M.D. numero 26, 20 settembre 2006

Tribuna
La medicina di famiglia riuscirà a sopravvivere?
di Giuseppe Maso, Medico di medicina generale, Oriago (VE) Responsabile progetto Medicina di Famiglia dellšUniversitā di Udine

L'allarme lanciato dall’American College of Physicians: “la medicina generale, asse portante del Sistema sanitario, è a grave rischio di collasso” ha immediatamente aperto il dibattito in USA sulle criticità che investono questa disciplina e la sua pratica. A testimoniare ciò due interessanti articoli pubblicati recentemente dal New England Journal of Medicine che si interrogano sul futuro della medicina generale sulla sua possibile sopravvivenza in un sistema che nei fatti, pur affermandone la strutturale necessità, finisce per esautorarne la mission.
Se gli USA piangono in Italia certo non si ride, anzi qui la situazione è ancora più critica, ma a niente sembrano servire gli strali che salgono dalla professione, lanciati in un vuoto in cui si vanifica l’eco


Thomas Bodenheimer, docente del Dipartimento di Medicina di Famiglia di San Francisco, e Beverly Woo, medico di famiglia e professore di medicina a Harvard, sono gli autori di due articoli pubblicati recentemente dal New England Journal of Medicine (2006; 355: 861-66). Entrambi prendono spunto dall’allarme lanciato dall’American College of Physicians: “la medicina generale, asse portante del Sistema sanitario, è a grave rischio di collasso”. Partendo da questo assunto ne analizzano le possibili cause e indicano alcune vie di soluzione.
Bodenheimer in particolare si sofferma sulla insoddisfazione dei pazienti e su quella dei medici: i primi devono attendere sempre di più per una visita e i secondi sono poco gratificati dal punto di vista economico. La domanda di salute è cresciuta a dismisura fino a ostacolare la risposta assistenziale, il pagamento delle prestazioni si basa sulla quantità e non sulla qualità delle stesse.
I compiti affidati alla medicina di famiglia, con gli anni, sono aumentati tanto che il tempo necessario per soddisfare in maniera adeguata la domanda dei pazienti dovrebbe essere almeno il doppio di quello che umanamente è disponibile. Questa situazione ha comportato, dalla fine degli anni Novanta, un drastico calo di studenti che scelgono la medicina di famiglia. Eppure tutti i dati disponibili sottolineano la indispensabilità di questa disciplina per un sistema sanitario efficiente, capace anche di ridurre i costi senza intaccare la qualità del sistema.
Woo invece alla domanda se la medicina di famiglia sia ancora il miglior lavoro per un medico risponde in maniera affermativa. Come convincere i giovani a scegliere questa specialità, così interessante e gratificante? È ovvio, vanno retribuiti come i colleghi che si sono dedicati alle sub-specialità perché hanno responsabilità “controllabili” e sono più lucrative. Bisogna agire presto e bisogna agire a due livelli: a livello della disciplina (miglioramento del microsistema) e a livello del sistema sanitario (riforma del macrosistema). C’è bisogno di un nuovo accordo tra chi paga le cure e chi le eroga, mentre la medicina generale deve darsi da fare per migliorarsi. Fortunatamente a livello di microsistema (negli USA) le cose vanno bene, è stato impressionante il processo di miglioramento grazie ai nuovi percorsi di formazione e organizzativi. Sfortunatamente poco si muove a livello di macrosistema e non ci sono serie proposte per ridurre il gap esistente tra medici di famiglia e specialisti.

Un grido inascoltato


La situazione descritta nei due articoli fa eco a quanto accade nel nostro Paese. Pochi sono ancora, in Italia, gli studenti che fanno una scelta vocazionale vera. La medicina di famiglia è una realtà sconosciuta per la stragrande maggioranza degli studenti, se si escludono coloro che frequentano le Università in cui timidamente questa disciplina si sta affacciando. Con la mancanza di un riconoscimento accademico questa disciplina ha contorni indefiniti e se trova una sua collocazione nel sistema organizzativo-sociale delle cure non la trova tra le specialità. Le manca una chiara definizione di compiti e abilità che comporta una mancanza di organizzazione e di strumenti. A livello di macrosistema (sistema sanitario) non vi sono proposte né dibattiti che affrontino il problema, anzi sembra che la medicina generale non esista. Eppure le vie per migliorare il modo di erogare le cure ci sono, basterebbe applicare dei semplici principi quali efficacia, costo-beneficio, equità, sussidiarietà e merito. L’allarme lanciato negli Stati Uniti da noi dovrebbe essere enormemente amplificato, dovremmo usare le sirene. Quando l’abbiamo fatto si è spento nel vuoto, inascoltato da gran parte della professione, dal mondo accademico e dalle istituzioni.