato dalla “manovrina” di metà esercizio che dovrebbe rimettere in carreggiata i conti pubblici, lo assicura il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa; ma è chiaro che le Regioni fuori budget dovranno rientrare al più presto e che a questo diktat alcune, tra le quali il Lazio, rispondono con affanno.
Sullo sfondo rimane la questione farmaci: appropriatezza prescrittiva, nuove note Aifa all’orizzonte e ennesimo aggiustamento a colpo di forbici non rasserenano l’ambiente. I medici di medicina generale rimangono sullo sfondo, con la Convenzione nazionale scaduta e i tavoli per il rinnovo non avviati, lo stigma sull’iperprescrizione sempre in agguato, un Ordine che sente la necessità di cambiare pelle e i bisogni formativi legati ai tempi che cambiano, fortemente condizionati dalle nuove regole di trasparenza appena entrate in vigore. E tra vecchio che cede e nuovo che non avanza, i Mmg rischiano di rimanere più soli e lontani dalla meta.

New deal o vecchie ricette?

Livia Turco, ministro della Salute, ha utilizzato la metafora del crollo di Wall Street del 1929 per qualificare il suo programma, sottolineando nella presentazione alle commissioni parlamentari di competenza come il new deal sia nato dalla capacità del presidente Franklin Roosevelt di costruire un programma economico di rigore e di investimenti oculati che riuscì a restituire ai suoi cittadini il sogno americano in soli 4 anni. L’ascolto sarà il metodo di lavoro e di governo, “con la finalità di contrarre un nuovo Patto per la Salute - ha spiegato - un vero e proprio new deal per la sanità italiana, che sappia raggiungere e coinvolgere tutte le componenti del sistema”. L’introduzione di un sistema di valutazione dei risultati, che dia indicazioni sulla ripartizione delle risorse finanziarie, potrebbe essere il punto di svolta per un nuovo approccio alle politiche finanziarie in sanità. In questa direzione vanno anche le misure proposte, come l’istituzione di un ticket “punitivo” per chi prenota prestazioni e non si presenta il giorno dell’appuntamento o chi si sottopone a test diagnostici e poi non ritira il referto.
Per fare questo occorre anche un ministero più snello, senza la pletora di commissioni superflue salvo le due indispensabili: la Commissione per la definizione dei Lea e il Comitato per la valutazione e il monitoraggio.

Fondi: Regioni ai ripari


I fondi sui quali dovrebbero poter contare le Regioni individuano in quel 6.6% del PIL per il triennio 2007-2009 un punto di partenza per la programmazione del governo regionale, liberando l’autonomia impositiva locale e valutando l’andamento della spesa e il raggiungimento degli obiettivi di salute con la costituzione di un organismo bilaterale (Governo e Regioni), per il monitoraggio costante incentrato sulla dinamica di specifici indicatori di risultato.
A questo si dovrebbe affiancare un fondo straordinario per le Regioni con grandi criticità finanziarie con l’obiettivo di azzerare il debito entro il 2009, corrispondente ad oggi a circa 5.6 miliardi.
Secondo il coordinatore degli assessori regionali alla Sanità, Enrico Rossi, dall’inizio dell’anno si sta profilando in tutte le Regioni uno sfondamento rispetto alle risorse previste dall’ultima Finanziaria, mentre il deficit per oltre 4 miliardi maturato dalle sei regioni meno virtuose fa riferimento al 2005. Ma nel new deal secondo Turco, se una Regione ottiene guadagni di efficienza maggiori di quelli programmati, può utilizzare a sua discrezione le risorse così liberate; se non li ottiene deve finanziare le spese eccedenti con risorse proprie”. Per alcune Regioni - ha concluso Turco - sarà inevitabile prevedere l’affiancamento da parte del livello di Governo fino al conseguimento degli obiettivi di rientro stabiliti”.

Appropriatezza: occhio ad Aifa


L’Aifa sta elaborando, d’intesa con le Regioni e il ministero della Salute, un piano nazionale per l’appropriatezza delle prescrizioni “perché tutti gli organi istituzionali coinvolti sono convinti che sia il punto centrale per governare la spesa farmaceutica e tutelare i diritti dei cittadini”. “Credo - ha sottolineato il direttore Nello Martini - che sia necessario puntare sull’appropriatezza delle prescrizioni per tenere sotto controllo la spesa farmaceutica in Italia. Si tratta di un elemento strutturale di base che può permettere anche di far sviluppare il settore”. Il settore farmaceutico, in realtà, è stato quello più messo a dieta nell’intero comparto sanitario. Dodici provvedimenti, dal 2001 ad oggi, sono stati varati dal Governo per contenere la spesa farmaceutica, manovre che, in totale - secondo stime di Farmindustria - hanno pesato sulle aziende per circa 4 miliardi di euro. La maggior parte degli interventi, ben 9, hanno riguardato il prezzo dei medicinali rimborsabili, gli altri hanno inciso sui costi finanziari delle aziende e dopo l’estate probabilmente si arriverà anche alla riscrittura del sistema delle note.

Professioni e Convenzione


Tra i cinque punti prioritari di governo del sistema, il ministro della Salute ha collocato lo sviluppo del governo clinico e assistenziale quale sistema di governo partecipato all’azienda sanitaria locale. Ma il provvedimento che più guarda alla prossima convenzione per la medicina generale come strumento attuativo è sicuramente l’espansione delle Case della Salute al di là dei confini delle cosiddette Regioni “rosse”, che le praticano da un po’.
L’obiettivo è di realizzare l’integrazione tra sanitario e sociale, in un quadro di sviluppo delle cure primarie a livello nazionale. Se ne parlerà il prossimo anno a Bologna, nella prima conferenza nazionale sulle cure primarie.
Intanto, si anticipa che la Casa della Salute potrebbe diventare la struttura polivalente e funzionale in grado di erogare materialmente l’insieme delle cure primarie e garantire la continuità assistenziale con l’ospedale e le attività di prevenzione. Questa indicazione strategica si inscrive nell’ottica di dare piena attuazione alla riforma Bindi, che, per esempio, prevedeva il decollo dei distretti, mai decollati.

Ordine e formazione


A parlare di nuovo corso c’è anche la FNOMCeO, che ha ribadito come punti prioritari di azione la revisione della legge istitutiva, la questione della formazione e la revisione del codice deontologico. Anche il ministero ha indicato come propria priorità la riforma del sistema dell’ECM e del percorso universitario delle scienze mediche e sanitarie, “andando a una ridefinizione del rapporto tra Università e Ssn, nell’ottica della sinergia e del superamento di ogni corporativismo”.
All’interno del sistema salute, i medici italiani - ha spiegato recentemente la FNOMCeO - non sono solo “produttori” ma rivendicano il loro ruolo, consapevoli di un patrimonio che è etico e civile.
Il senso e la ragione dell’Ordine dei medici è proprio quello di garantire nei confronti dei cittadini la qualità, l’appropriatezza e la responsabilità dell’esercizio professionale e dell’atto medico.
Ma se non si chiude il cerchio, facendo corrispondere formazione a qualificazione, per mancanza di risorse, questo obiettivo rimarrà per l’ennesima volta sulla carta.

Il decreto Bersani e la liberalizzazione della vendita dei farmaci OTC

I cinque punti caldi del decreto Bersani su farmaci e farmacie
1) I farmaci da banco o di automedicazione non soggetti a prescrizione medica potranno essere venduti al pubblico presso gli esercizi commerciali.
Con una norma del decreto legge si dovrebbe prevedere che la vendita è consentita durante l’orario di apertura dell’esercizio commerciale, in una parte della sua superficie ben definita e distinta dagli altri reparti, con l’assistenza di uno o più farmacisti laureati ed iscritti al relativo ordine. Sono, comunque, vietati i concorsi, le operazioni a premio e le vendite sotto costo aventi ad oggetto farmaci.
2) Libertà di sconto sui farmaci.
Con una norma del decreto legge si dovrebbe stabilire che lo sconto sul prezzo indicato dal produttore o dal distributore sulla confezione di ogni farmaco può essere liberamente determinato da ciascun distributore al dettaglio, purché sia esposto in modo leggibile e chiaro al consumatore e sia praticato a tutti gli acquirenti.
Viene abolito così il tetto massimo di sconto del 20% introdotto dal precedente governo.
Nella bozza del decreto si sottolinea che i farmaci da banco rappresentano il 10% di tutti i medicinali venduti.
3) Scompare l’obbligo per i grossisti di farmaci di detenere almeno
il 90% delle specialità in commercio (per i medicinali non ammessi
al rimborso da parte del Ssn).

Con una norma del decreto legge si regolerebbe, al contempo, la possibilità del rivenditore al dettaglio di rifornirsi presso un altro grossista.
4) Il farmacista può essere titolare di più farmacie, associarsi per gestire più esercizi: egli, inoltre, non è più tenuto a rispettare il confine territoriale provinciale per lo svolgimento della propria attività. Verrebbe, infine, eliminata l’incompatibilità tra l’attività all’ingrosso e attività al dettaglio. Rispetto a questo punto
nel decreto si sottolinea che la Ue ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia a causa delle restrizioni su acquisizione e possesso di farmacie. All’Italia è contestato il divieto sull’acquisizione di farmacie da parte di società attive nella distribuzione all’ingrosso,
nonché le regole sul possesso di farmacie riservate ai soli farmacisti.
5) Superamento del principio ereditario.
Con una norma del decreto legge verrebbe abrogata la previsione legislativa che consente all’erede di un farmacista di continuare per molti anni ad essere titolari della farmacia di famiglia senza essere laureato e iscritto all’albo.

Farmaci delle mie brame, chi vi venderà nel nostro reame? Il dibattito politico di fine estate si accende di un fuoco improvviso appena è arrivato in Consiglio dei Ministri il testo del Decreto governativo sulla competitività, a firma Pierluigi Bersani, che prevede un pacchetto di liberalizzazioni nell’ambito dell’autorizzazione dell’esercizio e dell’erogazione di alcuni servizi di pubblico interesse.
I mal pensanti (e l’opposizione) vanno con la mente alle dichiarazioni stampa di 7 mesi di campagna serrata, portata avanti presso i decisori politici e consumatori dal colosso made in Italy della grande distribuzione Coop, per l’ingresso nei suoi e altrui scaffali dei farmaci da banco.
Ma è un fatto che, seduti su uno dei nodi più dolenti del decreto, che ha portato sul piede di guerra anche tassisti e panettieri, ci sono proprio loro: i farmacisti.
Il decreto ha suscitato grande clamore tra gli addetti ai lavori, tanto che tutti giurano che nessun dettaglio sia scontato fino a che il suo iter legislativo sia del tutto concluso.
“Il tema - lo ha chiamato così il ministro della Salute Livia Turco - era stato già oggetto di confronto tra i diversi attori del sistema.
È importante ed essenziale continuare il dialogo e il confronto su tutta la materia dell’assistenza
farmaceutica con l’obiettivo di offrire un servizio migliore ai cittadini sia in termini economici che, soprattutto, di appropriatezza terapeutica”.
I risultati del provvedimento, assicurano invece i liberi farmacisti “saranno assai modesti per i consumatori che oggi su 100 euro spesi in farmacia di tasca propria ne pagano 10 per i farmaci di automedicazione e 90 per quelli con ricetta, che continueranno a essere venduti solo in farmacia”.
Angelo Zanibelli, presidente dell’Anifa, ha lamentato il fatto che “il farmaco da banco non è, né sarà mai, un bene di consumo”.
Il provvedimento, secondo Zanibelli “ha una portata di radicale cambiamento di scenario, che coinvolge direttamente anche tutti gli elementi del sistema e le regole a esso preposte. Anche su questo il Governo deve dare risposte”.
Le prime decisioni del Governo sui farmaci “sembrano orientate più a pagare una cambiale a grandi gruppi economici - denuncia Giorgio Siri presidente di Federfarma - che a tutelare la salute dei cittadini, dimenticando che in ballo non ci sono tanto le prerogative delle farmacie quanto un importante tassello dello stato sociale, rappresentato dal servizio farmaceutico”.
Il prezzo troppo alto dei medicinali a carico dei cittadini è un problema reale per Federfarma e lo denuncia da tempo. “Portare i farmaci al supermercato - sottolinea però Siri - è una risposta demagogica e non è la soluzione”.