M.D. numero 27, 27 settembre 2006

Diario ambulatoriale
Il lavoro in team in medicina di famiglia - Cronaca di una settimana
di Giuseppe Maso, Medico di famiglia - Venezia, Responsabile Insegnamento Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine
Alessandra Semenzato, Infermiera di famiglia - Venezia, Docente Scuola di Medicina di Famiglia, Università di Udine

Lunedì
"Ciao Claudio, come mai qui?” È un imprenditore cinquantenne, padre di due figli, iperattivo e con un grande senso di autostima; è sempre di corsa e sorridente. Oggi ha una faccia diversa.
“Non ho niente, ho solo bisogno di parlarti perché ho bisogno di un consiglio. Purtroppo, mi si è rotto il preservativo!”
Di solito sono gli adolescenti che mi presentano questo problema; non capisco la sua agitazione e la sua faccia madida di sudore.
“Quando è successo?”. “Quindici giorni fa.” “Ma perché non me l’hai detto prima? Esiste anche la pillola del giorno dopo.” “Ma chi se ne frega di lei, è una cubista e non credo abbia studiato dalle suore Canossiane; mi devi dire quante probabilità ho di avere contratto l’Aids! Un mio amico, un tuo collega, mi ha detto che l’incidenza sta aumentando vertiginosamente tra gli eterosessuali. Ho paura; ho una paura boia!”

Martedì

Francesco è demente da qualche anno, ha un’ottantina d’anni e fisicamente non è malmesso. Vive in un mondo tutto suo, fatto di sogni e allucinazioni. Negli ultimi tempi si è fatto sempre più fatica a dargli da mangiare; da qualche settimana rifiuta completamente il cibo. Non è disfagico, il suo cervello malato ha deciso che non deve mangiare. È dimagrito e la situazione è di emergenza.
Ho già parlato con i familiari per un’eventuale applicazione di una PEG (gastrostomia endoscopica percutanea) allo scopo di nutrirlo e loro si sono dimostrati insicuri, dubbiosi e non si sentono in grado di prendere una decisione.
Ci sono protocolli e linee guida che prendono in considerazione questi casi; vengono considerati gli aspetti etici, la spettanza di vita e anche i costi.
Ma nella pratica clinica ogni caso presenta un’infinità di variabili che lo rende unico ed è veramente difficile sapere quello che è giusto fare. Sentimenti e professione, compassione e tecnologia, natura e contro-natura. Questo è il vero problema, sapere ciò che è giusto; farlo, poi, è facile.

Mercoledì

Accompagnato dal papà, è entrato in studio Paolino. Come un eroe mi ha mostrato la doccia gessata che bloccava tutta la sua gamba destra, dalla caviglia all’anca. Ha dieci anni, è sempre sorridente ed espansivo; siamo diventati amici e ci chiamiamo vicendevolmente con lo stesso soprannome. Ha una intelligenza vivacissima come molti bambini etichettati come affetti da “ipercinesia infantile”.
Due giorni fa, giocando a calcio, è caduto sbattendo il ginocchio. Portato in pronto soccorso è stato inviato in reparto ortopedico dove gli è stato confezionato quell’enorme gesso.
È venuto in ambulatorio perché l’apparecchio gli dà fastidio e il ginocchio gli fa sempre più male. Abbiamo asportato l’apparecchio gessato e abbiamo provveduto a un’artrocentesi. Ho spiegato con accuratezza a Paolino cosa avrei fatto e lui mi ha dato il suo permesso. Non ha mosso di un millimetro la gamba mentre con l’ago entravo nel ginocchio e nemmeno quando ho aspirato il versamento ematico.
Non abbiamo memoria di un tale comportamento in un paziente adulto.
“Posso uscire?” mi ha chiesto il padre mentre eseguivo la manovra, “non posso sopportare la vista del sangue”. Dopo avere fasciato il ginocchio, ci siamo dati la mano, come tra adulti, e abbiamo detto a Paolino di salutarci il papà che attendeva in sala d’attesa.

Giovedì

Vediamo Silvia tutti i giorni da una settimana. Ha trentacinque anni, è sposata e mamma di una bambina di tre anni. Fa la commerciante, si alza alle tre del mattino e lavora fino a sera. Il suo lavoro le piace molto, nonostante il ritmo pesante.
Da un paio d’anni ha problemi col marito: dapprima riguardavano solo la convivenza quotidiana, ora abbracciano motivazioni inerenti la sfera lavorativa e anche quella economica.
Negli ultimi mesi è venuta nel nostro ambulatorio per i sintomi più svariati. A volte ha mal di gola, altre tachicardia o crisi ipertensive, altre volte ancora gastralgie o sinusite.
Sta seguendo una terapia farmacologica antidepressiva coadiuvante la psicoterapia, alla quale ha deciso di aderire da sola, dal momento che il marito si rifiuta di considerare una terapia di coppia.
“Tento il tutto per tutto, vedo se va bene. Dal momento che lui non vuole cambiare, provo io a modificare le mie reazioni, se ne sarò capace. Per lo meno sarò a posto con la mia coscienza. Una cosa mi è ora chiara: quando mi viene il mal di gola è perché soffro emotivamente, sono costretta a tenermi tutto dentro. Chiudo la gola per non parlare. Quando invece ho il mal di stomaco sono i problemi economici che mi assillano. Questo è già un gran risultato per me!”

Venerdì

Siamo abituati a vedere quotidianamente molte persone anziane che si rivolgono a noi per i controlli periodici della pressione o di alcuni parametri ematici; spesso la vera motivazione è il sentirsi seguiti e tutelati. Sanno che possono ricevere consigli, ascolto, sprone e conforto.
Ada è una di loro, settantaquatrenne in buona salute, vedova, vive sola vicino alla figlia; ha subito un intervento di protesi d’anca una decina d’anni fa, ha avuto alcuni episodi di gastrite e soffre di dolori a un ginocchio, che periodicamente la tormentano.
Negli ultimi tre mesi però ha perso l’appetito e ha avuto un notevole calo di peso. Abbiamo indagato per escludere cause organiche.
Parlando con Ada, veniamo a conoscenza del suo passato. Una vita dedicata ai familiari, bisognosi di cure e affetto, dai quali ha ricevuto in cambio amore e gratificazione. Il marito, conosciuto in giovane età, è stato per lei un importante punto di riferimento e un compagno di vita insostituibile, morto purtroppo nel momento in cui avrebbero potuto godere insieme dei sacrifici di un’intera vita. La sorella, alla quale era tanto legata, è mancata sei anni fa dopo una lunga malattia.
Non capisce perché proprio quando sta bene fisicamente, nel senso che non ha più i dolori alle ginocchia e allo stomaco, deperisce così. Ricorda che anche l’anno scorso era successo lo stesso, anche se nel giro di un mese si era risolto tutto spontaneamente.
Forse non permette a se stessa di stare bene, quasi fosse un modo di non rispettare la memoria dei propri cari. Come se la sofferenza fisica fosse l’esteriorizzazione di un dolore dell’anima che lei vuole mantenere, per tenere i propri cari defunti sempre con sé.
Parlandone forse riesce a capire che è il momento di allontanarsi da loro, di lasciarli andare. Non è una mancanza di rispetto verso di loro stare bene, finalmente, dopo una vita di sacrifici e sofferenze. L’inconscio continua a non accettare ciò che è così evidente.

Sabato

“Dottore, mi devi aiutare. È da un po’ di tempo che volevo parlartene, ma non ne avevo il coraggio”.
È il figlio ventenne di un mio compagno di scuola. “Ho un problema che riguarda la mia vita sessuale. Io piaccio alle ragazze e loro mi piacciono molto; ma riesco a fare sesso solo con le meno belle o con quelle che non mi interessano.
Quando sono con una ragazza che veramente mi piace, o molto bella, non funziona più niente”.