M.D. numero 31, 25 ottobre 2006

Terapia
FANS tradizionali e coxib: il punto della situazione sulla sicurezza
di Livia Tonti

Gli studi volti a valutare specificamente i rischi degli antinfiammatori non steroidei si stanno moltiplicando: il quadro che ne sta derivando delinea una realtà molto più complessa di quanto atteso (e sperato)

C
irca un quarto degli europei soffre di una qualche forma di reumatismo o artrite. Gli antinfiammatori non steroidei (FANS) e i coxib sono i farmaci più utilizzati per il controllo del dolore e dell’infiammazione nelle patologie osteoarticolari e muscoloscheletriche. Bastano questi due dati per spiegare i motivi per cui il dibattito sulla sicurezza di questi farmaci ha assunto rapidamente toni assai accesi ed è ancora saldamente al centro dell’interesse della ricerca scientifica e della classe medica.
La questione, com’è noto, è sorta in seguito all’osservazione di un aumento dell’incidenza di infarto miocardico con rofecoxib, un coxib della prima generazione, che ha suggerito la necessità di ulteriori approfondimenti sulla sicurezza cardiovascolare di questi farmaci. Da allora si sono susseguiti diversi studi con l’intento di chiarire questo aspetto, con risultati non sempre univoci.
Gli ultimi mesi sono stati particolarmente ricchi di nuovi argomenti di dibattito. In particolare nel mese di ottobre sono stati pubblicati i risultati di 2 diversi studi: una review e una metanalisi, mentre qualche mese prima sono stati resi noti i risultati preliminari del programma
MEDAL, volto a confrontare la sicurezza e tollerabilità dell’esposizione a lungo termine di un coxib di seconda generazione (etoricoxib) e di un FANS tradizionale (diclofenac).
Il quadro che ne sta derivando delinea una realtà molto più complessa di quanto atteso (e sperato), che vale la pena approfondire.

I nuovi studi


Il primo studio (McGettigan e Henry, JAMA 2006; 1633-44) è una rassegna sistematica dei trial disegnati per approfondire il rischio cardiovascolare associato agli antinfiammatori non steroidei, sia Cox-2-selettivi (i coxib) sia FANS tradizionali.
Lo studio ha incluso 13 studi sui coxib, 23 sui FANS e 13 su entrambe queste classi.
Dai risultati è emerso un rischio dose-dipendente di eventi cardiovascolari (soprattutto infarto miocardico) con rofecoxib, evidente già dal primo mese di trattamento. Lo studio conferma anche quanto già suggerito da altre evidenze, e cioè che l’aumento del rischio cardiovascolare non è prerogativa dei coxib, ma riguarda anche FANS tradizionali.
La metanalisi (Zhang et al, JAMA 2006; 296: 1619-32) ha invece incluso 114 trial randomizzati, tutti con coxib, per un totale di 116.094 partecipanti. In questo caso l’attenzione è stata focalizzata sul rischio di eventi renali (disfunzione
renale, ipertensione ed edema periferico) e di aritmia. Sono stati valutati rofecoxib, celecoxib, valdecoxib e il suo profarmaco parecoxib, etoricoxib e lumiracoxib.
I risultati hanno mostrato una forte eterogeneità fra i diversi farmaci analizzati in termini di eventi renali, suggerendo come non si possa parlare di effetto di classe. Il rischio di eventi avversi è risultato infatti aumentato in maniera importante con rofecoxib e con valdecoxib/parecoxib, mentre il trattamento con etoricoxib e celecoxib sembra associato a una minor frequenza di eventi avversi renali.
Analogo discorso può essere fatto per quel che riguarda il rischio di aritmia - che appare per la prima volta in questa analisi - più elevato con rofecoxib, ma praticamente immutato per gli altri farmaci della stessa classe.
Un’indicazione decisiva sulla sicurezza cardiovascolare dei coxib in generale e di etoricoxib in particolare verrà dai risultati del programma MEDAL, di cui si conosceranno tra poco i risultati definitivi.
Il MEDAL (Multinational Etoricoxib and Diclofenac Arthritis Long-term) consiste di 3 studi randomizzati (MEDAL, EDGE ed EDGE II), in doppio cieco, che confrontano etoricoxib (60 e 90 mg/die) e diclofenac (150 mg/die). Scopo principale del programma è quello di stimare il rischio di eventi cardiovascolari di un’esposizione a lungo termine ai due trattamenti. Il programma ha arruolato in 38 Paesi 34.701 pazienti affetti da osteoartrosi (ginocchio, anca, mano, colonna; n=24.912) o da artrite reumatoide (n=9.789). Sono stati ammessi a partecipare al programma anche soggetti con un’anamnesi di infarto miocardico,
bypass coronarico o intervento di angioplastica avvenuti da oltre 6 mesi dalla data dell’arruolamento.
Circa il 38% dei partecipanti arruolati mostrava al basale un aumentato rischio cardiovascolare (definito da almeno due fattori di rischio cardiaco e/o dall’anamnesi di una malattia cardiovascolare aterosclerotica sintomatica) (tabella 1).
Circa il 35% assumeva aspirina a basso dosaggio.
I dati definitivi saranno presentati a novembre a Chicago nel corso del congresso dell’American Heart Association.

Considerazioni conclusive


Dato che non è possibile basarsi sull’effetto di classe per prevedere il rapporto rischio/beneficio clinico dei coxib o dei FANS, bisognerà tenere conto dei risultati degli studi condotti con ogni singolo farmaco. Per quanto riguarda il meccanismo d’azione degli antinfiammatori è importante fare alcune riflessioni a questo proposito.
È noto che interferire farmacologicamente con alcuni meccanismi fisiopatologici può implicare l’alterazione di fragili equilibri che regolano le più svariate funzioni del nostro organismo, con conseguenze anche drammatiche. Quanto emerso dall’utilizzo degli antinfiammatori, che inibiscono la sintesi prostaglandinica mediata dall’inibizione dell’enzima ciclossigenasi (Cox), si sta rivelando un esempio paradigmatico di ciò: il loro meccanismo d’azione è infatti responsabile sia della loro attività antinfiammatoria che della loro tossicità.
Questa duplicità è risultata subito evidente con i FANS “tradizionali”, che svolgono da molto tempo un ruolo di primo piano nel trattamento delle artropatie croniche: questi farmaci si sono dimostrati efficaci nel ridurre sia la flogosi che il dolore, ma a prezzo di una importante tossicità a livello gastrointestinale, importante al punto da rappresentare il fattore maggiormente limitante il loro impiego. Le prostaglandine sono infatti coinvolte in diverse azioni biologiche e la loro inibizione influisce su diversi meccanismi, sia fisiologici che patologici, esplicando quindi contemporaneamente sia effetti terapeutici (come quello analgesico, antipiretico, antiflogistico e antiaggregante) sia tossici (in particolare a livello gastrointestinale e renale).
La quadratura del cerchio sembrava essere stata trovata con la scoperta delle due isoforme della Cox, una costitutiva (Cox-1) e una inducibile (Cox-2), che svolge un ruolo cruciale nella risposta infiammatoria. Inibire selettivamente quest’ultima - si era pensato - può permettere di preservare le azioni fisiologiche della Cox-1, agendo soltanto sull’infiammazione mediata dall’azione della Cox-2. I coxib, farmaci nati per dare corpo a questa strategia, non interferiscono con la sintesi delle prostaglandine derivanti dalla Cox-1, come per esempio PGE2 e PGI2, coinvolte nei meccanismi di citoprotezione gastrica, a fronte di un’efficacia antinfiammatoria almeno paragonabile a quella dei FANS tradizionali.
Quanto emerso negli ultimi anni da diversi trial e dalla pratica clinica sul maggiore rischio di infarto evidenziato in particolare con rofecoxib dimostra che la questione è molto più delicata di quanto creduto. La vecchia ipotesi dell’alterazione del bilanciamento fra trombossano e prostaciclina non ha retto la verifica clinica; attualmente l’ipotesi più probabile è quella correlata alle proprietà farmacologiche indipendenti dall’azione sulla Cox per i singoli composti (Niederberger et al, Biochem Bhiophys Res Commun 2006; 342: 940-9).
Le evidenze emerse mostrano inoltre che anche i FANS non selettivi (che agiscono quindi anche sulla Cox-1) presentano una certa tossicità cardiovascolare e renale e che tali eventi avversi non sono condivisi in maniera uniforme da tutti gli antinfiammatori non steroidei.
I dati finora disponibili suggeriscono come la scelta tra i diversi antinfiammatori debba essere ponderata attentamente per ogni singolo paziente, considerandone con attenzione anche il livello potenziale di rischio cardiovascolare o gastrointestinale e le comorbidità presenti.