M.D. numero 29, 11 ottobre 2006

Appunti
Per essere medico di famiglia al passo coi tempi

L
a medicina italiana di questi ultimi anni si è abbondantemente ispirata alle acquisizioni e al corpo di conoscenze della medicina specialistica, che ha sempre posto l’attenzione sull’efficacia degli interventi e sulla capacità di determinare un cambiamento rilevante nella storia naturale delle malattie. Questa impostazione, caratterizzata da efficaci presidi tecnologici, ha determinato notevoli trasformazioni nella storia naturale delle malattie, ma ha presentato problemi di sostenibilità economica nel Ssn.
Il recupero delle strategie “centrate sul paziente” e la possibilità di affrontare i suoi bisogni dal punto di vista complessivo, che caratterizza la medicina di famiglia, ben si amalgamano con la sostenibilità dell’assistenza. Il counselling e le modificazioni comportamentali, pur non possedendo la sperata validità delle evidenze, sono significativamente meno onerosi per il sistema assitenziale. Il medico di famiglia che si deve necessariamente confrontare con questa visione “olistica” della medicina, tuttavia è costretto ad affrontare alcune difficoltà non indifferenti. Gli utenti si sono abituati a valutare la congruità degli interventi sanitari proposti dal proprio medico sulla base di un criterio economico. Frequentemente, il bravo medico è stato ed è identificato con la sua disponibilità a far utilizzare al paziente metodiche diagnostiche e/o terapie molto costose o con la disponibilità a farlo accedere facilmente alla consulenza specialistica. Il medico di famiglia non deve sottovalutare ciò, deve sapere considerare quest’aspetto, che può creare una sensazione di frustrazione nel proprio assistito che talvolta non comprende il perché non è opportuno accedere a prestazioni più “sofisticate” e onerose.
Contrariamente a quanto si può pensare, questo dilemma non è nato recentemente, infatti negli scritti di Gugliemo Cullen, Professore di Medicina all’Università d’Edimburgo (Elementi di Medicina Pratica. Anno 1783), il Professor Bosquillon afferma “(…) alcuni potranno meravigliarsi di non leggere in questo testo il nome dei più accreditati specifici rimedi particolari. Sotto il vocabolo “rimedi” dobbiamo intendere quella serie di aiuti la cui scelta ed amministrazione esigono di essere diversificate in qualsivoglia combinazione”.
Il dualismo fra nuovi rimedi e approccio olistico è forse una contraddizione interna della nostra professione. Le conoscenze dei medici di famiglia non devono essere limitate ai meccanismi d’azione, alle indicazioni, alle caratteristiche farmacodinamiche e farmacocinetiche dei nuovi farmaci, ma devono essere estese ai principi cui ispirarsi nella valutazione dei criteri da applicare nella scelta delle giuste combinazioni fra vari rimedi, nella scelta delle strategie da seguire nella ricerca dei “giusti rimedi”. Il medico di famiglia contemporaneo che si confronta con pazienti sempre più multietnici deve quindi conoscere anche i precedenti sanitari e i riferimenti culturali e sociali dei propri utenti, ciò che è valido per un asiatico non necessariamente lo è per altri gruppi di popolazione.
Il futuro “salto di qualità” della medicina di famiglia potrebbe essere quello del miglioramento culturale ed un aggiornamento del suo corpo dottrinale fra empatia, conoscenza, empirismo ed evoluzione tecnologica. L’obiettivo delle società scientifiche che rappresentano la MdF è quello di descrivere accuratamente gli strumenti per conoscere, per distinguere, per prevenire e curare le malattie che si manifestano in qualunque individuo. Ricordando che il riconoscimento dei sintomi e delle malattie correlate non può ignorare sia le causa remote, sia quelle prossime di ogni quadro clinico.

Giovanni Filocamo
Dipartimento di Neuroscienze AIMEF
Milano



Perché nessuno punta il dito sui vertici delle Asl?

Dagli anni ‘90 gli esperti si affannano in dibattiti e in presentazioni organizzative-gestionali che spesso ottengono dai medici di frontiera (Mmg e dipendenti) quell’effetto di contrapposizione e di sospettosità nei confronti delle alte dirigenze che ingloba, pur se incolpevoli, gli stessi studiosi del settore. Ma quale potrebbe essere il motivo di questo montante e sempre più diffuso malessere “raccontato” dai medici che operano in prima linea?
È possibile che i tecnici e i ricercatori del settore gestionale-aziendale-sanitario abbiano concentrato le loro disamine, per troppo tempo, verso la base della piramide organizzativa aziendale senz’altro più dimensionabile, tralasciando di approfondire le questioni e gli atteggiamenti riguardanti le alte dirigenze o i vertici della piramide.
È superato da tempo ormai l’equivoco che affermava che i Mmg o i medici dipendenti (che offrono ogni giorno assistenza ai cittadini) fossero insensibili alle attese di integrazione, di formazione, di governo clinico e di altri strumenti individuati dalla letteratura specializzata. Lo dimostrano progetti e idee innovative riguardanti il lavoro quotidiano presentati in questi anni proprio, per esempio, dai Mmg e che comunque, mostrano quanto sia percepito dai medici il cambiamento epocale in atto.
I vertici aziendali, al contrario, si sono dimostrati sempre più incapaci di seguire i bisogni organizzativi e formativi suggeriti dalla base operativa quasi che volessero dimostrare l’esistenza, anche in campo sanitario, delle due velocità. Hanno inoltre dato prova di incompetenza nelle abilità di applicazione delle più semplici ed elementari regole della buona gestione finalizzata al bene comune. Le loro inadeguatezze sono state celate dietro la gran produzione di documenti (senz’altro politicamente corretti, ma anche espressione di una attività di “taglia e incolla” di incerta attribuzione, drammatica sintassi e orrenda comprensibilità) utilizzati per preservare la propria posizione di infallibilità o impunibilità.
Sarebbe curioso chiedere agli esperti di ricercare un qualche dato statistico che possa confrontare la “punibilità”, per esempio dei Mmg con quella delle dirigenze apicali delle Asl, sempre che sia solo ipotizzabile che qualche dirigente posto ai vertici possa mai errare. Credo che la ricerca sia ardua anche per gli studiosi del settore.
I colleghi che ogni giorno si danno da fare sul campo sono loro che permettono a questo Ssn di definirsi tale; imparano, inoltre, cose nuove quotidianamente insieme agli altri colleghi e agli assistiti; sperimentano relazioni significative che aiutano a trovare concrete risposte sostenibili e scelte, tra le tante possibili, grazie all’autorevolezza e alla ragionevolezza derivante dell’operare abituale.
Nelle aziende, al contrario, si continua a vivere come se poche persone abbiano la possibilità di capire e di sapere: questo crea quella staticità e quella rigidità che un servizio sanitario nazionale e regionale non può più permettersi. Certe spinte culturali che tendono a rendere i Mmg sempre più autonomi e responsabili, anche nell’autocontrollo, porterebbero a riconoscere, indirettamente, una certa qual inutilità delle aziende dal punto di vista assistenziale (non certo politico).
Le alte dirigenze pensano e progettano ogni cosa, deliberano con documenti spesso errati (quasi sempre ad arte) o con estremo ritardo o dopo estenuanti sollecitazioni. Non rispondono quasi mai alle lettere ufficiali (perché significherebbe dare risposte scritte formali o prendere decisioni documentabili). In caso di necessità, in collaborazione con qualche sindacalista ben inserito, possono progettare tavoli su tavoli dove potere dilazionare sempre di più soluzioni o decisioni in un rincorrersi all’infinito di date e di rimborsi per gli straordinari. Le formule, i rituali sono più importanti del comprendere i reali bisogni di chi opera sul campo.
La relazione paritaria è rifiutata perché mostra, a volte, evidenti limiti e carenze organizzative, gestionali, comportamentali o di semplice educazione.
Alcuni fenomeni di diseconomia aziendale possono forse trovare la spiegazione proprio nella testardaggine con cui certe alte dirigenze perpetuano scelte dissennate, ignorando le relazioni intersoggettive. Altri disservizi sono dovuti al fatto che alcuni regolamenti, politicamente corretti, permettono a non medici di dirigere i medici e questo, di per sé, presuppone già in partenza una sicura incomunicabilità.
Il servizio sanitario (nazionale e regionale) deve erogare prestazioni, ma deve anche essere in grado di accrescere il senso di sicurezza, per i cittadini, che deriva dalla sua presenza. La favola della rana e dello scorpione insegna molto bene come la pratica dell’autolesionismo possa essere istintiva quando la rigidità diventa una regola immutabile e senza nessuna dignità.

Luter Blisset
Mantova