M.D. numero 26, 20 settembre 2006

Focus on
I servizi sanitari e la sfida della medicina di famiglia
di Monica Di Sisto

Dalla Lombardia all’Umbria, dal Friuli al resto d’Europa, l’organizzazione assistenziale della medicina di famiglia attraversa un momento di verifica che sta dando risultati lusinghieri. Tutte le esperienze finora in campo sembrano vincere la propria scommessa: convincono i pazienti e i decisori perché raggiungono gli obiettivi di salute condivisi e fanno risparmiare. Il vero problema resta la debolezza degli investimenti pubblici e del riconoscimento istituzionale che ancora affliggono i Mmg e il loro ruolo nel sistema, e non soltanto nel nostro Paese.

Il nuovo rapporto “Cure primarie al comando? Le riforme organizzative nell’assistenza primaria europea”, pubblicato in estate dall’Osservatorio Europeo sulle Politiche e i Sistemi Sanitari, al quale contribuiscono l’Oms Europa, sei Governi nazionali, la Regione Veneto e la Banca europea degli investimenti, si apre con un’amara verità: in Europa occidentale meno di un quarto del budget generale per la salute finisce alle cure primarie. Solo Austria e Danimarca hanno aumentato rispettivamente del 6% e del 3% i finanziamenti per le cure territoriali. Negli altri Paesi la spesa è rimasta sostanzialmente invariata per tutti gli anni Novanta. I Paesi con più di 1,4 Mmg per mille abitanti sono Austria, Belgio, Finlandia e Francia, ma la funzione di punto di riferimento dell’assistenza territoriale è indipendente dalla loro “densità” sul territorio: in Norvegia e in Italia è doppia rispetto a Olanda e Portogallo, anche se i guadagni dei Mmg rimangono in tutti i Paesi d’Europa mediamente inferiori rispetto a quelli dei colleghi ospedalieri.
“La medicina di base - spiegano gli estensori del rapporto - ha il potenziale per essere il cuore delle cure primarie, ma questo potenziale è utilizzato diversamente nei sistemi europei”.
Il ruolo dei Mmg come “primo contatto” dei cittadini con i servizi sanitari, per esempio, è risultato forte in Danimarca, Irlanda, Olanda e Regno Unito. I servizi preventivi e terapeutici offerti, invece, sono più numerosi in Austria, Danimarca, Francia, Germania, Islanda, Irlanda, Norvegia, Svizzera e Regno Unito.
Il grado di cooperazione e di coordinamento con gli altri livelli di assistenza risulta invece piuttosto carente in tutta Europa, come la continuità assistenziale, obiettivo primario per tutti i Ssn europei ma non sempre realizzata. I primi a non essere soddisfatti del proprio ruolo nel sistema sono proprio i Mmg, che risultano particolarmente scontenti nei Paesi dell’Est e in Italia, Olanda, Portogallo e Regno Unito, paradossalmente proprio in quei Paesi in cui sono maggiormente esposti a richieste e aspettative dei cittadini. Nonostante le differenze tra Paesi, cresce la legittimazione “politica” della centralità della medicina di famiglia, con un quasi unanime riconoscimento del suo ruolo fondamentale. Secondo il rapporto sono tre le sfide principali che i medici di famiglia devono affrontare:
1 gestire la rete: perché i network crescono e il ruolo di “portiere” del sistema per il Mmg si complica, combinandosi con competenze di coordinamento (anche cliniche) e di gestione di budget;
2 la credibilità: la fiducia dei pazienti nei medici di famiglia, in molti Paesi risulta debole, soprattutto in relazione a quella riposta negli specialisti.
3 information technology: c’è bisogno di integrare le nuove tecnologie nella pratica clinica, per entrare nel futuro delle cure e per sapere accettare la sfida della valutazione e della verifica da parte dell’investitore pubblico: il Ssn.


Le risposte sul territorio per l’integrazione delle cure

Il modello Sacile

In provincia di Pordenone, a Sacile, la sfida dell’integrazione delle cure ha voluto dire ripensare il modello ospedaliero in una chiave complessificata. Una specie di anticipazione di quelle “Case della Salute” che il ministro alla Salute Livia Turco vorrebbe introdurre a breve in tutta Italia come momento di coordinamento e di ottimizzazione delle cure.
Giorgio Siro Carniello, direttore del dipartimento di Medicina specialistica dell’AO S. Maria degli Angeli di Pordenone, spiegando questo modello ha sottolineato che è stata la riconversione della rete ospedaliera a modificare il ruolo e le funzioni dell’Ospedale di Sacile, nell’obiettivo di “riorientare la struttura e le risorse impiegate in modo da fornire alla popolazione sacilese alcuni servizi ospedalieri fondamentali (Azienda Ospedaliera “S. Maria degli Angeli”) e una gamma più ampia di servizi distrettuali (Assr 6)”.
Così nella ex struttura dell’ospedale coabitano e cooperano due approcci e due amministrazioni diverse. Competono all’AO “S. Maria degli Angeli” le funzioni ospedaliere residue:

  • Pronto soccorso per 12 ore.
  • Struttura complessa di medicina interna con 38 posti letto di cui 15 di post-acuti a gestione infermieristica.
  • Day hospital con 4 posti letto.
  • Ambulatori specialistici di area internistica.
  • Riabilitazione cardiologica e ambulatorio cardiologico.
  • Day surgery multispecialistica con 10 posti letto.
  • Ambulatori specialistici di area chirurgica.
  • Ambulatorio odontostomatologico.
  • Dialisi con 4 posti letto.
  • Endoscopia digestiva.
  • Laboratorio di analisi (patologia clinica).
  • Comparto di radiologia ed ecografia.

L’Ass 6 “Friuli occidentale”, invece, è presente all’interno della struttura con le seguenti funzioni:

  • Direzione distretto ovest.
  • Centro diurno semiresidenziale per portatori di handicap.
  • Centro di salute mentale.
  • Consultorio familiare.
  • Dipartimento di prevenzione.
  • Neuropsichiatria infantile.
  • Poliambulatorio specialistico.
  • Ambulatorio infermieristico.
  • Equipe multidisciplinare per l’handicap.
  • Sede per la distribuzione dei farmaci all’interno della struttura (Afir).
  • Servizio psichiatrico di diagnosi e cura con annesso Sert.
  • Rsa riabilitativa con 24 posti letto.
  • Centro residenziale per gravi o gravissimi (Dipartimento servizi sociali).
Nella stessa struttura troveranno sede, entro fine anno, le Utap costituite da Mmg, pediatri di libera scelta, medici della continuità assistenziale e specialisti.
“La presenza dei medici di famiglia e dei pediatri nel modello Sacile - ha spiegato Carniello - è l’occasione per superare definitivamente lo storico isolamento culturale, professionale e organizzativo della medicina delle cure primarie, favorendo quel processo di integrazione tra operatori sanitari e sociali, ineludibile strumento di governo della domanda di salute dei cittadini. Il modello Sacile corrisponde a un’idea semplice, ma di grande utilità per la riorganizzazione del welfare locale”.

Il network


Non c’è soltanto il modello complesso come prospettiva per i Mmg e i propri amministratori, sulla strada verso efficienza e ottimizzazione delle risorse. Il Centro ricerche in economia e management in Sanità (Crems) dell’Università Carlo Cattaneo - Liuc di Castellanza (Va), ha studiato le possibilità offerte dall’autorganizzazione in rete dei medici di famiglia scoprendo che se tutte le Regioni incentivassero il modello cooperativo sul proprio territorio, e dunque i due terzi dei 47mila Mmg italiani adottassero il sistema dei gruppi di cure primarie, il Ssn risparmierebbe circa 416 milioni di euro.
Il Crems ha messo sotto la lente la più grande cooperativa di medici di medicina generale attiva in Italia: la Gst (Gestione servizi territoriali socio-sanitari) di Legnano, che associa oltre cento medici di medicina generale nei vari Comuni della zona e gestisce dieci centri polifunzionali di cure primarie.
Il servizio pubblico ha, nei fatti, dovuto mettere a disposizione risorse concrete per far marciare la sperimentazione.
La forma cooperativa ha comportato l’incremento di alcune spese, come la remunerazione aggiuntiva dei medici di famiglia coinvolti (15.593 euro in media l’anno), l’impegno nei progetti aziendali e negli ambulatori settoriali dedicati, il riconoscimento di una quota per assistito (4,65 euro), l’indennità per la medicina di gruppo (6,975 euro per un Mmg massimalista). L’impegno di risorse e dei medici ha messo a disposizione dei pazienti una gamma di strumenti e di servizi che sembrano favorire proprio l’appropriatezza.
Nel computo finale la stima di risparmi per ogni Mmg ammonta a 40.555 euro e ogni massimalista ha in carico una spesa potenziale pari a circa 1,6 milioni di euro, per cui il Cresm segnala che il saldo finale tra le maggiori spese e i risparmi è positivo per 17.987 euro. Se esteso a tutti i medici dell’azienda sanitaria, porterebbe a un taglio della spesa di 10.554 milioni di euro. Una cifra magari non impressionante rispetto agli sbilanci di cui le cronache riportano spesso, ma significativa come valore assoluto.
I medici di medicina generale, inoltre, scegliendo la forma cooperativa sono responsabilizzati “in solido” di prestazioni ed eventuali inefficienze, rendendo più semplice e più alla pari il rapporto con la gestione dell’azienda sanitaria, che a questo punto arriva “a valle” di un percorso amministrativo e organizzativo già elaborato a livello collettivo dagli stessi medici di famiglia in prima battuta.

In Umbria è tempo di audit


Secondo quanto espresso dai dirigenti aziendali, quando l’Asl 2 dell’Umbria, la più grande delle quattro Asl territoriali della Regione (24 Comuni con 340mila abitanti) ha scelto la strada del governo clinico, ha deciso di far funzionare le équipe territoriali come “elemento strategico e ambito di espressione del governo clinico per l’assistenza territoriale”. In altre parole il governo clinico è diventato “strategia per la costruzione di appropriate relazioni funzionali tra le responsabilità cliniche e quelle organizzative per migliorare la qualità dell’assistenza”. Un concetto completamente in linea con quanto si legge nel Piano Sanitario Regionale.
“Ci si è chiesti quindi quale, fra gli strumenti operativi del governo clinico, fosse più consono e congeniale al mondo medico - ha spiegato in un intervento Daniela Ranocchia, Responsabile Uos Qualità dell’Asl 2 Umbria - e, soprattutto, fosse capace di coinvolgere nel processo di governo aziendale anche i medici convenzionati delle cure primarie”. E la scelta è caduta sull’audit clinico quale strumento più adatto a questo scopo.
L’audit clinico è una iniziativa condotta da professionisti, che cerca di migliorare la qualità e gli esiti dell’assistenza attraverso una revisione tra pari, strutturata, per mezzo della quale i professionisti esaminano la propria attività e i propri risultati a confronto con standard concordati e la modificano se necessario.
“Sperimentare l’audit clinico nelle équipe territoriali - ha sottolineato Ranocchia - è stato quindi il modo scelto per sostenere il governo clinico, riportando al centro del sistema sanità l’approccio clinico, per coinvolgere i professionisti nei processi di valutazione e miglioramento, ma anche per sviluppare forme di controllo e monitoraggio delle performance e dei risultati, secondo criteri di valutazione professionalmente condivisi”.
Ogni Nucleo di Cure Primarie (NCP) di Mmg, Pls e medici di continuità assistenziale si è messo alla prova, definendo e poi realizzando un progetto di audit clinico. Complessivamente i progetti sperimentati dalle équipe territoriali sono stati 19 e i NCP coinvolti sono stati 25. In totale l’83% dei 420 Mmg, Pls e medici di continuità assistenziale ha preso parte a un progetto.
Nove su 19 progetti di prevenzione o promozione della salute sono stati scelti dai medici delle cure primarie, e su temi epidemiologicamente rilevanti sul piano della salute pubblica come allattamento al seno, rischio cardiovascolare, malattie cardiovascolari, ictus, diabete. Anche i progetti sulla diagnosi e terapia sono stati centrati su temi di primo piano dal punto di vista dell’appropriatezza prescrittiva, come la prescrizione di antibiotici e statine.
La sfida che parte dall’Umbria è incidere sempre di più come Mmg sui contenuti del sistema: ma il Ssn è pronto a raccoglierla?