M.D. numero 28, 4 ottobre 2006

Appunti
Prescrizioni indotte: è ora di svegliarsi

L
a delibera della Giunta Regionale della Basilicata del 26 giugno 2006 ha cercato di mettere ordine in merito alle prescrizioni a carico del Ssn sottolineando di “estendere la modalità prescrittiva a carico del Ssn e con l’utilizzo del ricettario regionale, ai medici specialisti operanti nelle strutture delle aziende sanitarie e ospedaliere allorquando ritenessero di dovere completare la dimissione dal ricovero o comunque la visita specialistica con una prescrizione farmaceutica, per farmaci concedibili dal Ssn e sempre nel rispetto delle limitazioni di cui alle note AIFA, pubblicate nel S.O. della G.U. 259 del 04.11.2004, nonché di tutte le norme generali che regolano la prescrivibilità (…)”.
La deliberazione non sarà stata redatta con una modalità stilistica ineccepibile, però è chiara e impossibile da fraintendere. Eppure sembra che i medici specialisti dell’Asl 4 di Matera (con qualche sparuta eccezione), non l’abbiano intesa se, a distanza di più di due mesi dall’entrata in vigore, continuano a comportarsi come sempre, con grave nocumento per i pazienti e per i Mmg.
Per completare il discorso sulla delibera regionale, non si può non menzionare il comma 9 della stessa: “I medici specialisti sono tenuti, all’atto della prescrizione a carico del Ssn, al rispetto delle limitazioni prescrittive di cui alle note AIFA”. Come tutti i Mmg della penisola sanno per esperienza diretta, la questione è della massima importanza perché è tra le cause primarie della degenerazione del rapporto medico-paziente, con tutte le ricadute negative che ne derivano.

Esperienza diretta


Riporto, come esempio di ciò, un’esperienza diretta in una sola giornata di studio. Un paziente cinquantaduenne, dopo i controlli cardiologici per dispnea e precordialgie, si presenta in ambulatorio con la ricetta bianca del cardiologo, che non ha quindi rispettato la delibera regionale che gli imponeva la prescrizione su ricettario regionale, con i seguenti farmaci da trascrivere: aspirinetta e protezione con pantoprazolo 20 mg cpr e atorvastatina 40 mg cpr.
Il collega ha quindi prescritto il pantoprazolo fuori dalla nota 1 e, soprattutto, l’atorvastatina 40 mg senza piano terapeutico. E da qui nasce la discussione col paziente per spiegare l’irregolarità della prescrizione. Lo invito a ritornare in ospedale per procurarsi il piano terapeutico, ma come tanti altri assistiti, egli tende a non fare distinzione tra chi si comporta correttamente e chi ha commesso l’irregolarità, si sente vittima tra due medici in disaccordo e di conseguenza io, Mmg, oltre al danno devo sopportare anche la beffa.
Secondo caso: paziente di sesso femminile di 65 anni ricoverata per severe vertigini e lieve emiparesi della rima buccale, è dimessa senza una diagnosi precisa (la RM dell’encefalo ha escluso fatti ictali), con la prescrizione, ancora su ricetta bianca da trascrivere su ricettario regionale, di atorvastatina 20 mg cpr. Cerco di spiegare alla paziente e ai familiari che non posso prescrivere in regime mutuabile il farmaco perché non rientra nella nota 13, non essendosi verificato (fortunatamente) un ictus.
“Ma il dottore dell’ospedale ha insistito molto che è necessario assumere il farmaco”, affermano in coro paziente e familiari. E pagarsi il farmaco in proprio non è nemmeno ipotizzabile, data l’esosità del costo. Ancora un colpo al rapporto medico-paziente e un contributo aggiuntivo al processo di logoramento e disamore verso la professione.
Terzo caso: paziente di 70 anni di sesso femminile, dimessa con prescrizione su ricetta bianca di enoxaparina sodica 6.000 u.i., per una flebolinfopatia agli arti inferiori. Il collega ospedaliero non solo non ha prescritto su ricettario regionale, ma non ha nemmeno specificato sulla ricetta bianca per quanti giorni la paziente dovrà assumere il farmaco. Le ha soltanto detto a voce che dovrà fare la terapia per non meno di 30 giorni. La sensazione che ho provato, davanti a questa circostanza, è stata quella di trovarmi in una specie di Far West sanitario, dove nessuno rispetta le regole ed è necessario raccattare tutti gli elementi per portarli alla luce della ragione: il farmaco, come da foglietto ministeriale, non si può prescrivere oltre i 10 giorni di cura; il collega ospedaliero responsabile dell’irregolarità può deresponsabilizzarsi ai danni del Mmg (alcuni colleghi di un’altra Asl del materano nei mesi scorsi sono stati penalizzati per la stessa infrazione); la paziente si ritrova in mezzo alla tempesta burocratica. Inutile che mi soffermi sugli epiloghi dei casi in questione, tutti i colleghi avranno sperimentato, se non le stesse, almeno simili esperienze, e ognuno ha dovuto tirare fuori dal cilindro la soluzione tappabuchi quando va bene, altrimenti penalizzante.
I tre episodi descritti accaduti nell’arco di uno stesso giorno, sono la routine. Ma pur avendo fatto il callo a simili situazioni, questa volta la rabbia, la frustrazione, il senso di impotenza e di ingiustizia (e potrei non finire mai nell’elencazione rabelaisiana dei sentimenti negativi provati) hanno superato tutti gli argini di sopportazione. Non basta più il livello sindacale, che deve comunque fare la sua parte, è necessario alzare il tiro, aggregarsi e passare con determinazione e tenacia alla lotta sul piano legale, per cercare di salvare il salvabile di una professione avviata al crepuscolo della sua esistenza.

Leonardo Trentadue

Medico di medicina generale
Ferrandina (MT)



Perché dico no ai farmaci nei supermercati

Sono figlio, fratello e cognato di farmacisti, oltre che padre, zio, cugino di altri farmacisti. Ho vissuto in prima persona, prima di diventare medico, la fatica di mescolare con la spatola per ore gli ingredienti per la pomata contro la scabbia o preparare rimedi per altre affezioni ricorrenti. Quindi, qualche conoscenza sulla professione ce l’ho e posso dire che non è così semplice come prendere dallo scaffale la confezione di aspirina e consegnarla all’anonimo acquirente che paga e se ne va. Si tratta di attività molto più complessa che non è conciliabile con la tumultuosa clientela dei supermercati.
Una volta si diceva che il farmacista costituiva il filtro più importante tra medico e paziente. Questi, prima di andare dal dottore, si rivolgeva al farmacista il quale esaminava il caso e consigliava di conseguenza. C’era una questione medica, ma anche economica perché, quando non esisteva l’assistenza gratuita, la prestazione bisognava pagarla e se non si era veramente poveri, non ci esimeva da questo obbligo. Il parere del farmacista era gratuito ed egualmente autorevole agli occhi del richiedente. Poi vi era la questione di fiducia, elemento essenziale nella triade malato, farmacista, medico.
Il farmacista, quindi, era un consigliere che sapeva orientare l’utente e spesso risolveva da sé i casi non troppo complicati.
Oggi non è così. Oggi l’assistito, forte del suo diritto all’assistenza gratuita, non fa troppa distinzione tra medico e farmacista e pretende da costui una serie di informazioni che si possono benissimo identificare con una visita medica, corredata naturalmente di diagnosi.
L’assistito chiede al farmacista dati su malattie di cui ha letto sui giornali o sentito parlare e li vuole chiari, comprensibili. Chiede sul decorso di affezioni rare, situazioni epidemiologiche, considerazioni cliniche.
Riguardo ai farmaci poi pretende cognizioni complete, approfondite, precise.
Cade nel vuoto l’invito di rivolgersi al proprio medico perché più qualificato, ma il paziente reale o presunto non sente ragione. È il farmacista che deve rispondere.
Tutto questo lavoro richiede tempo, concentrazione, l’ambiente adatto, requisiti certo non reperibili in un supermercato dove è difficile conciliare la brevità delle informazioni scientifiche, col tempo, la precisione e il linguaggio, facilmente comprensibile. Chi vive in farmacia sa quanto sia laborioso far comprendere alla gente le nozioni più elementari su un dato prodotto.
Vi è poi la questione della fiducia. La fiducia è un sentimento di sicurezza che richiede un punto di riferimento affidabile e chi lo è più di un professionista serio e a buon mercato? Il cliente chiederà le stesse cose che chiede abitualmente alla sua farmacia privata o comunale, e le vorrà, anche nel supermercato, dettagliate ed esaurienti. Naturalmente non baderà al tempo.
L’elemento fiducia va preso in seria considerazione e così la familiarità che si stabilisce tra farmacista e acquirente. Questi si rivolgerà sempre al professionista verso il quale ha maggiore simpatia o che ritiene più preparato e disponibile.
Questa figura professionale non può essere assimilata al commesso che porge il fustello di detersivo perché i compiti sono diversi, le finalità altrettanto.

Francesco Giuseppe Romeo

Medico di medicina generale
Firenze