M.D. numero 28, 4 ottobre 2006

Clinica
Sindrome del tunnel carpale: qual è l’approccio terapeutico ottimale?
di Stefano Tognon - Unità Operativa Ortopedia e Traumatologia - Casa di Cura Abano Terme (PD)

La stadiazione della sindrome è il metodo più corretto per personalizzare il trattamento e arrivare alla risoluzione dei disturbi da compressione e al ripristino quanto più completo della funzione. L’approccio terapeutico riconosce diversi livelli: dal trattamento medico a quello ortesico, dal trattamento rieducativo e fisico a quello chirurgico

L
a sindrome del tunnel carpale (STC), la più frequente tra le sindromi canalicolari, è una neuropatia da compressione del nervo mediano a livello del canale del carpo. Dal punto di vista anatomico il canale è delimitato dal pavimento composto dalle ossa del carpo e, superiormente, dal retinacolo carpale, una struttura robusta e poco estensibile; al suo interno scorrono i tendini dei flessori delle dita, il nervo mediano e alcuni vasi venosi e arteriosi.
La sindrome del tunnel carpale è più frequente nel sesso femminile (rapporto F/M pari a 4.6/1), colpisce individui di età compresa tra 40 e 60 anni ed è idiopatica nel 70% dei casi. Nel restante 30% dei casi le forme secondarie si associano a un’ampia ed eterogenea gamma di condizioni: diabete mellito, artrite reumatoide, ipotiroidismo, gravidanza, terapie ormonali, traumi del polso o microtraumi ripetuti (vibrazioni per uso di strumenti, legati per esempio all’attività lavorativa).
Colpisce in prevalenza il lato dominante, ma può essere anche bilaterale nel 20% dei pazienti. Potrebbe però trattarsi di un dato da rivedere: a distanza di tempo dalla prima diagnosi alcuni pazienti si ripresentano all’osservazione per interessamento dell’altro arto, asintomatico al momento della prima visita, quando la sintomatologia risultava a carico esclusivamente del lato dominante (maggiore uso del lato dominante, anche in relazione al tipo di lavoro) (tabella 1).

Evoluzione del quadro clinico


Nelle prime fasi il sintomo principale è rappresentato da parestesie e disestesie, associate o meno a dolore, nel territorio di distribuzione del nervo mediano (pollice, indice, medio, metà radiale dell’anulare), in particolare di notte o di primo mattino e tali da provocare risveglio. In un secondo tempo le parestesie alla presa statica compaiono anche di giorno, unitamente alla diminuzione della presa di precisione (il paziente trova difficoltà nei gesti quotidiani ed è frequente la caduta a terra degli oggetti presi in mano). Nello stadio avanzato le parestesie diventano costanti, si ha una diminuzione della forza, all’esame obiettivo si può apprezzare atrofia tenare (per atrofia dei muscoli innervati dal nervo mediano) e il dolore è assente. Altri sintomi che possono essere denunciati dal paziente comprendono la sensazione di gonfiore, l’irradiazione prossimale (anche sino al collo), la rigidità mattutina delle articolazioni metacarpofalangee, la stagionalità (inverno) (figura 1).
La STC può avere effetti sul flusso microvascolare e sul trasporto assonale che viene rallentato. Il danno nervoso può presentarsi in diversi gradi e viene classificato in tre stadi - neuroaprassia, assonotmesi e neurotmesi - a cui corrispondono altrettanti stadi clinici: la fase irritativa-algica, quella algo-parestesica e lo stadio atrofico-paralitico.

Inquadramento diagnostico


L’esame obiettivo della mano fornisce elementi utili per la diagnosi: all’osservazione si può eventualmente apprezzare l’atrofia tenare, mentre l’esecuzione di alcune semplici manovre che aumentano la pressione all’interno del canale carpale consente di evocare i sintomi tipici (dolore e parestesie).
Il test di Tinel (eseguibile sui tronchi nervosi più superficiali) è in grado di fornire indicazioni molto precise riguardo l’irritazione di un nervo ma non è dotato di specificità particolarmente elevata: ripetute percussioni con il dito sull’area di passaggio del nervo inducono la comparsa di parestesie o addirittura la sensazione di scarica elettrica che può irradiarsi verso la punta delle dita o verso l’avambraccio/spalla. Il test di Phalen, più specifico del precedente, consiste nel mantenere flesso il polso per circa 30 secondi e controllare la comparsa di parestesie. Nel test di Durkan la compressione decisa - manuale o con apposito strumento che garantisce una migliore riproducibilità - a livello della regione intertenare è in grado di scatenare i sintomi.
Il percorso diagnostico può venire integrato dall’esecuzione di alcuni esami strumentali: elettromiografia (EMG), Rx in proiezioni specifiche, ecografia, risonanza magnetica nucleare (RMN).
L’EMG rappresenta l’esame principale anche se la negatività dell’esame non esclude la diagnosi di STC (il 12% dei pazienti con STC ha EMG negativa), con l’Rx si possono apprezzare eventuali calcificazioni o lesioni ossee mentre la RMN si rivela di grande utilità soprattutto nei casi dubbi, in quanto è una metodica in grado di evidenziare lesioni e alterazioni (per esempio edema) che coinvolgono tendini e guaine.

Trattamento

Una diagnosi precoceno consente l’attuazione delle misure correttive più opportune, in un percorso che vede in primo luogo il ricorso a un trattamento conservativo (tutori notturni, linfodrenaggio specifico, esercizi specifici, trattamento manipolativo cervicale, terapie fisiche).
Il trattamento conservativo della sindrome del tunnel carpale ha un ruolo importante nella gestione delle forme lievi e moderate nelle loro fasi iniziali; inoltre può contribuire a contenere il numero dei soggetti da avviare alla chirurgia (per coloro che rifiutano il trattamento chirurgico rimane ovviamente l’unica opzione prescrivibile) e può essere di ausilio fintanto che il paziente non può realmente accedere al trattamento risolutivo della sindrome.
L’approccio conservativo basato sulle misure non farmacologiche può essere integrato da un trattamento farmacologico scelto tra diverse opzioni: antinfiammatori per un’azione sul dolore e sulla motilità, diuretici che agiscono su rigidità e dolore, neurotrofici-antiossidanti, particolarmente indicati contro il dolore notturno e le alterazioni della sensibilità (oltre a ridurre intensità e frequenza dei sintomi, sembrano anche in grado di promuovere il rallentamento dell’evoluzione della malattia).
Gli antiossidanti e i neurotrofici riducono gli effetti dello stress ossidativo che deriva dai processi flogistici e migliorano il trofismo del nervo; trovano indicazione le vitamine antiossidanti (vit. E) e i micronutrienti (selenio), cui si aggiungono antiossidanti di maggiore efficacia come l’acido a-lipoico, che agisce anche come coenzima del metabolismo cellulare, e l’acido b-linolenico, fosfolipide essenziale nelle membrane biologiche per il suo ruolo strutturale e funzionale.
Completa il panorama delle possibilità di trattamento l’impiego di steroidi per infiltrazione intracanalicolare, proponibile per esempio a pazienti giovani con una sindrome imponente o a soggetti anziani, quando il trattamento chirurgico non sia consigliabile o non sia attuabile, o in attesa di questo.
In alternativa a un approccio conservativo, il trattamento può prevedere il ricorso all’intervento chirurgico, dove gli attuali orientamenti vedono nella decompressione mini-invasiva il golden standard, riservando casi selezionati ad un approccio con tecniche tradizionali (forme secondarie, presenza di masse o di deformità ossee, recidive).
I vari approcci ora descritti possono essere riassunti in alcuni semplici algoritmi di trattamento, dove gli approcci prevedono percorsi diversificati in relazione alla fase della sindrome nonché alle aspettative del paziente (figura 2).
Nello stadio algico-irritativo la prima scelta sarà fatta fra tutore, Fans o somministrazione di antiossidanti, per poi valutare laser o infiltrazione e concludere con l’intervento.
In una fase più avanzata è indispensabile stabilire da quanto tempo si è instaurata la sindrome: se si tratta di un intervallo di tempo breve si possono ancora prendere in considerazione le misure di cui sopra, altrimenti la prima scelta cade necessariamente sull’intevento.
Nell’ultima fase invece la scelta sarà guidata dalle necessità funzionali post-trattamento: a un paziente con aspettative elevate sarà consigliato l’intervento come prima scelta, altrimenti si può valutare l’opzione dell’infiltrazione, e valutare la possibilità di intervenire chirurgicamente in un secondo tempo.


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