M.D. numero 28, 4 ottobre 2006

Riflettori
Spesa farmaceutica: eterno rompicapo
di Monica Di Sisto

Prezzi che calano, spesa che cresce, Regioni che pagano e cifre di ripiano incerte: quello dei farmaci sembra confermarsi come il rebus più difficile da risolvere della sanità italiana.
I misteri non mancano nel settore e la manovra Finanziaria blindata fino all’ultimo minuto ha alimentato le preoccupazioni per l’intero comparto


S
econdo gli ultimi dati rilevati da Federfarma nel primo semestre del 2006, la spesa farmaceutica a carico del Servizio sanitario nazionale è cresciuta del 10.8% rispetto allo stesso periodo del 2005 e si è attestata a 6.5 milioni di euro. Per ogni cittadino lo Stato ha speso, dunque, in media 113 euro. L’aumento risulta legato all’incremento del numero delle ricette (+5.9% rispetto a gennaio-giugno 2005) e della spesa media per ricetta (+4.6%): nel periodo considerato, infatti, sono state prescritte più ricette e mediamente più costose. L’aumento del costo delle ricette è da attribuire all’abolizione, a partire da novembre 2005, dello sconto del 4.12% sul prezzo al pubblico a carico dell’industria farmaceutica.
L’aumento della spesa risulta generalizzato in tutte le Regioni, con l’eccezione di Bolzano, dove è diminuita (-1.1%) a seguito di un aumento contenuto del numero delle ricette rispetto alla media nazionale (+2.9%) e di un netto calo del valore medio delle ricette stesse (-3.9%).
Il top della crescita va comunque attribuito ad alcune Regioni del Sud: Calabria (+19%), Puglia (+18%) e Sicilia (+13.4%).
Le misure in vigore dal 15 gennaio 2006 per ripianare lo sforamento del 2005 - la riduzione dei prezzi dei medicinali Ssn del 4.4% assieme allo sconto dello 0.6% a carico dell’industria - non sembrano aver determinato effetti di contenimento della spesa pari a quelli prodotti nel 2005 dallo sconto del 4.12% a carico dell’industria.
Anche se dall’analisi dei primissimi dati parziali relativi a luglio 2006 emerge un rallentamento del trend di crescita, all’orizzonte si intravedono misure di tamponamento che preannunciano nuovi tagli per riportare la spesa farmaceutica al fatidico 13% della spesa sanitaria totale.

Tutti i prezzi dei farmaci scendono


Federfarma però analizzando dettagliatamente i dati del primo semestre fa rilevare che tutti i prezzi dei farmaci hanno subito una significativa diminuzione. Ciò sarebbe confermato da un controllo incrociato sui dati a disposizione, e per di più il calo dei prezzi al consumo non sembra aver riguardato soltanto i farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
È quanto rilevato dall’Istat, secondo cui il prezzo dei farmaci nel mese di agosto 2006 ha presentato una variazione tendenziale di -3.9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
Il calo dei prezzi dei farmaci testimoniato dai dati Istat (-0.5% da luglio ad agosto e -3.9% da agosto 2005 allo stesso mese del 2006) riguarda la totalità dei medicinali, con e senza ricetta, ed è dovuto al pacchetto di misure sui prezzi decise dall’Aifa a partire dall’inizio dell’anno e tra fine giugno e inizio luglio. Lo ha tenuto a precisare Emilio Stefanelli, vicepresidente di Farmindustria, commentando i dati.
Secondo Stefanelli “il decreto Bersani di liberalizzazione dei farmaci da banco non ha avuto ancora un ruolo cruciale. La flessione registrata dall’Istat è dovuta agli interventi sui prezzi dei farmaci rimborsabili, unitamente al recente taglio dei prezzi di quei prodotti che, secondo le statistiche Aifa, avevano venduto in modo eccessivo nel semestre precedente”.
Un pacchetto organico che ha sortito un effetto rilevante. “Probabilmente - precisa - favorito anche dalla scadenza, negli ultimi mesi, dei brevetti di diversi farmaci, che quindi hanno adeguato il loro prezzo a quello di riferimento”. Ma Pier Luigi Bersani non ci sta ad attendere che le nuove regole da lui introdotte facciano effetto nel lungo periodo e teme ostruzionismi. Per questo ha scritto all’Antitrust chiedendo di valutare “se sussistono le condizioni che facciano presumere che la concorrenza nel settore dei farmaci da banco sia falsata, ristretta o impedita”.

Voglia di ticket

Intanto per far fronte alla situazione si palesano nuove ipotesi di ticket, con opportuni distingui.
“No ai ticket sui farmaci, ma sì ai ticket sull’abuso” ha dichiarato il ministro della Salute, Livia Turco, contraria ai ticket sulla farmaceutica perché colpisce i più deboli.
Prezzi a parte, per fare economie in realtà già otto Regioni racimolano risorse con i ticket sui farmaci: in Liguria i cittadini pagano due euro per confezione, quattro al massimo per ricetta, stessa cosa succede in Veneto. In Lombardia un euro e mezzo a confezione, con lo stesso tetto per la ricetta, e ugualmente succede in Piemonte e in Provincia di Bolzano. In Molise si può pagare 50 centesimi o un euro per ogni confezione, escluse quelle di costo inferiore ai 5 euro. In questo caso il costo massimo per ricetta è di 3 euro. In Puglia, invece, il ticket sui farmaci oscilla tra i 50 centesimi e i due euro, mentre il tetto massimo per ricetta è fissato a cinque euro e mezzo. In Sicilia i prezzi sono analoghi a quelli pugliesi, ma senza tetto massimo.
I più fortunati apparentemente sono gli assistiti di Trento, Lazio, Campania, Basilicata e Calabria: non si paga alcun ticket, siano farmaci o visite di pronto soccorso.

L’ultimo indovinello: i conti della sanità


L’incidenza dei ticket sulla spesa
Nei primi sei mesi del 2006, l’incidenza sulla spesa lorda delle quote di partecipazione a carico dei cittadini (relative sia al ticket sia alla differenza rispetto al prezzo di riferimento) va da una quota che oscilla tra lo 0.7 e l’1% nelle Regioni che non applicano ticket e tra il 5.8% e il 7% nelle Regioni con ticket più incisivo.
A livello nazionale tale incidenza è stata mediamente pari al 3%, in calo rispetto al primo semestre 2005, quando era pari al 4.2%, a seguito della rimodulazione dei ticket varata da alcune Regioni. Si segnala, in particolare, che la Regione Lazio ha abolito il ticket sui medicinali a decorrere da gennaio 2006.
Farmaci a parte, su quanto, in termini monetari, si potrà contare quest’anno per fare fronte ai bisogni della sanità? è questa la domanda che ha caratterizzato il dibattito tra enti locali e governo, visto che il ministro dell’Economia Padoa Schioppa ha deciso di rendere nota la cifra messa a disposizione per la salute degli italiani soltanto con la presentazione della manovra di Bilancio (ndr: non ancora presentata al momento della stampa di questo numero di M.D.)
Tutte le Regioni si sono opposte a questa presa di posizione dichiarando che senza le cifre finanziarie non si può discutere il Patto per la salute proposto dal ministro Turco, tanto più che nemmeno i conti ordinari risultano in ordine. Per il 2006, infatti, le Regioni accusano un super deficit da quasi 10 miliardi di euro che non risulta essere specificamente concentrato in zone del Paese poco virtuose, come successo fino ad oggi.
Le Regioni pongono particolare attenzione sulla questione dei rinnovi contrattuali. Per quelli già sottoscritti puntano il dito su un deficit di finanziamento di almeno 4,5 miliardi, a cui si aggiunge l’incognita della quantificazione delle risorse che saranno destinate ai contratti in scadenza e da rinnovare in futuro.
Per la spesa sanitaria, dal canto suo, il Governo ha dichiarato di potere coprire un Fondo nazionale di 96,5 miliardi di euro, contro i 91 del 2006, inclusa una quota di 11,5 miliardi per il Fondo di riequilibrio da attribuire alle Regioni più deficitarie. Si tratta però di una quota del tutto lontana dalle richieste dei governatori che, a conti fatti, si dicono informalmente disponibili a scendere dai 100 miliardi di euro, inizialmente richiesti, a 98,5 miliardi solo a precise condizioni, tra le quali la garanzia di non creare situazioni punitive per le Regioni non a posto con i conti.
Altra richiesta importante per i Governatori, per cui si attende risposta dal ministro dell’Economia, è lo sblocco delle addizionali locali, ovvero la maggiore libertà d’imposizione per i Governatori, come il reiterarsi del blocco dell’indebitamento delle Regioni al livello attuale. Se così fosse, resterebbero bloccati circa 13 miliardi di investimenti all’anno e addio sviluppo.