M.D. numero 25, 13 settembre 2006

Editoriale
Cure primarie: soluzioni auspicate e ritardi cronici


Fragili o portanti? Essenziali o male organizzate? Le cure primarie sembrano destinate ad assumere, anche in questo autunno che si annuncia scoppiettante, uno dei ruoli di maggiore rilevanza nel dibattito sulla salute del futuro nel nostro Paese, e non solo del nostro. Lo ha ricordato nelle ultime settimane l’Osservatorio Europeo sulle Politiche e i Sistemi Sanitari: c’è una tensione irrisolta in tutta Europa tra la debolezza dell’assistenza extra ospedaliera e l’intenzione della politica di assegnarle, almeno dagli atti formali, funzioni critiche strategiche nei servizi sanitari regionali.
Ovunque, infatti, il principale polo d’attrattiva per investimenti e personale è l’ospedale. Per le cure primarie, sempre secondo il rapporto, le sfide attualmente in pista sono: gestire la rete, come nodo di risorse o come “gatekeeping”, ovvero come “portiere” del sistema, che richiede però da parte dei medici competenze manageriali e di coordinamento che troppo spesso non sono adeguatamente incentivate e monitorate. In molti Paesi d’Europa si avverte anche una questione di “credibilità” che ancora non tange i medici di famiglia italiani, ma che va monitorata, soprattutto considerando l’aumento avvenuto negli ultimi anni di cause civili contro i medici anche in Italia. Sempre secondo lo studio, l’informatizzazione è sempre più necessaria, ovvero la possibilità di essere in rete effettivamente con il resto del sistema, potendo accompagnare i pazienti e i loro dati sensibili attraverso tutto il percorso sanitario e offrendo al sistema una disponibilità a lasciarsi verificare e valutare essenziale per una progressiva qualificazione della spesa.
L’Italia, da questo punto di vista, è all’ennesimo bivio: pur avendo implementato queste esigenze in documenti programmatici precisi del Ssn, è in affaticamento rispetto alla loro concreta e uniforme attuazione. Il Governo Prodi ne ha preso atto non senza un certo clamore, annunciando certezze di bilancio, pur nei sacrifici che si annunciano dolorosi, insieme a vincoli per le nuove risorse.
Si parla anche dell’implementazione prossima di nuovi modelli di cure, come le Case della Salute o le nuove società miste pubblico-privato, che attingono a nuove fonti tentando così di continuare a garantire
i livelli minimi di assistenza. Il punto doloroso è il ritardo che permane in alcune realtà locali: difficoltà di governo della spesa, lentezze nell’implementazione locale di una Convenzione tutta già da ridiscutere, contraddittorietà dei modelli organizzativi adottati localmente sono soltanto alcune delle insidie sulla strada delle nuove cure primarie.
Oggi, con il decreto di liberalizzazione a firma Bersani, approvato nei giorni caldi dell’estate, si parla infatti di allargamento a società miste pubblico-private delle reti e delle associazioni della medicina generale. Cosa succederà, però, se questi capitali privati dovessero non trovare economicamente conveniente la gestione della salute, almeno in alcune parti del Paese? Che cosa ne sarebbe della relazione fiduciaria e a lungo termine con il paziente e la sua famiglia? Un interrogativo destinato a rimanere valido per ben più di una stagione.