M.D. numero 32, 1 novembre 2006

Appunti
Riflessioni sugli ultimi minuti di vita

S
iamo molto legati alla vita fisica, ma che cos’è la vita? È solo un attimo trascorso in un momento ben preciso dell’eternità.
E quale è il motivo della nostra esistenza? Adempiere a uno scopo (di cui non ne siamo stati messi
a conoscenza, almeno coscientemente) controllati da qualcuno al di sopra di noi e di cui a volte ne percepiamo l’esistenza, oppure tutto quello che succede al mondo è solo dovuto al caso? La voglia di vivere è voglia di conoscenza ed esperienza per ambire all’evoluzione o è solo, come ho sentito in una lezione universitaria, obbedire agli ordini del nostro DNA, soddisfare il suo bisogno di riproduzione? E bisogna ammettere che la pulsione sessuale è molto forte, specialmente negli individui sani. Meno male che c’è la ragione a tenerla a freno (o almeno dovrebbe).
Questi pensieri, su cui tutti, in particolare chi come noi è professionalmente a contatto con la sofferenza e con il binomio vita-morte, ci siamo soffermati almeno una volta nella nostra esistenza mi si sono riaffacciati prepotentemente in seguito a un racconto di mia sorella narratomi qualche tempo fa. Mia sorella, infermiera professionale per vocazione, ha lavorato pochi anni e poi per amore ha seguito l’itinerario di un medico che ha sposato (come spesso succede) diventando una casalinga devota. Ma la passione per il suo lavoro non l’ha abbandonata e appena il tempo glielo concede si dedica ai conoscenti meno fortunati che soffrono, talvolta anche in ospedale. Ed è proprio qui che è avvenuto l’episodio che voglio descrivervi nonostante la ritrosia della diretta interessata.
Si era recata più volte a trovare, in ospedale, questa conoscente, ormai diventata amica, che chiamerò Maria. I medici che la seguivano dicevano che non c’erano altre possibilità di cura oltre alla terapia palliativa e che le restava ormai ben poco tempo da vivere.
Maria non riusciva a darsi pace, sentiva le forze abbandonarla giorno dopo giorno. Si confidava con mia sorella (Bruna) a proposito dei figli (18 e 20 aa). Non voleva farli soffrire per la sua condizione e allo stesso tempo si dispiaceva di non poterli accompagnare nella loro vita. “Ho ancora tante cose da fare per loro, confidava a mia sorella durante le visite in ospedale. A chi, i miei figli, andranno a confidare le loro pene e i loro problemi… E, mio marito, rimarrà da solo ad occuparsi di tutto, dovrà cercare di nascondere il dolore che ha dentro e farsi forza”. Questi pensieri continuavano a tormentarla, non le davano pace, e l’agitazione cresceva in lei sempre di più.
Il male seguiva il suo corso e Maria peggiorava di giorno in giorno finché cadde in uno stato di coma agitato.
Allora, Bruna, un giorno si sedette vicino a lei, mentre dall’altra parte del letto c’era seduta la sorella di Maria molto triste perché, da due giorni, Maria non rispondeva più agli stimoli esterni e continuava ad agitarsi e a lamentarsi.
Bruna cominciò ad accarezzarla sulla fronte e a parlarle sommessamente: “Maria, stai tranquilla, calmati, non preoccuparti, tu hai fatto un lavoro importante nella tua vita, sei stata brava, tutto quello che potevi fare per la tua famiglia l’hai sempre fatto nel modo migliore, sei sempre stata disponibile per i tuoi familiari, hai allevato i figli in modo perfetto, sono ragazzi educati, studiosi e disponibili. Tuo marito in questo tuo periodo di malattia ha imparato ad occuparsi di tutte le cose di casa in maniera soddisfacente. Il pensiero più grave dei tuoi cari, in questo momento, sei tu e la tua sofferenza. E per questo soffrono molto, specialmente nel vedere che non trovi pace”. E continuava: “Maria, tranquilla, calmati, rilassati, lasciati andare, tranquilla, stai tranquilla”.
Dopo circa un’ora di questo parlare la situazione cominciò a mutare, l’agitazione di Maria andava via via diminuendo, i lineamenti del viso si rilassavano, il respiro diventava più calmo. Bruna continuava a parlare sempre più sommessamente continuando ad accarezzarla sulla fronte: “Maria cerca la luce, una luce che ti avvolge, che ti scalda, che ti illumina e ti da serenità e pace”.
Dopo un po’, improvvisamente, Maria aprì gli occhi, guardò Bruna con uno sguardo intenso e nello stesso tempo sereno. Poi li richiuse e sembrava quasi che sulle sue labbra aleggiasse un sorriso. La sorella di Maria rimase attonita a vedere questa situazione e non riuscì a pronunciare una parola. Subito dopo arrivarono i figli con il marito. Bruna allora uscì nel corridoio per lasciarli alla loro intimità. Sebbene sofferenti, allo stesso tempo furono sollevati nell’osservare la trovata tranquillità della loro cara e nel vedere il lieve sorriso sulle sue labbra. Dopo circa 15 minuti i parenti uscirono dalla stanza e dissero a Bruna che era spirata. La ringraziarono per quello che aveva potuto fare in quel momento così difficile e le spiegarono che nonostante il fatto che il dolore per la perdita della loro amata fosse così atroce, il vederla così serena aveva aiutato anche loro.
Forse, allora, dobbiamo semplicemente assolvere a un compito che ci viene assegnato e quando riteniamo di averlo conseguito siamo pronti a cambiare “dimensione”.

Marina Favaro

Medico di medicina generale
Marcon (VE)



Una mobilità professionale irta di ostacoli

Quando è imposta, la mobilità all’interno di una professione non è mai un fatto positivo, ma quando è ostacolata lo è ancora meno. Purtroppo per i Mmg la mobilità non è solo frenata da difficoltà oggettive, ma anche da norme legali, contrattuali e previdenziali. Per esempio, il passaggio alla dipendenza ospedaliera è permesso solo a patto che si abbia meno di una certa età, si vinca un concorso in cui l’esperienza maturata è valutata più o meno zero e che si riparta dall’inizio. Come dire: lasciate perdere, ma se volete provarci, aspettatevi una legnata sui denti. Ora, l’esperienza maturata in medicina generale potrà valere effettivamente zero se il concorso è per dirigente di neurochirurgia, ma se è per un posto di area medica o di direzione sanitaria, valutarla zero è in sostanza un falso in atto pubblico, anche se il falso è commesso dalla legge. Le cose non vanno meglio quando si tratta di un passaggio alla dipendenza verso posti di responsabile ASL dei servizi della medicina generale convenzionata. Secondo la nostra lungimirante legislazione, tali posti non sono il punto di arrivo di Mmg particolarmente qualificati, ma di medici che sono assunti “vergini” e imberbi in una carriera che non prevede come obbligatorio nemmeno un anno di contatto con i pazienti.
Ma il meccanismo più perverso è quello previdenziale. Qualche medico, considerate queste difficolta in ambito del Ssn, potrebbe decidere di abbandonare la convenzione per entrare alla dipendenza di enti privati, oppure per dedicarsi alla medicina privata per conto proprio. E cosa accade in questi casi alla pensione? La risposta migliore che sa dare la normativa attuale è: apri una nuova posizione contributiva e al momento del pensionamento prova a ricongiungere. Ma se uno ha versato per vent’anni contributi all’ENPAM per quale motivo non può chiedere al datore di lavoro privato di continuare a versare i contributi a quella stessa cassa? Oppure, perché non può continuare a versarveli lui stesso? Cosa importa all’ENPAM da quale parte vengono i soldi? Pecunia non olet. Il risultato è, prevedibilmente, che i Mmg restino abbarbicati alla convenzione fino all’ultimo giorno dell’età pensionabile e questo a fronte del fatto che forze nuove pronte a prendere il loro posto non mancano e, soprattutto, che per far bene il Mmg occorrono una salute fisica e mentale che non sempre l’età conserva e un entusiasmo difficile da preservare da chi si è visto cambiare più volte le norme contrattuali che vigevano quando aveva deciso di intraprendere la professione. A chi giova tutto ciò? Non a quei Mmg che desiderano cambiare lavoro, non ai nuovi medici in attesa di un posto, non ai pazienti costretti a servirsi a loro inasputa di medici demotivati e stanchi, non al Ssn, che paga per buone prestazioni che spesso tali non possono essere. Giova solo alla pigrizia e all’ignavia di qualche burocrate per il quale certe complicazioni renderebbero più elaborata la digestione della brioche consumata in servizio. E noi cittadini dobbiamo continuare a tollerare questa situazione?

Antonio Attanasio
Medico di medicina generale
Mandello del Lario (LC)