M.D. numero 25, 13 settembre 2006

Focus on
Sanità: un’estate da non dimenticare
di Monica Di Sisto

Un’estate rovente per la sanità italiana: il Governo ha approvato una manovra che liberalizza professioni e farmaci da banco; ha pubblicato un Documento di Programmazione Economica e Finanziaria con molte idee ben definite su come rendere più snello e sostenibile il Ssn, a partire dalla medicina di famiglia e nel frattempo si è registrata una nuova impennata della spesa farmaceutica. Sono riapparse alle cronache anche vecchie conoscenze per i Mmg italiani come le “Case della salute”, versione in salsa toscana delle Utap di berlusconiana memoria, rilanciate dal ministro della Salute Livia Turco come nuovo pilastro del sistema pubblico.
I mesi estivi che ci lasciamo alle spalle hanno visto, dunque, le cure degli italiani stabilmente nell’occhio del ciclone, sia dal punto di vista degli investimenti sia del modello organizzativo e l’autunno si preannuncia cruciale per la definizione del profilo della rete delle cure che verrà.

DPEF: medicina di famiglia, cambio di rotta
Il Documento di programmazione economica e finanziaria 2007-2011 mette il dito della piaga della medicina di famiglia senza tanti complimenti: se la spesa pubblica per la salute cresce dal 2000 al 2005 dal 5.7% al 6.7% del prodotto interno lordo nazionale è colpa dell’invecchiamento progressivo della popolazione, ma anche dell’inappropriatezza di alcune prestazioni dovuta, in parte, si legge nel testo, “all’organizzazione ancora prevalentemente burocratica della medicina di base”, oltre che alla carenza di assistenza domiciliare e integrata, alla spesa farmaceutica “esorbitante” di alcune Regioni.
L’ottimizzazione delle prestazioni richiede tra l’altro, secondo il Dpef approvato, la riorganizzazione e il potenziamento della medicina generale. A questo fine, per la medicina di famiglia si pongono, sempre secondo il documento, almeno due problemi urgenti:
1. mettere in rete i Mmg, utilizzando la rete informativa in via di realizzazione mediante l’uso della tessera sanitaria, in modo da riportare sotto controllo la spesa farmaceutica;
2. riorganizzare la medicina di base in studi medici associati, da dotare di attrezzature diagnostiche e a cui affidare un’intensa azione di assistenza domiciliare, notturna e festiva, che consenta di decongestionare i pronto soccorso e diminuire il numero dei ricoveri impropri.
Il fine di migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e garantire sia la loro universalità sia l’esigenza che esse siano fruite dalle persone in effettiva necessità suggerisce, secondo il Dpef, “di non escludere forme di compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini”. In questo ambito, ha precisato però il ministro Livia Turco “valuteremo ipotesi e meccanismi di compartecipazione alla spesa sanitaria senza pregiudiziali, ma anche senza caricare di chissà quali aspettative finanziarie questi eventuali contributi dei cittadini. Essi - ha sottolineato alla stampa - devono avere un significato e una finalità di responsabilizzazione del medico e del cittadino. Il finanziamento del sistema deve infatti restare incentrato sulla fiscalità generale e quindi sulla solidarietà contributiva universalistica e proporzionale alle singole capacità di reddito”.

Ordini: liberalizzazioni sì, ma no alla giungla


La FNOMCeO, nel corso dell’ultimo Consiglio nazionale, ha messo alla gogna il decreto Bersani sulla liberalizzazione degli Ordini professionali soprattutto perché si è andati a regolamentare questioni delicate come le tariffe, la pubblicità e le caratteristiche delle società professionali, da anni oggetto di una richiesta dell’Ordine stesso di confronto con l’Esecutivo per una loro revisione. Dopo un’accurata azione di pressione sul Governo, con un maxi-emendamento il decreto Bersani sulla liberalizzazione delle professioni è stato “ammorbidito” nella direzione auspicata dalla FNOMCeO. Il provvedimento, infatti, non cancella più le tariffe minime, ma la loro “obbligatorietà”, lasciando libero l’Ordine di potere prevedere o meno quei “tetti” verso il basso che oggi sono obbligatori.
Cambia anche il capitolo sulla pubblicità sanitaria, da oggi possibile. I medici potranno dichiarare tutte le loro peculiarità professionali, confermando, dunque, la direzione imboccata verso una decisa liberalizzazione del settore, ma sulla veridicità e la scientificità delle affermazioni veglierà l’Ordine. Le diffidenze dei medici si concentrano sul capitolo della liberalizzazione delle società professionali: la paura è che entri in sanità chi ha solo interessi di lucro, come le società di capitali, anche se è chiaro a tutti che senza l’ingresso di capitali esterni nel sistema, le risorse sono davvero all’osso. “Ci rivedremo su questo tema al momento della riscrittura della legge sulle professioni”, ha garantito Amedeo Bianco, presidente della FNOMCeO, certo che anche in quella sede la sua parola avrà il giusto peso.
Tra le categorie più preoccupate dalle liberalizzazioni nella Sanità troviamo i medici di medicina generale, che lamentano il fatto di non essere stati ascoltati al momento della predisposizione dei provvedimenti, ma nei fatti coinvolti dalle nuove regole. I Mmg temono l’utilizzo di questo metodo per “allargamenti” sul territorio della rosa degli attori in gioco, e si considerano una delle categorie più penalizzate dalla nuova legge.“È ormai consuetudine che il mese di agosto porti qualche fregatura per i Mmg - ha commentato amaro in una lettera ai suoi iscritti il segretario della Fimmg Mario Falconi. Non siamo né stupiti né meravigliati, ma pronti per la “campagna d’autunno”.

Case della salute: in dirittura d’arrivo?


Il ministro della Salute Livia Turco, nel presentare il proprio programma di lavoro alla Commissione Affari Sociali della Camera aveva definito le “Case della salute” “una struttura polivalente e funzionale, capace di erogare materialmente l’insieme delle cure primarie e di garantire la continuità assistenziale con l’ospedale e le attività di prevenzione”. La generalizzazione sul territorio nazionale dell’esperienza delle “Case della salute” è stata il cavallo di battaglia del ministro in estate: “la mia grande sfida di legislatura - ha spiegato alla stampa - è quella di porre il cittadino nelle condizioni di essere protagonista del sistema sanitario attraverso una profonda riorganizzazione della medicina delle cure primarie. Per farlo ho pensato alla necessità di dare una “casa”, anche fisica e tangibile, a questo settore e l’ho chiamata la “Casa della salute”, a intendere il luogo dove concentrare esperienze, competenze, servizi e coordinamento di tutte quelle forze professionali, tecniche e logistiche oggi disperse sul territorio e difficilmente “visibili” e raggiungibili dal cittadino”.
Attualmente, secondo il ministro, è il cittadino, al di fuori dell’ospedale, che deve “cercare” la prestazione appropriata, non è il servizio sanitario ad andare incontro alle sue esigenze. “Con queste strutture - ha chiarito Livia Turco - intendo dare un’identità precisa a tutta la medicina territoriale in collegamento e in rete con l’ospedale, ma con una sua specificità organizzativa, gestionale e di programmazione dei servizi sulla base delle diverse esigenze delle comunità”.
Il sindacato dei medici italiani (CumiAiss-Unamef-Sem-Api), sulle trattative decentrate della medicina convenzionata, ha ricordato però al ministro che al momento “solo cinque Regioni su venti hanno concluso le trattative regionali per la medicina di famiglia”. La segreteria sindacale denuncia “il ritardo e l’andamento del tutto insoddisfacente delle trattative regionali per l’integrativo della convenzione nazionale unica per la medicina generale”: la realtà descritta racconta che poche sono state le Regioni che si sono presentate al tavolo con una visione strategica e con risorse da mettere in campo per raggiungere almeno alcuni limitati obiettivi di implementazione strutturale e funzionale della rete di cure primarie e del territorio. “Sirchia insisteva sulle Utap - ha commentato amaro Falconi - la Turco propone la Casa della salute, Bersani apre ai soci di capitale. Si parla sempre di sanità territoriale, ma senza confrontarsi prima sulla questione.”

Farmaci da banco: croce e delizia


L’appuntamento al tavolo per il rinnovo della convenzione avrà come primo paletto l’assoluta garanzia che il banco farmaceutico della grande distribuzione non potrà mai trasformarsi in una farmacia. Il temporale estivo che ha visto l’apertura per legge nei supermercati di veri e propri “corner della salute”, dove sarà possibile acquistare farmaci da banco e senza obbligo di prescrizione con uno sconto medio del 25% rispetto ai prezzi praticati finora dalle farmacie, si è risolto con un rinvio programmato del confronto più ampio sul ruolo delle farmacie nel nostro sistema sanitario. In un accordo, che è giunto in extremis a sedare scontri e scioperi dei farmacisti contro il decreto delle liberalizzazioni a firma Bersani, il ministro Livia Turco si è impegnata con Federfarma a garantire un forte riconoscimento del ruolo delle farmacie all’interno del Ssn; la conferma convinta della “adeguatezza dell’attuale quadro normativo che garantisce una presenza capillare ed equilibrata delle farmacie nel territorio” (ovvero, la pianta organica delle farmacie nelle città non si tocca); la conferma che il servizio farmaceutico “rientra di diritto tra le competenze del ministero della Salute e non di altri dicasteri”.
Resta il fatto che, per esempio, la Coop è pronta a cavalcare l’onda delle liberalizzazioni: entro l’autunno saranno aperti 26 punti vendita.
“Entro il 2007 - ha spiegato il presidente Coop-Ance, Aldo Soldi - dovremmo arrivare a 150 aperture”, riguardo al fatturato, esso potrebbe aggirarsi intorno ai 250-300 mila euro a corner, legato alla vendita di circa 300 prodotti tra farmaci OTC e SOP, includendo anche il parafarmaceutico. Secondo i vertici Coop si potrà coprire così l’80% della domanda.
Secondo Claudio Jommi, dell’Osservatorio Farmaci Cergas Bocconi, intervenuto di recente sulle colonne del Sole 24 Ore, “le azioni sulla domanda possono riguardare il mercato etico, cioè sensibilizzare i pazienti e, soprattutto, i medici all’uso appropriato dei farmaci senza obbligo di prescrizione, nel senso di orientare il paziente a un uso appropriato di tali farmaci e al ricorso all’automedicazione, nel caso di patologie non gravi”. Uno spostamento rilevante, quello dall’utilizzo di farmaci a carico del Ssn all’automedicazione, perché, sempre secondo Jommi, “il mercato dei farmaci senza obbligo di prescrizione potrebbe contribuire a coprire il 25-30% dello sfondamento previsto, che dovrebbe assumere valori piuttosto consistenti”.
Un’attesa davvero da non trascurare per la farmaceutica pubblica visto che, anche quest’anno, la stagione estiva ha visto un altro rialzo della spesa a carico del Ssn. I dati aggiornati della spesa di settore, pubblicati dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali ha decretato che ben sei Regioni italiane hanno ancora una spesa del tutto fuori controllo. In testa c’è la Puglia, che ha registrato un aumento del +20.6% nei primi 5 mesi dell’anno, seguita dalla Calabria, con un +20%, dal Lazio (+14.4%), dalla Sicilia (+14%), seguita da Abruzzo e Piemonte, che hanno fatto registrare rispettivamente aumenti del 13.8% e del 13%. Si guarda ora con timore alla manovra Finanziaria del prossimo autunno, con la certezza che le misure di riduzione della spesa potrebbero essere ancora più drastiche che nel passato.
Esplicito l’obiettivo dell’accordo tra il ministero della Salute e Federfarma: evitare che le nuove norme “accentuino gli aspetti commerciali della dispensazione” a danno della salute. E l’impegno che il ministro Turco si è assunto va nella stessa direzione: di garantire che la presenza del farmacista nei corner non dovrà servire ad aggirare la pianificazione territoriale; che sarà fatta chiarezza tramite l’Aifa sui criteri di classificazione di SOP e OTC. Si cercherà, inoltre, il modo di porre un limite al numero di società titolari di farmacia di cui può essere socio un farmacista, “per evitare la formazione di catene”.

Prospettive diverse in Gran Bretagna


Un suggerimento diverso arriva dalla Gran Bretagna, dove le farmacie chiedono di aprire la porta a medici di famiglia e specialisti. Sembra infatti che il colosso dei corner Boots affitterebbe lo spazio nei propri negozi a prezzi di favore al NHS, il sistema sanitario nazionale britannico, in modo da garantire una “location” al servizio sanitario nei centri cittadini. Potrebbe poi offrire un servizio in più, garantendo l’apertura degli ambulatori di base nei weekend per le emergenze.
Il supermercato dei farmaci diventerebbe, così, un vero presidio territoriale medico, con tanto di medico di famiglia dietro al bancone, a consigliare, intervenire, visitare, effettuando “dal vivo” quel ruolo di educazione, ottimizzazione e spostamento dei consumi farmaceutici tanto raccomandato dagli specialisti del settore. Attenti, però, mettono in guardia i sindacati d’Oltremanica lanciando un messaggio forte e chiaro alla British Medical Association: “aprire ai privati potrebbe volere dire, in sostanza, consegnare il settore sanitario a una logica di profitto, ponendo i Mmg come ciliegina sulla torta”.