M.D. numero 31, 25 ottobre 2006

Contrappunto
Medicina di famiglia, disciplina geneticamente modificata
di Antonio Attanasio, Medico di medicina generale, Mandello del Lario (LC)

Nel nostro Paese la medicina di famiglia è stata trasformata da un pragmatismo e da una ragione di Stato che poco hanno a che vedere con l’impianto teorico che dovrebbe caratterizzare la disciplina. Il termine stesso con cui ci definiamo è improprio: oggigiorno siamo sempre meno clinici e non è affatto vero che seguiamo intere famiglie. Ridotti in queste condizioni, ogni investimento sulla nostra categoria rischia di andare sprecato e se così stanno le cose per una gestione il più possibile efficiente dei problemi di salute oggettivi, è meglio che il Servizio sanitario nazionale concentri sforzi e risorse nel miglioramento della medicina specialistica, motivandola a riappropriarsi di quella “genericità” a cui ha progressivamente rinunciato

I
l collega Giuseppe Maso, riprendendo un interrogativo sollevato oltre oceano, si chiede se “la medicina di famiglia riuscirà a sopravvivere” (M.D. 2006; 26:15).
Sono convinto che la risposta dipenda interamente dalla potenza delle lobbies dei medici di famiglia nei vari Paesi. Probabilmente comprenderemmo meglio il problema se modificassimo la domanda: “Esiste qualche valido motivo per cui la medicina di famiglia debba sopravvivere?”. La risposta non può che essere affermativa.
In Italia esistono oltre quarantamila “motivi”, quanti sono all’incirca i medici di famiglia, se poi contiamo anche i famigliari che ne dipendono, superiamo il ragguardevole numero di centocinquantamila”.
Buttare sul lastrico più di quarantamila medici e le loro famiglie sarebbe una pessima pubblicità per uno stato assistenziale come quello italiano e d’altra parte le possibilità di un loro riciclo vengono mantenute cocciutamente trascurabili. Lapalissiano quindi che, se devono sopravvivere quarantamila medici con le loro famiglie, la medicina di famiglia deve sopravvivere (e il gioco di parole è ben più che un gioco). Altrettanto evidente però è il fatto che se la sopravvivenza cruciale è quella dei medici che esercitano questa disciplina, allora non è obbligatorio che la medicina di famiglia sopravviva come tale: basta che ne sopravviva il nome. E così è avvenuto e sta avvenendo.

Un termine inappropriato


Tanto per cominciare a chiarire la questione, il termine “famiglia” che la connota non c’entra nulla (a parte, appunto, quella del medico). Fino a una quarantina di anni fa, poteva effettivamente accadere che in tre quarti d’Italia il medico di una data persona fosse anche il medico del coniuge, dei genitori, dei fratelli e delle sorelle, e dei figli. I medici erano pochi e la scelta di fatto non esisteva. O prendevi un medico, oppure prendevi ancora quello. Ecco creato il “medico di famiglia”. Però anche allora l’idea che il medico potesse sapere tutto di tutti i membri di una famiglia era pura oleografia. Già oggi, con mille pazienti, la maggior parte dei quali, grazie al tutto gratis, si fa vedere dieci volte l’anno, è difficile per un medico che non sia Pico della Mirandola ricordare se l’appendicite l’ha avuta la figlia l’anno scorso oppure la madre vent’anni prima. Figuriamoci come poteva sapere tutto di tutti il buon vecchio medico condotto che aveva quattromila pazienti, la maggior parte dei quali incontrata solo in occasione della nascita, di un parto, o di un decesso. Ciò vale ancor di più nel nostro presente dove il bambino ha il pediatra (e se i bambini sono due, magari sono due anche i pediatri), la madre ha un medico e il padre ne ha un altro, i nonni, se non sono ricoverati in RSA, ne hanno un terzo e fors’anche un quarto.
Nel nostro tempo dove ognuno si reca dal proprio Mmg liberamente e per ogni genere di banalità, al punto che non riesci a seguirlo nemmeno se ti sei allenato ascoltando telenovelas, sentire parlare di “medicina di famiglia” non fa solo venire il latte alle ginocchia, fa letteralmente venire la nausea.
Certo, ognuno di noi ha ben presente qualche famiglia della quale può dirsi medico di tutti i suoi membri, e magari con qualcuna di queste famiglie è in rapporti professionali così corretti che veramente ne conosce (e ne ricorda) storia clinica, mentalità, atteggiamenti, e magari anche problemi al di fuori della medicina. Ma possiamo dirci “medici di famiglia” solo perché, pagati per mille pazienti, siamo medici di quattro o cinque famiglie?
Veniamo alla “medicina”. La medicina è un servizio come qualsiasi altro. Noi che la conosciamo bene, possiamo anche suggerire particolari “istruzioni per l’uso”, in modo che i pazienti possano trarne il massimo beneficio. Ma tra il suggerire e l’imporre c’è una bella differenza. Attualmente, per consentire alla medicina di famiglia di sopravvivere, ci siamo inventati, col consenso codardo dei politici, la figura del “gatekeeper”, a metà fra il portinaio ficcanaso e il Grande Fratello. O si passa attraverso di noi, oppure nella medicina di Stato non si entra. Peccato che la medicina di Stato la manteniamo con i contributi anche di chi teniamo fuori perché non vuol passare attraverso le nostre forche caudine. Come si fa a contrabbandare come “servizio migliore” l’umiliazione di dovere raccontare i propri problemi a una persona che non è quella di cui sappiamo aver bisogno? A volte può capitare che un paziente sia abbastanza insicuro e disorientato da desiderare lui stesso un indirizzo da parte di un medico “specialista in tutto”, ma il livello culturale della maggior parte dei pazienti è oggi sufficientemente elevato da permettere a molti di loro di sapere fin dall’inizio a quale specialista rivolgersi. Obbligarli ad accedere a quello specialista per il nostro tramite è contro ogni etica, ed obbligarli ad accettare le nostre cure è anche peggio. I banditi che nel Medio Evo si son fatti i castelli sugli sproni delle Alpi esigendo pedaggi dai viaggiatori che transitavano nelle gole sottostanti si sono comportati certamente meglio.

La sfida


La sfida e il vero obiettivo della medicina non è restituire ai medici di famiglia una “clinicità” che in realtà non hanno mai nemmeno avuto, ma è restituire agli specialisti quella “genericità” a cui hanno rinunciato. È assurdo e pericoloso pretendere che i medici di famiglia si improvvisino specialisti di tutto, mentre è indispensabile e doveroso pretendere che gli specialisti, “medici” prima che specialisti, continuino a essere medici e prestino quindi la dovuta attenzione a “tutto” il paziente, anche a costo di dedicare alla visita qualcosa più degli striminziti undici minuti e mezzo previsti dal piano di lavoro di qualche scriteriato burocrate. La medicina deve seguire l’evoluzione della scienza e della società: ci saranno certamente sempre pazienti che vorranno una discussione pacata dei loro problemi con un medico “vecchio stampo”, come esistono e resteranno quelli che si sentono veramente curati solo dall’omeopata o dal cultore di altre medicine alternative. Ma queste, che sono scelte élitarie, non devono sottrarre tempo e risorse alla medicina dei problemi oggettivi. È sulla gestione il più possibile efficiente dei problemi di salute oggettivi che il Servizio sanitario nazionale deve concentrare i suoi sforzi e le sue risorse, ed è quindi la medicina specialistica che va mantenuta, incrementata e migliorata. La medicina di famiglia non è mai esistita e i suoi attuali cultori non devono essere insigniti del titolo di “specialisti nel non essere specialisti”, ma devono se mai essere incentivati a specializzarsi davvero e a entrare nella medicina specialistica vera.