M.D. numero 27, 27 settembre 2006

Rassegna
Aggiornamento sulla celiachia
di Renzo Pellati - Medico Nutrizionista, Torino, Direttivo Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione

La prevalenza della malattia celiaca è superiore alle stime epidemiologiche. Negli ultimi anni vi sono stati notevoli sviluppi sia relativamente alla conoscenza dei meccanismi genetici della celiachia sia per la disponibilità di innovativi test diagnostici dotati di elevata sensibilità. La ricerca proporrà a breve anche alternative alla dieta priva di glutine

Le conoscenze attuali sulla celiachia hanno preso l’avvio grazie al pediatra olandese W.M. Dicke, il quale rilevò che durante la seconda guerra mondiale (il cosiddetto “inverno del digiuno”, 1944-45) la scarsità di cereali aveva esercitato effetti benefici sui bambini colpiti da sintomi gastrointestinali acuti. Quando arrivarono gli aiuti americani e fu reintrodotto il pane, la sintomatologia di questi soggetti riprese a peggiorare.
Il termine greco “koiliacos” era già stato introdotto da Celso nel I secolo a.C. per rappresentare gravi malattie intestinali con diarrea ribelle. Nel I secolo d.C. Areteo di Cappadocia descrisse una sindrome simile alla celiachia nella sua opera sulle malattie croniche. Il trattamento della celiachia però rimase empirico per secoli. Si parlava di infezioni e vaghe alterazioni digestive. Non riuscendo a identificare l’alimento responsabile furono introdotti rimedi di vario tipo: latte di asina, miele, cozze, siero di latte vaccino, sino a quando si scoprì che l’ingestione di alimenti contenenti glutine (anche in piccole quantità) determina una reazione immunitaria a livello dell’intestino tenue, che provoca una diminuzione dei villi intestinali. Villi e microvilli, com’è noto, hanno la funzione di aumentare e garantire la superficie d’assorbimento delle sostanze nutritive.
La comunità scientifica oggi considera la celiachia come un modello di malattia autoimmune, in cui la sostanza che innesta la reazione di tipo auto-aggressivo è la gliadina presente nel glutine.
Il glutine è un sistema colloidale complesso formato da due proteine (gliadina e glutenina) che permettono alla farina di alcuni cereali (frumento, orzo, segale, farro) di distendersi e gonfiare sotto la pressione dell’anidride carbonica originata dalla fermentazione operata dal lievito.
Tutti i problemi per gli intolleranti nascono dalla gliadina, che invece è assente in cereali quali mais e riso.
Il problema in Italia è sentito perché siamo i più forti consumatori di pasta e derivati (28 kg procapite all’anno), mentre in genere nei paesi dell’Unione Europea i consumi non superano i 9 kg procapite all’anno.
Nel 1990 si riteneva che nel nostro Paese vi fosse un caso ogni 1.000 abitanti. Oggi sappiamo che la prevalenza è di 1:100-150. Secondo l’Associazione Italiana Celiachia (AIC - www.celiachia.it) in Italia ci sono all’incirca 400.000 celiaci, dei quali solamente 55.000 diagnosticati. Ogni anno vi sono 5.000 nuove diagnosi.
Nei soggetti intolleranti al glutine sono compromessi i geni del complesso HLA che hanno la funzione di riconoscere le molecole estranee all’organismo. Quando tali geni condizionano una non corretta presentazione della gliadina ai linfociti T, questi ultimi scatenano un’alterata risposta immunologica di tipo autoaggressivo. In altre parole, i linfociti T “gliadina specifici” producono delle sostanze (citochine) responsabili delle lesioni intestinali come l’ipertrofia delle cripte e l’atrofia dei villi.

Diagnosi


Nel bambino il quadro clinico caratteristico della celiachia è caratterizzato da diarrea cronica con malassorbimento, arresto di crescita, distensione addominale dopo l’ingestione di alimenti che contengono glutine (frumento, orzo, segale oltre a una serie di cereali minori come farro, spelta, kamut). Per quanto riguarda l’avena i dati sono controversi, perché questo cereale può essere contaminato da residui di lavorazione dei cereali contenenti glutine.
La diagnosi di celiachia è confermata da test diagnostici, dotati di un’elevata sensibilità, come il dosaggio degli anticorpi antigliadina (AGA), anticorpi antitransglutaminasi (anti t-TG) e anticorpi antiendomisio (EMA, una componente del tessuto intestinale).
La ricerca degli anticorpi antitransglutaminasi oggi è possibile grazie a un nuovo test da utilizzare con una goccia di sangue, che può essere praticato anche nell’ambulatorio del medico di famiglia.
Nell’intolleranza al glutine, tutti gli anticorpi prodotti sono della classe IgA. Nelle allergie invece, com’è noto, gli anticorpi appartengono alla classe IgE.
Nell’adulto la celiachia può essere sottovalutata o imputata a un generico colon irritabile perché si presenta a volte più sfumata. In questi casi occorre prestare attenzione anche ai sintomi extraintestinali legati al malassorbimento (tabella 1) come osteoporosi, dermatiti erpetiformi, anemia, neuropatie periferiche e nel sesso femminile frequenti aborti spontanei.
Per avere una prova definitiva della presenza della malattia è necessario eseguire una biopsia intestinale per via endoscopica per verificare un appiattimento della mucosa intestinale (atrofia dei villi) con iperplasia delle cripte e reazioni infiammatorie.

Tabella 2 - Alimenti a rischio
Per il celiaco è utile conoscere oltre agli alimenti vietati, anche quelli dove il glutine può nascondersi: la salsa besciamella, il caffè solubile o surrogati del caffè contenenti orzo, la verdura impanata o pastellata, le verdure surgelate cucinate contenenti frumento, frutta disidratata infarinata, puré istantaneo, polenta già pronta, cioccolato con ripieno di cereali, cacao in polvere, creme, budini, dessert, dadi da brodo, lievito naturale, minestroni pronti con cereali, yogurt al malto o ai cereali, formaggi fusi da spalmare, insaccati tipo wurstel, prosciutto cotto, ragù di carne pronto, gelati senza etichetta, birra, whisky, vodka, gin.
Alcuni prodotti nella versione “light” possono contenere amido di frumento per aumentare la consistenza.
Alcuni ristoratori fanno cuocere il riso nell’acqua dove è cotta la pasta.

Trattamento

Il paziente deve essere incoraggiato all’utilizzo di carboidrati naturalmente senza glutine come riso, mais, patate, castagne, legumi, grano saraceno, miglio, soia, tapioca. Inoltre deve essere informato che tracce di glutine possono essere presenti in molti alimenti (tabella 2).
Oggi sono disponibili in commercio numerosi prodotti (pane, pasta, biscotti, crackers) a base di farine naturalmente prive di glutine e il logo internazionale è la spiga sbarrata.
Se il paziente si deve recare all’estero è importante ricordargli che nel Nord Europa esistono due differenti produzioni di alimenti senza glutine. La “gluten free” (letteralmente “senza glutine”) non ha niente a che vedere con la nostra; tale dicitura, infatti, si riferisce ad alimenti con contenuto in glutine inferiore a 200 ppm. Va ricercata invece la produzione “wheat free” (letteralmente “senza frumento”) corrispondente alla nostra “senza glutine”: questa dicitura comprende infatti alimenti con contenuto in glutine inferiore a 20 ppm.

Le ricerche attuali


Nei pazienti nei quali la diagnosi di celiachia viene posta in età adulta spesso è presente una patologia autoimmune associata (diabete di tipo 1, tiroidite, morbo di Addison, miastenia grave, ecc). Il rischio di questa associazione si attenua nei soggetti con diagnosi di celiachia nel primo decennio di vita. Le complicanze della celiachia non adeguatamente trattata possono essere: linfomi non Hodkin, carcinomi intestinali, dell’esofago e della faringe. Il rischio viene ridotto con una rigorosa dieta priva di glutine seguita per un periodo superiore ai cinque anni. La ricerca proporrà a breve termine due alternative alla dieta senza glutine: gli inibitori della zonulina (una proteina presente nella mucosa intestinale del celiaco che favorisce l’ingresso della gliadina) e un enzima prodotto dai lattobacilli, la prolilendo-peptidasi, in grado di aiutare la digestione della gliadina.

Legislazione


L’Associazione Italiana Celiachia ha ottenuto l’emanazione di un Decreto Ministeriale (DM 8 luglio 2001) che prevede l’erogazione gratuita dei prodotti senza glutine fino a una quantità massima mensile variabile a seconda della fascia di età, in presenza di diagnosi eseguita da un Centro accreditato per la diagnosi e la cura della celiachia. Il tetto mensile è stato stabilito calcolando il fabbisogno calorico per ogni fascia di età e considerando che per il celiaco il 35% di esso deve essere soddisfatto con alimenti dietetici.
Poiché la percentuale di carboidrati introdotta giornalmente con la dieta deve essere, secondo i LARN (Livelli di assunzione raccomandati di nutrienti per la popolazione italiana), il 55-60% del fabbisogno calorico, dal Decreto deriva che il restante 20-25% deve essere soddisfatto con l’introduzione di alimenti naturalmente privi di glutine (riso, mais, patate, ecc.).