M.D. numero 28, 4 ottobre 2006

Riflessioni
Promozione della salute: una sfida per il medico di famiglia
di Vincenzo Contursi - Medico di medicina generale, Bari, Responsabile Nazionale Dipartimento di Cardiologia AIMEF

La prevenzione viene spesso vissuta dai pazienti come sacrificio e rinuncia e ciò pone il medico in una condizione di maggiore responsabilità. Una sfida che può diventare un’occasione per affinare metodo clinico e processo decisionale centrato sul paziente, fattori peculiari della medicina di famiglia

L
e strategie di promozione della salute e il suo mantenimento (prevenzione delle malattie) nell’agire medico hanno lo scopo di mantenere il paziente nelle migliori condizioni di salute possibili, invitandolo ad assumere, a tale fine, comportamenti e terapie idonee. Il tutto sulle basi scientifiche delle evidenze cliniche disponibili. Ma nel vissuto del paziente tutto ciò consiste in una somma di divieti, rinunce, assunzione di farmaci, con la possibile insorgenza di effetti collaterali ad essi legati: sacrifici e rischi da seguire oggi, mantenendoli nel tempo, in cambio di ipotetici vantaggi futuri.
Tali restrizioni alla libertà personale, con “consapevole” perdita del controllo della propria autonomia, riconoscono poche situazioni analoghe in tutta l’esperienza umana, anzi spesso confliggono con la percezione di benessere e salute del paziente stesso (Christensen AJ. Patient adherence to medical treatment regimens: bridging the gap between behavioral science and biomedicine. New Haven. Yale University Press, 2004).
Ciò pone il medico in una condizione di responsabilità talvolta (sempre?) superiore rispetto alla tradizionale prassi della diagnosi e trattamento delle malattie. Inoltre oggi - grazie alla progressiva e irreversibile “democratizzazione” della medicina, legata anche alla massiva divulgazione dell’informazione - il paziente ha acquisito un maggiore potere contrattuale nei confronti del medico. Ma paradossalmente l’eccesso di informazione, peraltro spesso contraddittoria, non lo ha reso più libero. Al contrario il vero pericolo per il paziente è di ritrovarsi solo e disorientato, soprattutto nei momenti delle scelte più difficili riguardanti la sua salute. Con il rischio di lasciarsi guidare dalle sollecitazioni di mercato, tra tendenze, mode e interessi economici spesso occultati.

La medicina del terzo millennio


Anche il medico è ovviamente condizionato da analoghi contesti, però possiede la capacità critica che origina dalle basi scientifiche delle proprie conoscenze. Ma è sufficiente per il medico di famiglia essere al corrente dei più recenti trial, delle metanalisi, delle indicazioni “evidence based”, per fare davvero prevenzione? Basta essere molto aggiornati per essere un “bravo medico”? No, non basta.
Le competenze cliniche sono ovviamente indispensabili, ma per avviare un’azione terapeutica efficace, con i cambiamenti anche radicali della vita del paziente che ne derivano, bisogna essere capaci di esplorare il mondo dell’altro, il suo universo di emozioni, di incertezze, di aspettative, di valori.
L’intervento del medico non può limitarsi a un semplice “indottrinamento” del paziente, ma deve mirare a un aumento delle sue capacità decisionali, della sua autonomia. Non più adesione passiva (compliance), ma adesione (adherence) alla proposta di cambiamento. È quella che si definisce “educazione terapeutica” (patient education) del paziente (Marcolongo R et al. Educazione terapeutica dei malati: una scelta di salute per i curanti. La parola e la cura. Comunicazione e counselling in ambito sanitario, 2004: 35-40).
Ecco quindi che in un’era in cui la scienza medica si avvale sempre più di straordinari progressi tecnologici, dalla genetica alla robotizzazione chirurgica, la “pratica medica” riaffida buona parte della sua efficacia clinica alla relazione medico-paziente, fulcro di un metodo clinico e di un processo decisionale che è del tutto peculiare alla medicina di famiglia.
Per tale motivo che la prevenzione, soprattutto quella cardiovascolare, trova nella medicina di famiglia il setting ideale per la sua compiutezza.
A fronte di tale responsabilità nei confronti dei nostri assistiti, è doveroso chiedersi: “Cosa è nella pratica medica la prevenzione? Trasferire conoscenza? Informare sui fattori di rischio? Indicare comportamenti sani? Incrementare la compliance del paziente? Aumentarne la capacità decisionale? Proteggere i pazienti dai bisogni marketing induced? Quali sono le tecniche da utilizzare? Quali gli strumenti più idonei? Come se ne valuta l’efficacia?”
Nel momento in cui si decide di affrontare scientificamente specifici argomenti di prevenzione nella pratica clinica, bisogna quindi cercare, di volta in volta, di dare delle risposte a tutti questi quesiti, aiutando il medico a “lavorare meglio”, a porsi dei problemi, a riflettere, a diventare più curioso.
Ampliare le proprie conoscenze vuol dire a volte essere più creativi, intraprendere nuovi percorsi, nuovi metodi di lavoro, senza mai tralasciare la certezza del rigore scientifico; ma vuole dire anche aumentare la consapevolezza della propria professionalità e l’autostima. Di questo i primi a percepirlo e a beneficiarne sono i nostri pazienti.