M.D. numero 25, 13 settembre 2006

Dialoghi clinici
La gestione e il percorso terapeutico nel paziente obeso
Medicina Generale a cura di: Gian Paolo Andreoletti, Medico di medicina generale, Vertova (BG)
Specialistica a cura di: Roberto Ostuzzi, Presidente ANSISA (Associazione Nazionale Specialisti in Scienza dell'Alimentazione), Medico psicoterapeuta, specialista in Scienza dell'Alimentazione Responsabile Centro Disturbi Alimentari Casa di Cura Villa Margherita, Arcugnano (VI)

La diversità tra medicina generale e specialistica può essere fattore di arricchimento della pratica medica, se a prevalere è il momento dialogico, all’insegna della complementarietà, focalizzata sulle esigenze concrete che la gestione di una problematica fa emergere nella quotidianità.
M.D. propone, di volta in volta, un confronto tra le due discipline, fatto di domande precise e di risposte condivise.

Di fronte a un soggetto con gravi problemi di sovrappeso il medico di medicina generale si trova costantemente a dovere affrontare un difficile dilemma: insistere nel proporre (spesso dopo tanti inutili tentativi) una dieta fortemente ipocalorica, generalmente poco accetta al paziente, o ricorrere a terapie farmacologiche, talora gravate da effetti collaterali anche importanti? Come sempre, solo un’accurata analisi delle specifiche caratteristiche cliniche dell’assistito e un’attenta valutazione della sua peculiare personalità consentono di intraprendere il percorso terapeutico più corretto

Quando il sovrappeso può essere considerato patologico?
Non solo l’obesità, ma anche il sovrappeso rappresenta un fattore di rischio per le patologie cardiovascolari e metaboliche. Si è visto che il sovrappeso si associa a un maggiore rischio di diabete mellito, ipertensione e cardiopatia ischemica. In questo senso la distribuzione del grasso è ancora più importante del peso corporeo.
Il grasso viscerale, infatti, rappresenta un fattore di rischio a prescindere dell’entità dell’eccesso di peso. Per tale motivo la circonferenza addominale rappresenta un importante parametro che può indicare il livello di rischio del soggetto.

Quali devono essere le caratteristiche di una dieta ipocalorica da prescrivere a un paziente obeso?
L’idea stessa della “prescrizione di una dieta” implicitamente esclude la partecipazione attiva del soggetto al suo percorso di cura.
Oggi si preferisce parlare di educazione ad una sana alimentazione, che pone alla base dell’intervento terapeutico il tentativo di cambiare lo stile di vita e quindi di incidere non solo sullo stile alimentare ma anche sull’attività fisica, sul modo di gestire il tempo libero, come si fa la spesa, sul ricettario della propria cucina. Si è visto che indicare in modo direttivo a un soggetto come e quanto dovrebbe mangiare non solo non è utile, ma spesso non fa che accrescere il senso di frustrazione che una cura impossibile produce.
Inoltre oggi nella cura dell’obesità ci si pone come obiettivo possibile un calo di peso del 10%; si è visto che cali superiori sono difficilmente mantenibili nel tempo.
I cosiddetti fattori di controregolazione sono talmente forti che cali di peso consistenti sono quasi sempre seguiti da fasi di perdite di controllo e recuperi rapidi del peso perso.

Quando a una dieta ipocalorica occorre aggiungere una terapia farmacologica?
Le situazioni in cui la prescrizione di un farmaco per la cura dell’obesità può avere un preciso razionale sono molteplici. È innanzitutto opportuno ricordare che non è facile, all’inizio della cura, individuare i casi che meglio possono giovarsi di un aiuto farmacologico. Non ritengo comunque utile procedere con la prescrizione del farmaco nei primi controlli e nelle prime fasi della cura.
Il paziente va capito e studiato per meglio individuare risorse e problematiche. Una situazione in cui il farmaco può essere utile è certamente quella legata al momento di “stallo”.
Il soggetto ha perso peso, ma in modo insufficiente; non riesce a proseguire nella cura e incontra difficoltà nel migliorare il suo peso; si presenta motivato a proseguire la cura, ma sfiduciato. Ecco che un aiuto farmacologico può aiutarlo a trovare motivazione nella cura che sta attuando.
Un altro caso va individuato in quelle situazioni in cui il soggetto non riesce, pur dicendosi e sentendosi motivato, a trovare il giusto “ritmo”. Ha delle piccole perdite di controllo, l’umore è sul versante depressivo ancorché in misura non grave, fatica a trovare la giusta motivazione.
Un altro caso ancora si configura quando vi sia un deficit di consapevolezza. In queste circostanze, un farmaco che riesca a far comprendere al soggetto obeso che ha esagerato con l’assunzione di grassi può essere utile. Si sfrutta in questi casi l’effetto “sentinella” che alcuni farmaci posseggono (per esempio orlistat) per cui il soggetto scopre che ha esagerato con i grassi proprio dalle conseguenze che il farmaco provoca a livello intestinale. Certamente la decisione di prescrivere una terapia farmacologica dovrebbe sempre accompagnarsi alla scelta di una precisa strategia e di un’adeguata tattica che si è deciso di adottare e della quale il paziente deve essere informato. Il farmaco può essere prescritto in modo continuativo, a fasi alterne o anche con altre modalità.

Quali sono le indicazioni, le controindicazioni e gli effetti collaterali della terapia con orlistat?
Gli effetti collaterali dell’orlistat sono in verità modesti e non pericolosi sul piano clinico. Il meccanismo d’azione di questo farmaco è legato al mancato assorbimento dei grassi della dieta.
Se la quantità di grassi presenti nella dieta è elevata le conseguenze sono rappresentate da una importante e spesso fastidiosa steatorrea. Certamente il paziente obeso va sempre avvertito di quanto potrà accadere nel caso ecceda con i grassi nella sua dieta: andrà incontro a meteorismo, diarrea, sino a una possibile incontinenza fecale.
Ma non dobbiamo dimenticare che alcuni di questi effetti possono anche rappresentare un segnale che il paziente può cogliere per cercare di motivarsi a cambiare il suo stile alimentare. Se è presente diarrea significa anche che c’è stato un eccesso di assunzione di grassi e il paziente, eliminandoli con le feci, otterrà il duplice effetto di aumentare la consapevolezza dell’errore alimentare e di ridurre la quota calorica assorbita. Comunque, è sempre opportuno prescrivere orlistat dopo avere informato ed educato il paziente a ricercare abitudini alimentari più contenute in termini di grassi.

I farmaci anoressizzanti hanno ancora un ruolo nella terapia farmacologica dell’obesità?
Oggi gli anoressizzanti sono presidi farmacologici che non vengono più utilizzati. Il loro ruolo è stato limitato, per non dire eliminato, dall’arrivo di nuovi farmaci più specifici per le strategie terapeutiche e con meno effetti collaterali. Anche i farmaci che agiscono soprattutto a livello del sistema nervoso centrale sembrano indurre maggiormente il senso di sazietà che ridurre quello della fame.
Questi farmaci possono avere qualche effetto collaterale a livello di pressione arteriosa, ma se usati con attenzione possono avere la loro utilità.
Gli anoressizzanti classici, invece, possono provocare effetti collaterali anche importanti, ma soprattutto possono indurre dipendenza senza peraltro ottenere risultati duraturi nel tempo.

La psicoterapia può avere un ruolo nella terapia dell’obesità?

La domanda sottende più aspetti sui quali è opportuno fare chiarezza. Per prima cosa direi che un approccio “psicologico” è sempre necessario, se con questo si intende la capacità per chi si occupa di obesità di lavorare sulla motivazione e sul colloquio che sappiano rinforzare e far partecipare il soggetto obeso alle scelte terapeutiche.
Come secondo punto vorrei sottolineare la necessità di non considerare alternativi e non conciliabili gli approcci medici e farmacologici alla cura psicologica.
Infine, non dobbiamo dimenticare che molti casi di obesità sono complicati da un quadro psicopatologico importante.
Tale quadro psicologico è a volte causa, ma più spesso conseguenza, dello stato di obesità, condizione che si accompagna a un forte stigma nelle società occidentali.
Occorre sempre, nei casi dubbi, un inquadramento preciso: non sono rari i casi di grave depressione o di un disturbo di personalità. La gravità dell’obesità, la presenza di disturbi del comportamento come le abbuffate compulsive, ovvero momenti di perdita di controllo con un’iperalimentazione incontrollata, un umore deflesso, problematiche relazionali sono segni che vanno sempre attentamente valutati e per i quali è sempre preferibile una consulenza psichiatrica.
Oltre a questo, la psicoterapia può avere un ruolo di grande aiuto nel percorso di cura del soggetto obeso, in particolare quando è necessario aiutarlo ad affrontare i problemi legati alla bassa autostima, al senso di inefficacia, all’anassertività, alla paura del fallimento, alla necessità di acquisire abilità comportamentali che la stessa obesità e i tentativi di cura mal condotti possono avere compromesso.
Un valido e ben strutturato approccio psicologico di tipo cognitivo comportamentale rappresenta spesso un valido aiuto per il soggetto obeso, che può in questo modo aumentare il suo senso di efficacia e la sua motivazione al cambiamento.
Inoltre, come si è accennato in precedenza, un valido approccio psicologico di tipo psico-educazionale può essere attuato nell’obesità dell’adolescente con incontri, anche di gruppo, che vedano coinvolta la famiglia.

Quando è indicato un intervento chirurgico?
La soluzione chirurgica rappresenta sempre una sconfitta della terapie medica. Va attentamente valutata, poiché non vi sono solo effetti positivi. La chirurgia bariatrica non è una scelta facile, non è esente da rischi e non garantisce il calo ponderale a lungo termine. La selezione del paziente deve essere precisa, accurata e condotta da esperti. Quando vi siano importanti situazioni legate a un disturbo del comportamento alimentare o ad un quadro di psicopatologia, la chirurgia bariatrica dovrebbe sempre essere sconsigliata. Va ricordato anche che l’intervento chirurgico di per sé non rappresenta e non offre certezza del risultato. Le indicazioni alla chirurgia possono essere individuate nell’obesità grave (BMI >35-40), nella presenza di complicanze significative (diabete, ipertensione, cardiopatia) che non rispondano alle terapie mediche, nella presenza pregressa di validi e ben condotti tentativi di dimagrimento che non abbiamo conseguito gli attesi risultati. Alcuni affermano che la chirurgia bariatrica ottiene risultati difficilmente raggiungibili con la terapia medica: questo è vero, ma vi sono a questo proposito molte obiezioni. Si deve tenere presente che i risultati della terapia chirurgica non sono legati all’intervento in sé, ma al fatto che esso induce uno stato di malnutrizione legato a una sindrome da malassorbimento. Non si dimentichi che di questo si può morire: non sono infrequenti i casi di decessi dovuti alla malnutrizione o alle conseguenze di un intervento maleseguito.
Inoltre, è oramai dimostrato che per ridurre i danni dell’eccesso di peso non è necessario cercare rovinose perdite ponderali, ma è sufficiente ottenere un decremento del 10% circa del peso iniziale. Questo risultato non è difficilmente raggiungibile con un’accorta terapia medica mirata al miglioramento dello stile di vita e del comportamento alimentare.

Quali sono gli interventi chirurgici da consigliare a un paziente con obesità grave?
Il tipo di intervento chirurgico è in relazione alla gravità del sovrappeso e alla capacità di collaborare del paziente obeso.
Gli interventi sono sostanzialmente di due tipi: quelli di tipo restrittivo, che determinano prevalentemente una riduzione dell’introito calorico (sono gli interventi che interessano soprattutto lo stomaco) e gli interventi che inducono prevalentemente uno stato di malassorbimento, che separano il tragitto del cibo da quello dei succhi digestivi. Molti di questi ultimi, attuati anche con resezione di parte dello stomaco, sono di tipo misto restrittivo-malassorbitivo. Si tende a usare quelli restrittivi su soggetti con minore eccesso di peso e a riservare quelli malassorbiti o misti ai pazienti con obesità di grado più elevato.
Una terapia finalizzata al calo ponderale può diminuire il rischio di altre patologie e determinare
un positivo impatto di tipo farmacoeconomico?
Per ottenere un significativo calo dei fattori di rischio e un conseguente risparmio economico è sufficiente un calo contenuto nel 5-10% del peso iniziale. In questo modo si configura, nella maggior parte dei casi, un miglioramento degli indici metabolici ed emodinamici con riduzione, se il caso, dei farmaci utilizzati per le altre e diverse patologie associate all’obesità. Si è calcolato che la riduzione ponderale del 10% può comportare, per un paziente con obesità complicata, il risparmio di circa 1000 euro di spesa di farmaci all’anno.
Malauguratamente questo calo è un risultato accettabile per il medico, ma spesso non lo è per il paziente, che va a questo proposito informato e coinvolto nel percorso di cura e nei possibili risultati attesi. Solo se vi è una condivisione tra medico e paziente la strategia terapeutica può portare a risultati validi e duraturi nel tempo.

Come va gestito clinicamente un adolescente con importanti problemi di sovrappeso?
L’adolescente sovrappeso e/o obeso rappresenta un problema di non facile approccio sul piano terapeutico. L’adolescente obeso ha prognosi migliore poiché, per avere un valido risultato, è spesso sufficiente mantenere stabile il peso mentre il giovane cresce in altezza, ottenendo così un miglioramento dell’indice di massa corporea (BMI). Nell’adolescente obeso è perciò possibile ottenere risultati significativi senza ricercare il calo di peso, non sempre facile da conseguire, anzi a questa età forse anche pericoloso.
La classica prescrizione della dieta è risultata un approccio inefficace nell’adulto, ma nel ragazzo è spesso controproducente. La difficoltà - ma anche l’unica strada possibile - della cura sta nella necessità e nella capacità di coinvolgere la famiglia. Questo tentativo non è facile, poiché spesso viene vissuto come un segnale di colpevolizzazione. Anche inconsapevolmente i genitori tendono a scaricare sul ragazzo “la colpa” del suo peso eccessivo, affermando che non ascolta i loro suggerimenti.
Non è facile, ma è indispensabile, far comprendere ai genitori quanto sia importante la loro partecipazione attiva al progetto di cura, che deve prevedere il coinvolgimento in attività di gioco, il cambiamento dello stile di vita e alimentare familiare, un diverso utilizzo del tempo libero, che non deve essere dedicato principalmente ad attività sedentarie (TV, play station, ecc). È chiaro che i genitori devono essere disponibili a mettersi in gioco, poiché i cambiamenti richiesti coinvolgeranno anche loro.