M.D. numero 25, 13 settembre 2006

Appunti
Dal Mmg si pretende sempre di più, il superfluo

M
i trovo parzialmente in accordo con i colleghi Stefano Nobili e Roberto C. Rossi (M.D. 2006; 24: 16) e altri che si sono pronunciati sulle competenze dei medici di medicina generale e sul come dovrebbe essere strutturato il lavoro. Non sono completamente convinto sul fatto che bisognerebbe fare il monitoraggio sistematico di primo livello su molti assistiti e delegare alle strutture sanitarie solo i casi più complessi.
Il fatto è che in tutto questo marasma di buone intenzioni non c’è mai una volta che si parli realisticamente di uno sgravio di competenze inutili, di allegerimenti burocratici che farebbero guadagnare ai Mmg tempo prezioso da dedicare al paziente.
In genere tali proposte di “surplus” di competenze sono accompagnate da promesse di incentivi economici. Ma sempre più spesso mi chiedo cosa me ne faccio di 100 euro in più al mese con 200 competenze in più, di cui molte neanche appartengono alla disciplina che esercito. La qualità dell’attività medica andrebbe organizzata non con l’aumento smodato di competenze, ma con l’ottimizzazione delle risorse.
Un ambulatorio diabetologico in un ospedale deve occuparsi di una sola prestazione e può garantire una migliore qualità, il medico di medicina generale si deve occupare di altre 200 cose nello spazio di una mattinata, oltre alle infinite minuzie e cavilli burocratici giornalieri, in ultimo anche il controllo continuo e minuzioso di ricette e prescrizioni, archiviazioni, piani terapeutici, ecc. per non parlare del solito problema della certificazione dei giorni di malattia, fonte di decine di telefonate giornaliere snervanti durante le visite: pare che sia proprio fantascienza pretendere un’autocertificazione dei primi tre giorni di assenza dal lavoro.
Personalmente non sono disposto ad accettare altri carichi di lavoro anche con incentivi economici. Desidero invece avere sempre più tempo per fare una “chiacchiera” in più con il paziente, che in moltissimi casi può evitare ricoveri o accertamenti inutili a tutto vantaggio del mio budget e di quello del Servizio sanitario nazionale.

Vittorio Principe
Medico di medicina generale, Bolzano



Visita domiciliare: eterna querelle con i pazienti

U
na delle rubriche più lette del quotidiano La Stampa di Torino è: “Specchio dei tempi”, che pubblica la corrispondenza dei lettori. Orbene, non passa giorno senza trovare la lamentela di qualche lettore sul fatto che il Mmg o il pediatra non ha eseguito la visita domiciliare, limitandosi al consiglio telefonico.
Evidentemente esiste una enorme differenza di vedute tra il paziente, che ritiene che il Mmg debba sempre correre in qualsiasi circostanza al capezzale del malato, e quella dei medici che hanno la competenza per discernere sulla necessità o meno di recarsi al domicilio del paziente: la richiesta telefonica risulta già palesemente risolubile col solo consiglio verbale, o il caso descritto impone l’accesso del paziente a indagini diagnostiche non eseguibili a domicilio.
Ma intanto l’incomprensione continua. In altri Paesi europei non esiste la pratica della visita domiciliare: per esempio, Svizzera, Irlanda, Paesi Scandinavi.
Un approfondimento e un ritorno al dibattito sul tema aiuterebbe a chiarire ulteriormente la situazione, così come risulterebbe anche molto utile sapere se, in Europa, la visita domiciliare si paga, o è “compresa nel prezzo”!

Guido Collo

Medico di medicina generale, Torino


Il cibo, la mente e le malattie metaboliche

"D
ottore, lei non ci crederà, ma io non mangio niente”. È un’affermazione che paradossalmente mi tocca sentire ogni volta che mi sono dati in visione i risultati di esami di laboratorio e comunico ai miei assistiti valori fuori norma inerenti colesterolo e trigliceridi.
Dopo questa affermazione mi viene spontaneo volgere lo sguardo all’interlocutore e diventa imbarazzante andare a chiedere a queste persone, uomini o donne che siano, come abbiano potuto raggiungere livelli così sproporzionati di sovrappeso, mangiando poco. La risposta è scontata: “Dottore, sono i dispiaceri”.
Ci sono, poi, quelli di costituzione longilinea, i quali forti del loro aspetto corporeo sono convinti che per loro a tavola tutto è concesso, perché ritengono di avere un metabolismo che “ brucia tutti i grassi”. E allora spiego che non c’è nulla di più errato, perché sia i “longilinei” che i “robusti” se presentano fattori di rischio ben conosciuti (fumo, diabete, ipertensione ecc.) hanno la stessa probabilità di sviluppare patologie di natura cardiovascolare.
Il problema è molto serio e non va affatto sottovalutato, bisogna percepire che una buona fetta della cosiddetta educazione sanitaria, in cui ci stiamo impegnando da anni, è rappresentata dall’educazione alimentare. Andrebbero modificati gli stili di vita e l’approccio psicologico verso il cibo. Sembrerebbe la scoperta dell’acqua calda, ma è difficile far comprendere che il corretto comportamento alimentare potrebbe dare una qualità e una aspettativa di vita migliore all’insegna della salute, con un non indifferente risparmio sulla spesa sanitaria in accertamenti, ricoveri, terapie o quant’altro. È paradossale come il cibo, che è l’elemento più importante al mondo, può nello stesso tempo determinare la morte per carenza in aree sottosviluppate della terra, o la morte per overdose (da cibo) nelle aree più interessate dal benessere.
Dovremmo imprimere sui pacchi di pasta, sulle confezioni dei dolciumi o sugli insaccati, al pari delle sigarette: “Troppo cibo può nuocere gravemente alla salute”.
Attualmente i mass media insistono continuamente su come e quali diete fare, insigni dietologi e specifici programmi TV condotti, a volte, da persone che non hanno nessuna competenza in materia, sono pronti a dare tutti i consigli alimentari su cosa è giusto o non è giusto fare.
Per carità, tutto ciò non mi scandalizza, ma il medico di famiglia deve rivendicare il suo giusto ruolo, che è (e deve essere) centrale, deve rappresentare l’ago della bilancia, il punto di riferimento e di verifica a cui i cittadini si affidano.
La competenza del medico di famiglia nasce dalla corretta informazione scientifica, dal counselling offerto ai propri pazienti, che si basa sulle più recenti metodologie dietetico-alimentari consigliate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Le società moderne, fondate su benessere e consumismo, conducono inevitabilmente all’instaurarsi nella popolazione di patologie legate all’accumulo, e spesso queste vanno a braccetto con la sedentarietà.
È facile constatare che ci muoviamo poco e non si ha mai tempo per potersi dedicare ad attività ginnico-sportive, chiuse o all’aperto, che contribuirebbero a elevare i nostri sempre più precari livelli di colesterolo HDL. Sarebbe bello potere scoprire, un giorno, l’esistenza del cibo che pulisce le arterie, in grado di permetterci di uscire definitivamente dal tunnel degli anti-dislipidemici e anti-placca, ma per ora è pura fantascienza.

Francesco Nicolosi
Medico di medicina generale, Paternò (CT)

Punture- Ricette, valore legale e sanzioni
Il Decreto Legislativo n. 219 del 28 aprile 2006 (Attuazione della direttiva 2001/83/CE e modifiche relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano), pubblicato nella G.U. n. 142 del 21 giugno 2006 (Supplemento ordinario n. 153)
contiene all’art. 89 alcune norme per la prescrizione di “medicinali soggetti a ricetta medica da rinnovare volta per volta”. Logica vuole che il medico che non rispetta queste norme produca un documento privo di efficacia: in sostanza, anzicché avere scritto una ricetta, ha scritto una pagina di letteratura di infimo livello. Ma la logica non appartiene al legislatore. Infatti più avanti, all’art. 148, il comma 9 recita: “Salvo che il fatto costituisca reato (mai saputo che scrivere letteratura di infimo livello fosse reato...), il medico che prescrive un medicinale di cui al comma 1 dell’art. 89 senza attenersi alle modalità di cui al comma 4 del medesimo articolo è soggetto alla sanzione amministrativa da trecento a milleottocento euro”. E perché mai? Se io medico di famiglia scrivo una ricetta priva di valore legale, peggio per me che mi troverò davanti un paziente inferocito, di ritorno dalla farmacia dove il farmacista gli avrà detto di farsi regolarizzare la ricetta. Dov’è il problema per lo Stato e per l’autorità in genere?

Antonio Attanasio
Medico di medicina generale, Mandello del Lario (LC)